Il futuro della competitività europea: il rafforzamento delle competenze

Quarto intervento del “punto di vista” dell’Osservatorio sul Rapporto Draghi

Abstract: Nel suo rapporto sul futuro della competitività europea, Mario Draghi sostiene la necessità di rivedere l’approccio alle competenze, rendendolo più strategico, orientato al futuro e focalizzato sulle carenze emergenti. La competitività dell’UE è strettamente legata alla capacità di allineare le politiche educative e formative alle reali esigenze del mercato del lavoro e solo attraverso il necessario investimento nella formazione sarà possibile prepararsi adeguatamente alle evoluzioni future del mercato del lavoro. Il rapporto suggerisce una serie di importanti iniziative con l’obiettivo di colmare il divario di competenze e rafforzare la competitività dell’UE.

Il rapporto Draghi sul futuro della competitività europea analizza in maniera dettagliata e critica la politica industriale dell’UE, offrendo anche un focus particolare sull’importanza della formazione e dello sviluppo delle competenze in Europa. [Sul tema della sfida delle nuove competenze si veda anche l’intervento di C. Bignotti]. Secondo l’ex premier italiano, la competitività e il successo del modello economico europeo, a partire dalla messa in atto della transizione verde e digitale, richiedono una forza lavoro dotata delle giuste conoscenze e competenze.

L’UE ha una forza lavoro altamente qualificata, ma soffre di una persistente carenza di competenze in diversi settori, sia nelle professioni poco qualificate che in quelle altamente qualificate, compresi i settori strategici dell’energia, delle tecnologie avanzate, delle materie prime critiche, energy-intensive, delle tecnologie pulite, dell’automotive, della difesa, dello spazio, della farmaceutica e dei trasporti, presi in esame nella disamina. Ad esempio, ricorda il rapporto, nel settore delle tecnologie pulite, le aziende si trovano ad affrontare importanti carenze di competenze che limitano la loro capacità di concorrere a livello globale.

Le aziende europee devono, quindi, far fronte a una significativa carenza di competenze, analogamente ad altre economie avanzate. In media, il 54% delle aziende europee considera la carenza di competenze uno dei problemi più urgenti da risolvere, seguito dagli oneri amministrativi, indicati come uno dei problemi più gravi dal 34% degli intervistati. Sebbene l’intensità di questo problema vari in qualche misura da un Paese all’altro, esso non è avvertito solo dalle grandi organizzazioni, ma anche dalle piccole e medie imprese. La relazione riporta i dati dell’OCSE, secondo i quali un quinto dei lavoratori adulti nell’Unione Europea non possiede le competenze di base. Le carenze sono ancora più ampie in altre competenze chiave, a partire da quelle digitali: circa il 42% degli europei non ha competenze digitali di base, compreso il 37% dei lavoratori. Gli esperti in tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) con competenze avanzate sono molto richiesti (il che porta a una crescente concorrenza tra i settori per il loro reclutamento) e circa il 63% delle aziende dell’UE che cercano di assumere specialisti TIC incontra difficoltà nel coprire questi posti vacanti. Peraltro, molte delle carenze di competenze possono essere ricondotte al “sottoutilizzo dei talenti esistenti”, come dimostrano i “profondi divari di genere” in alcune professioni.

Il rapporto evidenzia che la carenza di competenze è aggravata dalla cattiva allocazione delle stesse all’interno delle aziende. Gli squilibri possono derivare da una serie di ragioni che portano a uno “squilibrio tra domanda e offerta di competenze”. Sebbene in una certa misura dipendano dal ciclo economico, questi squilibri possono anche derivare da uno scarso allineamento dell’istruzione e della formazione con la domanda di lavoro, che porta a una sistematica sotto o sovra qualificazione dei lavoratori, soprattutto nei periodi di maggiore progresso tecnologico. Le carenze di competenze e la cattiva allocazione dei talenti sono diffuse anche nei livelli manageriali delle organizzazioni. L’adozione disomogenea di pratiche gestionali di base, in particolare quelle necessarie per la gestione del capitale umano è probabilmente responsabile, secondo Draghi, della lenta adozione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione tra la fine degli anni Novanta e gli anni Duemila, soprattutto negli Stati membri meridionali dell’UE. Il rapporto ricorda, ad esempio, che la maggiore capacità delle imprese statunitensi di sfruttare il potenziale di aumento della produttività delle TIC negli anni Novanta rispetto alle imprese dell’UE è dovuta in larga misura alle differenze nelle pratiche di gestione.

