Giorgio Bo (Sestri Levante, 1905-1980) fu ministro delle Partecipazioni statali (1957, governo Zoli), poi dell’Industria e commercio (1958-59, secondo gabinetto Fanfani), quindi nel 1959-60 (secondo governo Segni) divenne il titolare della Riforma della pubblica amministrazione, incarico che mantenne col successivo governo Tambroni dal quale però si dimise polemicamente con altri colleghi della sinistra Dc quando quell’esecutivo ottenne i voti in Parlamento del Msi. Ritornò ministro ancora delle Partecipazioni statali nel terzo governo Fanfani del 1960-62 e nel quarto (1962-63). Fu in quegli anni tra i più convinti sostenitori della svolta di centro-sinistra, impegnato attivamente a difesa del sistema dell’impresa pubblica. In questi due testi tratti da due diverse fonti affrontava il tema eternamente vivo della riforma amministrativa. Come si vedrà con accenti di modernizzazione che non hanno perso del tutto la loro attualità.
Riforma essenzialmente organizzativa, basata sulla modernizzazione degli uffici, sulla meccanizzazione, sulla funzionalità di una più rispondente distribuzione delle competenze, sul criterio fondamentale in ogni azienda moderna, del massimo rendimento e del minimo costo, con orari di lavoro effettivi, razionalmente organizzato, concentrando nelle mani di un solo funzionario ogni pratica, riducendo al minimo indispensabile i pareri di altri uffici e di altri ministeri (…). Riforma di leggi e di regolamento, coordinati in agili e facili testi unici, tagliando inesorabilmente le norme vecchie o inutili, limitandole altre a pochi concetti essenziali da lasciare poi alla intelligente, libera ed equa interpretazione del funzionario (…). Riforma del numero e delle attribuzioni di ciascun Ministero (…). Riforma, ancora, di qualità dei funzionari, il cui numero complessivo andrebbe gradualmente ridotto (…), la cui formazione andrebbe particolarmente curata con corsi di specializzazione, buone biblioteche in ogni ufficio, precisi, documentati ed efficienti archivi. Una burocrazia snellita e funzionale, con impiegati scelti, di alta preparazione, ben pagati, gelosa depositaria di una tradizione di capacità e di correttezza che dalla vecchia monarchia piemontese dal buongoverno asburgico nel Lombardo-Veneto, alla seria amministrazione del granduca di Toscana si traferì alla burocrazia del nuovo regno d’Italia e si irrobustì per decenni fino all’opera dissolutrice del fascismo, sarebbe la principale interessata al riassetto organico dell’apparato statale.
La cura di Voronoff per la nostra burocrazia, in “Oggi”, 5 novembre 1959, ora in G. Bo, Verso lo Stato moderno, Firenze, Vallecchi, 1960, pp. 98-99.