Il tema della regolamentazione dei digital assets è oggi di grandissima attualità. Lo European Law Institute ha elaborato un draft volto a disciplinare l’ipotesi in cui sui digital assets vengano costituiti security interests, ossia garanzie a tutela di un credito. Tenuto conto delle peculiarità di questi assets (su tutte, la loro intangibilità), la regolamentazione proposta propende per una “rimodulazione” delle categorie civilistiche in tema di garanzie.
Il tema della regolamentazione dei digital assets è oggi più che mai di grandissima attualità. Sotto questa espressione ricadono una molteplicità di “beni” che esistono in formato digitale. Tra questi, i più famosi sono certamente le criptoattività di ogni tipo, inclusi gli stablecoins, i tokens e anche i non-fungible tokens (NFT). Questi assets presentano delle caratteristiche (su tutte, l’intangibilità, dal momento che esistono solo in formato virtuale) che rendono complesso il tentativo di istituirne un regime giuridico. Ad ogni modo, il loro crescente valore economico e il possibile impatto sulla società impongono alcune riflessioni in tal senso.
L’esempio ad oggi più noto di regolamentazione di questi assets è rappresentato dalla Proposta di Regolamento UE Markets in Cryptoassets (MICA) elaborata dalla Commissione Europea (ne abbiamo parlato QUI su questo Osservatorio), volta a regolamentare l’emissione di alcune criptoattività e la prestazione di servizi ad esse connessi. Ancora, si può menzionare il recentissimo Executive Order on Ensuring Responsible Development of Digital Assets del Presidente Joe Biden (marzo 2022), che peraltro incoraggia una verifica della “fattibilità” di una U.S. Central Bank Digital Currency (CBDC).
In tale contesto, appare altresì interessante il Draft elaborato dallo European Law Institute, che contiene i principles che dovrebbero “governare” un’ipotesi molto peculiare, ossia quella in cui i digital assets vengono “usati” come security interests, vale a dire come diritti di garanzia a tutela di un credito.
Nello specifico, la Proposta dello European Law Institute consiste sostanzialmente in cinque principles. Con riferimento all’ipotesi poc’anzi menzionata, si può subito osservare come la maggiore problematica in gioco riguardi proprio l’intangibilità dei digital assets: si rende pertanto necessario adattare le norme civilistiche ai caratteri tipici di questi “beni”.
Ciò premesso, nell’ambito del draft sono individuate tre caratteristiche fondamentali che i digital assets assoggettati alla regolamentazione devono avere: oltre alla già menzionata intangibilità, vi è l’esistenza di diritti che possono essere esercitati su questi beni (rights of control), nonché la loro trasferibilità. A ciò si aggiunge la presenza di un valore economico “misurabile”. Di conseguenza, l’ambito di applicazione “oggettivo” appare estremamente ampio: per digital assets s’intendono non solo tutte le criptoattività compresi gli stablecoins e varie tipologie di tokens, ma anche gli account social (si pensi a quelli connessi ai giochi online). In questo senso, dunque, si può osservare come i principles si pongano in discontinuità con altre Proposte, come la MICA, che invece non ha un approccio “omnicomprensivo” e arriverebbe addirittura ad escludere dal suo ambito di applicazione quelle «cripto-attività […] create automaticamente tramite mining a titolo di ricompensa per il mantenimento della DLT per la convalida delle operazioni» (art. 4, § 2, lett. b) Proposta MICA), tra cui peraltro rientrerebbero i bitcoin. Inoltre, la Proposta contenuta nel draft riguarda unicamente i digital assets creati da privati in via consensuale (mentre, invece, non si applica a quelli emessi dai pubblici poteri).
La disciplina modellata dai principles appare invero molto complessa, dal momento che, come anticipato, si deve procedere a una “modulazione” delle regole civilistiche in tema di garanzie. Si pensi, ad esempio, alle problematiche relative alla giurisdizione e al diritto applicabile alle possibili controversie che potrebbero insorgere.
Le criticità legate alle suddette questioni (spesso risolte per altre tipologie di beni con il ricorso al criterio della lex rei sitae) sono infatti “esasperate” dalla “intangibilità” degli assets e dalla difficoltà di individuare un luogo di emissione degli stessi e, di conseguenza, di localizzarli. A tal proposito, i principles fanno ricorso al criterio del luogo in cui l’emittente svolge la propria attività o ha la sua sede legale o dove ha la residenza, al momento della creazione dell’asset (il medesimo criterio è peraltro richiamato anche per quanto riguarda gli effetti prodotti nei confronti dei terzi), salvo alcune deroghe (quando, per esempio, il digital asset rappresenta un real-world asset, per cui si fa invece riferimento al diritto applicabile a quest’ultimo).
Infine, la difficoltà nel localizzare i digital assets appare estremamente notevole con riguardo al processo di esecuzione (enforcement), quando il debitore si trovi in stato di insolvenza. La soluzione elaborata dal draft è quella di far riferimento alla normativa che si applicherebbe “normalmente” in tema di esecuzione, tenendo sempre conto delle peculiarità dei digital assets. In questo senso, appare molto interessante l’esemplificazione contenuta nel commento che accompagna la Proposta: se i digital assets fossero dei tokens, l’esecuzione potrebbe avvenire tramite la cessione, da parte del debitore al creditore, della chiave privata di accesso. Da ultimo, il security interest si estingue quando tutte le obbligazioni sono state adempiute dal debitore.
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