Per il rapporto, “la carenza di competenze è destinata a peggiorare”. I mercati del lavoro del futuro saranno più automatizzati e dinamici, il che farà sì che vengano privilegiate le competenze che consentono ai lavoratori di integrare le macchine, di padroneggiare le nuove tecnologie digitali e di adattarsi ai nuovi sviluppi. Conseguentemente, il passaggio a occupazioni altamente qualificate richiederà una significativa riqualificazione e aggiornamento professionale della forza lavoro. Un altro “punto di certezza” messo in luce è l’influenza della transizione verde e digitale come fonte di cambiamento nel mercato del lavoro nel prossimo decennio. La relazione evidenzia che la carenza di competenze costituisce un ostacolo all’innovazione e all’adozione di tecnologie e potrebbe potenzialmente frenare anche la decarbonizzazione. L’Europa produce talenti di alta qualità nei settori della scienza, della tecnologia, dell’ingegneria e della matematica (STEM), ma la loro offerta è limitata: l’UE “sforna circa 850 laureati STEM per milione di abitanti all’anno, rispetto agli oltre 1.100 degli Stati Uniti”. Inoltre, il bacino di talenti dell’UE si sta esaurendo a causa della fuga di cervelli all’estero legata a maggiori e migliori opportunità di lavoro altrove. In aggiunta, i venti demografici porteranno a un calo della forza lavoro, e tutto ciò mentre il riorientamento dell’economia causato dalla transizione verde e digitale cambierà il mercato del lavoro e le competenze richieste. Pertanto, sostiene il rapporto, senza “politiche ambiziose ma pragmatiche in materia di competenze” l’UE non sarà in grado di raggiungere i propri obiettivi in modo efficace ed equo.

Mario Draghi segnala che la mancanza di competenze rilevanti in Europa dipende da una combinazione di fattori legati alle prestazioni dei sistemi di istruzione e formazione e alle dinamiche del mercato del lavoro. In particolare, l’ex governatore della BCE sottolinea che le ragioni specifiche della carenza possono essere raggruppate in cinque categorie principali: il graduale deterioramento delle prestazioni del sistema scolastico, la contrazione della popolazione attiva, la limitata formazione degli adulti, la scarsa mobilità della manodopera e le cattive condizioni di lavoro.

La carenza di competenze in Europa è in primo luogo dovuta al declino dei sistemi di istruzione e formazione che non riescono a preparare la forza lavoro ai cambiamenti tecnologici. Il report rileva che la spesa pubblica dell’UE per l’istruzione è pari al 4,7% del PIL, con notevoli differenze tra gli Stati membri (ad esempio, la spesa per l’istruzione dell’Irlanda è pari al 2,7% del PIL, mentre Svezia e Belgio spendono rispettivamente il 6,3%). Rileva, altresì, che gli Stati Uniti spendono circa il 4,2% del PIL per l’istruzione da fonti pubbliche (oltre all’1,9% del PIL per quella privata), una percentuale decisamente più elevata rispetto a quella della media degli Stati membri dell’UE. Inoltre, sono ancora troppi i bambini e i giovani che non ricevono un’istruzione adeguata, il che fa sì che una grande quantità di talenti non venga sfruttata. A tal proposito, il rapporto ricorda che “l’incapacità di sostenere adeguatamente i giovani di talento provenienti da contesti svantaggiati ha importanti implicazioni per l’innovazione e la crescita”. È dimostrato, infatti, che “negli Stati Uniti le probabilità di diventare un inventore da adulto sono dieci volte più alte se si nasce nell’1% delle famiglie ad alto reddito rispetto a quelle che nascono nel 50% più basso”, e i dati disponibili suggeriscono un fenomeno notevolmente simile in almeno un Paese in Europa (Finlandia). Di conseguenza, “le politiche per l’istruzione e le competenze che sostengono i bambini ad alto potenziale provenienti da famiglie svantaggiate sono un potente strumento per sostenere l’innovazione e la competitività nell’UE”, evidenziando una potente complementarità tra la politica per l’innovazione e quella per l’istruzione, soprattutto se quest’ultima è in grado di attrarre nell’ambito della ricerca “individui di talento che sono finanziariamente vincolati o lavorano in altri settori”.

