Il conflitto ucraino e gli scontri di Gaza restituiscono l’immagine di un quadro globale sempre più caotico e conflittuale. Tra le conseguenze principali della crescente destabilizzazione del panorama internazionale vi è una decisa crescita degli investimenti nel settore della difesa e, in particolare, nell’utilizzo militare dell’intelligenza artificiale. Si è quindi in presenza di uno scenario in profonda evoluzione e dai risvolti ancora incerti, che però ci spinge a interrogarci sin da ora sulle possibili conseguenze derivanti dalla progressiva artificializzazione delle nostre forze armate.
A seguito della pandemia, sono sicuramente due i temi che più hanno catturato l’attenzione dell’opinione pubblica: l’emergere di nuovi conflitti, dalla invasione russa dell’Ucraina a Gaza, e il prorompere dell’intelligenza artificiale. Queste tematiche sono però molto più interconnesse di quanto si possa pensare. Negli ultimi anni non solo si è registrato anche in Europea un massiccio e generalizzato ritorno agli investimenti nel settore della difesa, ma una buona parte di questi si viene a concentrare proprio sulle implicazioni militari dell’intelligenza artificiale.
Invero, come riportato in diversi siti e testate giornalistiche, l’acuirsi delle tensioni internazionali ha indirizzato gli investimenti verso i produttori di armi che si avvalgono anche dell’intelligenza artificiale e, similmente, verso le società che sviluppano meccanismi di intelligenza artificiale anche nel settore della difesa. Al riguardo, solo per fare i nomi più noti, si possono citare le varie Lockheed Martin, Palantir Technologies e Midjourney. Per di più, pochi mesi fa la nota società californiana Open-AI, nel modificare le proprie policy, ha rimosso il precedente divieto assoluto di adoperare i propri strumenti di intelligenza artificiale anche a fini militari, pur continuando a scoraggiarne l’uso per lo sviluppo di nuovi armi.
I finanziamenti, in particolare, sono oggi rivolti allo sviluppo di droni e robot che si avvalgono dell’intelligenza artificiale, di velivoli militari senza pilota e di meccanismi di machine learning per l’analisi di dati a supporto di intelligence e sistemi di difesa. Vero è, in ogni caso, che l’applicazione militare dell’intelligenza artificiale fa già parte del nostro presente e non costituisce soltanto uno scenario futuro. È noto, difatti, l’utilizzo dell’intelligenza artificiale nel corso del conflitto in Ucraina, così come il suo impiego da parte delle forze israeliane nell’individuazione dei sospetti di affiliazione terroristica (si pensi, in particolare, al sistema “Lavander”).
Ad oggi, non è certo possibile fare delle previsioni sull’evoluzione dello scenario internazionale e del settore dell’intelligenza artificiale, ove si è in presenza di una tecnologia i cui limiti e possibili utilizzi sono ancora in gran parte inesplorati. È però lecito, anzi doveroso, interrogarsi sul mondo che ci aspetta. In particolare, sono quattro i quesiti che ci si pone, due maggiormente pragmatici e due che, invece, potrebbero dirsi più di stampo “etico”.
In primo luogo, occorre chiedersi se l’impiego dell’intelligenza artificiale nella difesa possa costituire per i paesi europei una soluzione per colmare con la tecnologia le proprie carenze sotto un profilo strettamente quantitativo, se non umano. In particolare, in Europa il deficit demografico e l’invecchiamento della popolazione a seguito di quasi settant’anni di benessere e pace rendono sempre più difficile immaginare, ove necessario, la possibilità di contrapporsi coi numeri alle forze armate di molti paesi africani o asiatici. Giusto per fare un esempio, la popolazione italiana oggi è in calo, ha un età media di quarantotto anni ed è esente da vent’anni dal servizio di leva; diversamente, l’Iran può contare su una popolazione in crescita e con oltre ottanta milioni di abitanti, i quali hanno in media trent’anni e devono svolgere il servizio militare per circa due anni.
In secondo luogo, non è chiaro se i massicci investimenti nei colossi privati della difesa e dell’intelligenza artificiale rischino indirettamente di ostacolare l’obiettivo, oggi perseguito con maggiore convinzione che in passato, di costituire un esercito europeo indipendente e sotto l’autonomo controllo dell’Unione. Gran parte delle società quotate in tali settori non sono difatti europee, anche se molti di tali operatori sono comunque statunitensi e, in ogni caso, non mancano importanti player anche all’interno dell’Unione, come la tedesca Rheinmetall o l’italiana Leonardo.
In terzo luogo, è lecito chiedersi se l’incremento degli investimenti destinati ad imprese operanti nel settore della difesa possa davvero costituire un fattore di maggiore sicurezza, anziché di allarme. D’altronde, l’impossibilità di prevedere il futuro non deve esimere dall’obbligo di conoscere il passato ed è sin troppo evidente il rischio di incappare in quel “paradosso della sicurezza” che fu una delle cause dello scoppio del primo conflitto mondiale. Anche all’epoca, difatti, si registrò una decisa crescita negli investimenti militari allo scopo principale non di attaccare ma di difendersi da possibili minacce esterne, con l’effetto però di avviare una competizione nella corsa agli armamenti e di destabilizzare ulteriormente lo scacchiere internazionale di allora. Del resto, per quanto banale, è evidente che gli investimenti nella difesa non diminuiscono, ma aumentano il rischio che le armi vengano prima e poi effettivamente utilizzate.
In quarto e ultimo luogo, non può nascondersi anche qualche timore su fino a dove possa spingersi l’intelligenza artificiale, specie in ambito militare, e sugli eventuali rischi derivanti dal rimuovere dall’equazione la decisione e il sentimento umano. Basti pensare alle cosiddette Law, Lethal autonomous weapons, ovverosia ad armi in grado di agire e rispondere anche in assenza dell’intermediazione dell’uomo. Pertanto, ferma restando la necessità di una maggiore informazione al pubblico e della partecipazione diretta degli esperti nel dibattito pubblico, non si può escludere che in futuro si assisterà a campagne per la non proliferazione di armi basate sull’intelligenza artificiale analogamente a quanto già avvenuto in passato con le armi nucleari (di tale eventualità, del resto, avevamo già indirettamente parlato qui).
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