Una riflessione di Guido Carli coglie con finezza, sia pure da un punto di vista che potremmo definire quello di un conservatore illuminato, il paradosso dello Stato in Italia: buon produttore di beni economici, pessimo erogatore di prestazioni sociali. Insieme «industriale» e «burocratico».
È nell’esperienza pluridecennale dell’intervento straordinario che si manifestò uno dei paradossi dell’Italia repubblicana: un eccesso di Stato in settori che non gli competevano, e cioè nella produzione di beni e servizi, una grave carenza di Stato nel campo dei suoi doveri più tradizionali, le infrastrutture sociali, i grandi servizi pubblici, l’ordine pubblico. Per anni abbiamo tutti soggiaciuto all’immagine di uno Stato che era ritenuto moderno solo se interveniva nell’industria manifatturiera. Soltanto negli anni Settanta emerse con evidenza il tragico errore. Il rimedio fu peggio dell’errore. La costruzione dello Stato sociale fu tumultuosa, fatta sulla spinta di gravissime tensioni, di disagi che si manifestarono con violenza. In un’intervista all’«Espresso» del 21 giugno 1970 osservai: «Se sa produrre ottimamente l’acciaio e il petrolio ma non appresta scuole capaci di educare la gioventù, quello Stato è vecchio, talvolta decrepito».
Guido Carli, Cinquant’anni di vita italiana, in collaborazione con Paolo Peluffo, Roma-Bari, Laterza, 1993, p. 126.