Ancora, i risultati più recenti delle indagini dell’OCSE dimostrano che le prestazioni dei sistemi scolastici sono peggiorate nel tempo. Nel 2022, solo l’8% degli studenti dell’UE ha raggiunto un livello elevato di competenze in matematica e il 7% in lettura e scienze. Attualmente, ci sono circa 22 laureati in materie STEM ogni 1.000 persone di età compresa tra i 20 e i 29 anni, con un aumento rispetto ai 18,5 del 2014, ma a un ritmo che non è sufficiente a tenere il passo con la domanda di occupazioni “STEM”. Un fattore che frena l’offerta è l’eterogeneità della propensione a iscriversi a lauree STEMin base allo status socioeconomico” (ovvero gli studenti con uno status socioeconomico più basso hanno meno probabilità di farlo), e “al genere”.

Nei prossimi decenni la popolazione dell’UE si ridurrà e diventerà in media più anziana: la popolazione in età lavorativa si ridurrà di 41 milioni (oltre il 15%), “passando da 264 milioni nel 2023 a 223 milioni nel 2070”. Senza la migrazione netta, che Draghi ipotizza segua la tendenza attuale, questo calo sarebbe superiore di 46 milioni di persone. A ciò si aggiunga il fatto che in Europa c’è ancora un grande bacino di talenti non sfruttati: complessivamente, il 21% della popolazione attuale di età compresa tra i 20 e i 64 anni rimane inattiva, con 8 milioni di giovani che attualmente “non lavorano, non studiano e non seguono corsi di formazione”. Inoltre, il tasso di occupazione femminile è ancora inferiore di circa dieci punti percentuali rispetto a quello maschile e la causa risulta principalmente dovuta “all’ineguale distribuzione delle responsabilità domestiche e alla mancanza di servizi di assistenza all’infanzia a prezzi accessibili”. Secondo il rapporto, le prestazioni insufficienti si estendono anche all’apprendimento degli adulti, ostacolando la possibilità di questi ultimi di riqualificarsi per adattare il mercato del lavoro alle tecnologie avanzate. Così, nel 2016 solo il 37% degli adulti ha partecipato a corsi di formazione e da allora questo tasso non è praticamente aumentato. Per raggiungere l’obiettivo di una partecipazione alla formazione di almeno il 60% degli adulti ogni anno, fissato dall’Agenda europea per le competenze 2020, “sarebbe necessario formare circa 50 milioni di lavoratori in più. Una situazione simile riguarda la formazione professionale, la cui qualità ed efficacia, ricorda il report, varia notevolmente all’interno dell’UE.

Una maggiore mobilità dei lavoratori potrebbe contribuire ad alleviare le carenze esistenti, migliorando l’allocazione delle competenze e delle capacità lavorative all’interno e tra gli Stati membri. Al di là della mobilità della forza lavoro al proprio interno, l’Unione non riesce ad attrarre migranti altamente qualificati dall’estero e a trattenere i talenti locali. Infine, le cattive condizioni di lavoro rendono più difficile attrarre i lavoratori. Draghi cita l’esempio dell’insegnamento, dove la mancanza di attrattiva del lavoro, dovuta a “bassa retribuzione”, “scarso riconoscimento” e “alto carico di lavoro”, risulta collegata alla carenza di personale, in tutta l’Europa.

Nel corso degli anni, l’Unione Europea ha regolarmente ribadito l’importanza di fornire competenze. Il quadro politico dell’UE si basa sulla citata Agenda europea per le competenze 2020 per la competitività, l’equità e la resilienza. L’Agenda per le competenze è strettamente coordinata e allineata con il Pilastro europeo dei diritti sociali, con la Strategia industriale europea e con il Green Deal europeo.

Essa ha due obiettivi principali:

  1. un tasso di occupazione di almeno il 78% entro il 2030 e
  2. una partecipazione alla formazione di almeno il 60% degli adulti ogni anno. Per la realizzazione di tali obiettivi, comprende dodici azioni, organizzate in quattro blocchi: un invito a unire le forze in un’azione collettiva; azioni per garantire che le persone abbiano le giuste competenze lavorative; strumenti e iniziative per sostenere le persone nei loro percorsi di apprendimento permanente; un quadro per sbloccare gli investimenti nelle competenze.

