Il libro argomenta la tesi secondo la quale i dati digitali detenuti dalle pubbliche amministrazioni, al contempo, rappresentano il presupposto per un più efficiente esercizio delle funzioni amministrative e formano oggetto di una autonoma funzione amministrativa.
La tesi sostenuta in questo libro è che i dati detenuti dalle pubbliche amministrazioni, con il supporto delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, hanno rilevanza sotto due diversi punti di vista: costituiscono i presupposti per l’esercizio più efficiente delle funzioni amministrative; formano oggetto di una autonoma funzione amministrativa finalizzata alla loro fruizione e diffusione.
Sotto il primo punto di vista, l’introduzione nelle pubbliche amministrazioni di strumenti digitali per la gestione delle informazioni può ridurre l’inefficienza che il supporto cartaceo comporta, specie nei casi nei quali la mole dei dati da gestire sia notevole. Il passaggio dalla conservazione delle informazioni su supporti cartacei, custoditi in archivi fisici, a quella su base digitale determina, così, un cambiamento radicale: il dato diventa il mezzo attraverso il quale le pubbliche amministrazioni acquisiscono le informazioni necessarie per l’esercizio delle funzioni e assurge, in questo modo, a componente fondamentale della azione amministrativa, quale strumento di conoscenza e interpretazione della realtà. Inoltre, a differenza di quanto avviene quando l’amministrazione opera con il supporto cartaceo, le tecnologie dell’informazione e della comunicazione permettono sia di operare connessioni e collegamenti tra i diversi uffici pubblici e tra questi e i soggetti terzi che di far transitare in modo istantaneo le informazioni stesse tra i diversi soggetti interessati. Da tutto questo, consegue, anche, una possibile ridefinizione delle modalità di interazione dei procedimenti amministrativi: da una prospettiva atomistica nella quale ciascuna pubblica amministrazione detiene le informazioni funzionali all’esercizio delle proprie competenze, infatti, si può passare a ora una dimensione collaborativa nella quale i dati acquisiti nella sfera pubblica sono posti al servizio delle amministrazioni nel loro complesso, grazie alla interconnessione delle banche dati. I dati conservati digitalmente hanno un ulteriore pregio rispetto a quelli su supporto cartaceo: sono suscettibili di una gestione dinamica. Pertanto, il funzionario potrà accedere a uno o più database ed estrarre ogni volta una serie di dati diversa, secondo criteri da esso stesso definiti in rapporto alle esigenze del caso concreto, onde acquisire una o più informazioni risultanti dall’aggregazione di più dati.
Questa serie di considerazioni apre la strada al secondo punto di vista inizialmente richiamato. Dalla digitalizzazione dei procedimenti, deriva una nuova serie di operazioni di cui ciascuna amministrazione si deve fare carico per consentire che i dati dei quali essa è titolare possano essere raccolti, conservati, utilizzati, riutilizzati e messi a disposizione dei soggetti che abbiano titolo ad accedervi. Si delineano, così, i contorni di una autonoma funzione amministrativa dei dati (o meglio, funzione amministrativa volta alla organizzazione, gestione e fruizione dei dati). Tale funzione ha per oggetto la predisposizione del complesso di elementi la cui esistenza e organizzazione è necessaria affinchè l’amministrazione possa effettivamente gestire, fruire e diffondere i dati. Le attività delle quali si compone la funzione medesima sono di quattro tipi e sono connesse tra loro (il libro parla al riguardo di una “filiera dei dati”): quella di acquisizione dei dati; quella della conservazione dei dati stessi; quella del salvataggio, della modifica, della eliminazione e della estrazione dei dati in funzione dello scambio degli stessi; quella della fornitura dei dati. Di ciascuna delle singole fasi di questa filiera, il libro esamina, in modo analitico, le caratteristiche e i problemi.
Per concludere, è interessante osservare che, già nelle prime pagine, l’autore si pone il problema delle conseguenze dommatiche che possono derivare dalla nascita e dalla affermazione degli strumenti digitali sugli istituti classici del diritto amministrativo. “In tale contesto – scrive- si presentano all’interprete quantomeno due alternative ogni qualvolta il contesto tecnologico porti all’emersione di nuovi strumenti di cui l’amministrazione può avvalersi. Da un lato, si può proporre una ridefinizione, od una rimeditazione, degli istituti classici, al fine di fornire una nuova lettura di questi alla luce di tali nuovi mezzi digitali. Dall’altro, si può tentare di ricondurre ad unità, con le definizioni classiche del diritto amministrativo, anche le innovazioni che derivano dal contesto informatico, così che siano queste ultime ad essere riportate alle nozioni preesistenti” (pp. 14-15). Poche righe più avanti egli esplicita subito la sua scelta: “l’indagine sui dati digitali- che pur presenta indubbi tratti di novità- sarà affrontata richiamandosi a nozioni già consolidate, coerentemente con l’impostazione, già proposta da chi scrive” secondo la quale “la sostituzione del cartaceo con il digitale non impone di rimeditare gli istituti giuridici in gioco”. A questa impostazione, l’autore uniforma la sua trattazione, come dimostrano, per esempio, i titoli scelti per la parte terza (“i dati come servizio pubblico e come beni pubblici”) e per i capitoli 7 e 8, nella medesima parte compresi (“il nuovo servizio pubblico a rete dei dati” e “banche dati come bene pubblico”).
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