Il Ministro per la transizione digitale ucraino ha chiesto all’ente globale che si occupa dei nomi a dominio e delle risorse tecniche di adottare due misure di “esclusione” da Internet nei confronti della Federazione Russa, come risposta “digitale” all’invasione e alla guerra. L’ente ha negato la richiesta, sostenendo che esulasse dai propri compiti tecnici. Vi sono motivi per discutere tale decisione e dibattere sul rapporto tra tecnica e politica.
Il 28 febbraio 2022 il Ministro per la transizione digitale ucraino ha inviato una richiesta all’Icann (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers), l’ente californiano che si occupa della gestione e dell’assegnazione dei nomi a dominio su scala mondiale, volta a rimuovere quelli geografici riconducibili alla Russia. Ha chiesto, altresì, che tutti i certificati di sicurezza (SSL) correlati non potessero essere più utilizzati in ambito russo. La decisione avrebbe avuto un impatto su circa cinque milioni di domini.
La lettera, indirizzata al Ceo dell’Icann, richiama l’art. 2, comma 4, della Carta delle Nazioni Unite e mirava, sostanzialmente, all’esclusione della Russia da Internet, a causa dell’invasione del territorio ucraino e della guerra tuttora in corso.
A valle di un’analisi interna piuttosto veloce, il 2 marzo CEO dell’Icann ha inviato una lettera di risposta, affermando che una simile decisione avrebbe avuto una natura geopolitica e che, come tale, non rientra nelle competenze dell’ente, le quali sono squisitamente tecniche. L’assegnazione dei nomi a dominio, infatti, segue un criterio di sostenibilità tecnica e persegue la stabilità dell’intera rete. In merito ai nomi a dominio geografici, se è pur vero che le sigle sono definite dall’ente in base a uno standard Iso, la loro gestione è rimessa a registri indipendenti. Per quanto riguarda i certificati SSL, essi sfuggono alle competenze dirette dell’ente e, di conseguenza, anche in questo caso non poteva esservi risposta favorevole.
La decisione, pur da rispettare nel fine di preservare apertura e dialogo, presta il fianco a diverse obiezioni. È vero che la tecnica è preminente nelle funzioni primarie di indirizzamento e connessione dei nodi; tuttavia, il sistema costituisce, nel suo intimo, una forma di governo, al cui centro siede proprio l’Icann; il sistema dei nomi a dominio, che è a capo del dell’architettura tecnica di Internet, permette l’individuazione dei siti e delle risorse attraverso cui si possono scambiare le informazioni. Sostanzialmente, come noto, converte in caratteri gli indirizzi numerici (IP) garantendo la migliore riconoscibilità e raggiungibilità dei punti di accesso e rendendoli più facilmente intellegibili (dunque, più usufruibili da parte dell’utenza). È uno degli strumenti che ha consentito la diffusione di Internet su scala mondiale a partire dall’inizio degli anni Novanta.
In aggiunta, le decisioni sull’uso dei nomi geografici sono rimesse all’ente, il quale è tenuto a consultare, ai sensi dello statuto, il comitato governativo consultivo (Governmental Advisory Commitee, GAC), posto all’interno dell’ente e in cui sono rappresentati… gli Stati nazionali. Il Gac, dunque, opera al confine tra tecnica e politica; lo dimostra che, in passato, alcuni governi hanno posto il veto sull’introduzione di alcuni nomi a dominio, unitamente al peso sempre maggiore che il Gac ha acquisito all’interno dell’Icann. Questo è tanto più vero nel caso dei nomi geografici, che rispecchiano, idealmente, gli spazi di sovranità degli Stati all’interno di Internet.
Per questi motivi, la decisione appare un po’ troppo rapida, fugace e non rispecchia pienamente quelli che sono, anche potenzialmente, i poteri dell’Icann rispetto a soluzioni che sono formalmente tecniche, ma che hanno riflessi di altro tipo. Technical is political, come insegnano gli esperti di “neutralità”. Lo stesso ente ha adottato decisioni decisamente in bilico tra le due componenti e tenendo conto di interessi ulteriori. Va aggiunta una considerazione sulla “indipendenza” dei registri che gestiscono i nomi geografici: essi operano su delega dell’Icann e, quindi, anche in questo caso – a voler seguire una strada non formalistica – si sarebbe potuti giungere ad altre conclusioni.
Insomma, la decisione adottata dal CEO dell’Icann pare una decisione di prudenza, volta a non entrare in ulteriore contrasto con la Russia in questo difficilissimo e drammatico momento. Da un lato, c’è da apprezzare il tentativo di tenere l’unitarietà della rete: del resto, una rete frammentata – una “splinternet”, come è stata a suo tempo definita – minerebbe la sua stessa essenza dalle fondamenta. Tuttavia, il tentativo rischia di restare vano. È di questi giorni, infatti, la notizia per cui la Russia sta cercando autonomamente di realizzare una “propria Internet”, per disporre di una rete rispondente al “territorio” russo, secondo un disegno che era già in vigore da anni e che potrebbe essere portato a compimento proprio in questo periodo.
Questo porta a un’altra considerazione, anche per esaminare sotto altra luce la “sovranità” digitale. L’effetto sarebbe dirompente perché – come emerge da alcune analisi tecniche – filtri, censura, tutela di informazioni, scoop giornalistici, non sarebbero utilizzabili, nemmeno con sistemi di VPN più o meno sofisticati. Per tale motivo, la creazione di uno spazio territoriale in Internet, coincidente con quello della sovranità nazionale e del territorio fisico su cui essa si esercita, avrebbe conseguenze immediate sulle libertà fondamentali.
È bene ricordare questo aspetto, per comprendere cosa comporta la costruzione di una sovranità digitale, portata alle estreme conseguenze: l’impossibilità, per ogni cittadino, di ricorrere a soluzione estere, o per i giornalisti o attivisti di “rifugiarsi”, con i propri dati, su macchinari più sicuri. Il potere coercitivo sarebbe fortissimo, anche sull’eterea Internet, non sarebbe controllabile e sarebbe impossibile sfuggirvi. Le possibilità di uscire all’esterno e di comunicare con altri Paesi, le informazioni digitali transitanti sulla rete sarebbero sottoposti al controllo ultimo del governo di quello Stato. Con buona pace delle possibilità comunicative che hanno fatto di Internet un mezzo senza precedenti. Molti i motivi, dunque, per riflettere: da un lato, il confine tra tecnica politica e la natura di decisioni delicatissime, come quelle che affliggono questo momento; dall’altro lato, il vero portato della sovranità digitale e le sue conseguenze in ambito di libertà di espressione: la sovranità dovrebbe portare a una maggiore tutela dal dominio di pochi e da forme invasive di controllo (parimenti censurabili, come insegna la Corte di giustizia dell’Unione europea) ma, applicata senza cautela su un mezzo geneticamente orientato alla apertura assoluta, potrebbe mutarne la natura – facendolo divenire sempre più ristretto e confinato.
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