Come prima iniziativa faro nell’ambito dell’Agenda, nel 2020 è stato lanciato il Patto per le competenze che riunisce oltre 1.000 organizzazioni associate con l’obiettivo di migliorare l’apprendimento degli adulti.

L’UE ha offerto finanziamenti diretti per sostenere l’offerta di istruzione e competenze negli Stati membri. Nell’ambito dell’attuale Quadro finanziario pluriennale (QFP) (2021-2027), circa 64 miliardi di euro sono dedicati agli investimenti nelle competenze, con la maggior parte di questa somma proveniente dal Fondo sociale europeo Plus (FSE+) e dal programma Erasmus+. Oltre a questi 64 miliardi di euro, circa 42 miliardi di euro saranno investiti per sviluppare le competenze nell’ambito del Dispositivo per la ripresa e la resilienza (RRF).

Questi investimenti, sottolinea Draghi, hanno dato finora risultati limitati, a causa di molteplici fattori:

  1. la mancanza di volontà da parte degli Stati membri, responsabili delle politiche per le competenze, di andare oltre forme blande di coordinamento;
  2. l’insufficiente coinvolgimento industriale nello sviluppo di competenze specifiche per il lavoro;
  3. la mancanza di valutazioni sistematiche, che impediscono di apprendere l’efficacia di strategie alternative e di perfezionare gli interventi;
  4. l’uso insufficiente della skills intelligence, ovvero di “informazioni affidabili, granulari e comparabili sulle esigenze in termini di competenze, sugli stock esistenti e sui flussi desiderati all’interno e tra gli Stati membri”, essenziali per valutare le carenze di competenze esistenti e previste nei vari settori e regioni, nonché per orientare in modo appropriato le politiche e la spesa.

Alla luce delle criticità sopra descritte, il rapporto Draghi raccomanda di rivedere l’approccio dell’Unione Europea alle competenze, rendendolo più strategico, orientato al futuro e focalizzato sulle carenze di competenze emergenti. In particolare, oltre a promuovere l’istruzione iniziale, (che rimane essenziale per la crescita e la produttività a lungo termine), “è fondamentale accelerare la quantità e la qualità della formazione degli adulti e della formazione professionale negli Stati membri”. Questo è importante per “colmare gli attuali divari di produttività nei settori strategici” e per “gettare le basi della crescita futura”.

Così, gli investimenti nell’istruzione e nella formazione dovrebbero diventare più reattivi alle esigenze in rapida evoluzione dell’economia, in particolare alla luce delle transizioni verdi e digitali; incorporare pienamente un approccio lungo tutto l’arco della vita, attraverso uno sforzo continuo per migliorare e aggiornare le competenze, indipendentemente dal genere, dal background sociale, dall’età e dal settore; essere elevati a priorità strategica che richieda “non solo fondi adeguati, ma anche una governance e un’attenzione all’attuazione molto più efficaci”.

Si suggerisce in primo luogo, all’UE e agli Stati membri, di migliorare l’uso della skills intelligence, facendo un uso molto più intenso dei dati per comprendere e agire sulle carenze di competenze esistenti. L’attuazione di questa nuova visione richiederà un allontanamento radicale dagli attuali modelli di governance. In particolare, sarà necessario passare a “un coordinamento molto più ampio e sostanziale tra gli Stati membri”. Allo stesso modo, sarà fondamentale coinvolgere le parti sociali e le imprese nella progettazione e nell’attuazione delle politiche per le competenze. Le aziende, in particolare quelle di grandi dimensioni, possono svolgere un ruolo prezioso nel contribuire allo sviluppo delle competenze in collaborazione con gli uffici di collocamento locali e regionali, le parti sociali e gli enti di formazione.

Seguendo la logica sopra delineata, il rapporto propone una serie di iniziative specifiche. Nel loro insieme, queste proposte “rappresentano un cambiamento significativo nella progettazione, nell’attuazione e nella governance delle politiche per le competenze in Europa, elevando le politiche per le competenze a investimenti strategici”. Questo “approccio pragmatico” deve concentrarsi su aree specifiche che sono fondamentali per l’obiettivo del recupero della competitività:

  1. fasi specifiche dell’istruzione, ossia apprendimento degli adulti e formazione professionale;
  2. settori specifici, vale a dire catene del valore strategiche;
  3. competenze specifiche, ovvero capacità manageriali.

La visione dell’ex governatore della BCE è quella di gettare le basi per la creazione di una “Unione delle competenze” con un focus sulle competenze rilevanti di alta qualità, indipendentemente da dove e come sono state acquisite. La certificazione formale e il riconoscimento di queste competenze dovrebbe diventare meno dipendente dal livello di istruzione formale e più flessibile e “granulare”. Ciò implica il riconoscimento e la convalida delle competenze acquisite attraverso diversi percorsi di apprendimento, formazione professionale e apprendimento sul lavoro. Ad esempio, dovrebbero essere presi in considerazione e promossi anche micro-credenziali e badge digitali per dimostrare abilità e competenze, e i certificati professionali rilasciati in tutta l’UE dovrebbero seguire un approccio il più possibile uniforme per facilitare il riconoscimento reciproco tra gli Stati membri. In relazione a ciò, anche la formazione professione (VET), secondo il rapporto, necessiterebbe di un’ampia riforma, in collaborazione con gli enti di formazione, con i datori di lavoro, con le associazioni professionali e con i sindacati.

Parallelamente, il rapporto raccomanda di rivedere i programmi di studio, attraverso un approccio inclusivo, “con il coinvolgimento di insegnanti, educatori, parti sociali, aziende e altri soggetti interessati”. Nello specifico, la progettazione dei programmi di studio deve aderire a standard di eccellenza concordati tra gli Stati membri, e con particolare riferimento ad alcune aree, ad esempio “le materie STEM”, che attualmente vengono insegnate in base a programmi di studio molto eterogenei nei vari Stati membri.

Un altro aspetto fondamentale concerne il ripensamento della progettazione, del finanziamento, dell’attuazione e della valutazione delle politiche UE in materia di competenze. In tale ottica, il FSE+ dovrebbe essere ridisegnato dalla Commissione europea, in modo che i fondi stanziati per le politiche in materia di competenze possano avere un impatto molto maggiore e siano subordinati all’effettiva attuazione delle politiche. Da ciò deriverebbe un approccio diverso alla selezione dei programmi finanziati, che dovrebbero essere mirati al raggiungimento delle priorità strategiche dell’UE e concentrarsi sulle aree in cui il valore aggiunto è maggiore: le tecnologie pulite, le tecnologie digitali e avanzate e l’industria automobilistica. Inoltre, il FSE+ dovrebbe dedicare una quota minima dei suoi fondi all’apprendimento degli adulti e alla formazione professionale.

Infine, altre iniziative degne di nota includono: attirare un maggior numero di lavoratori altamente qualificati dall’esterno dell’UE; ridurre la cattiva allocazione dei talenti futuri (implementando programmi per sostenere i giovani di talento provenienti da contesti svantaggiati); affrontare le carenze di competenze nelle catene del valore critiche; promuovere le competenze manageriali nelle PMI (creando sistemi di accreditamento e incentivi per migliorare la qualità della formazione manageriale e facilitando l’acquisizione di competenze manageriali attraverso l’uso di voucher per assumere manager temporanei); migliorare la disponibilità e le condizioni di lavoro degli insegnanti; rimuovere gli ostacoli che attualmente riducono la partecipazione al mercato del lavoro, in particolare per le donne (attraverso l’espansione e il miglioramento delle infrastrutture di assistenza all’infanzia, compresa la costruzione di nuove strutture, la ristrutturazione o l’ampliamento di quelle esistenti e la garanzia che le strutture di assistenza all’infanzia soddisfino standard qualitativi elevati).

In conclusione, il rapporto Draghi fornisce linee guida, dettagliate e strategiche, per affrontare le sfide della competitività europea, evidenziando l’importanza del miglioramento delle politiche di formazione e sviluppo delle competenze. La competitività dell’UE è strettamente legata alla capacità di allineare le politiche educative e formative alle reali esigenze del mercato del lavoro. Solo attraverso un adeguato investimento nella formazione e nello sviluppo delle competenze sarà possibile prepararsi adeguatamente alle evoluzioni future del mercato del lavoro, assicurando in tal modo un futuro prospero e resiliente per i lavoratori europei.