La guerra tra Russia e Ucraina non si sta combattendo solo con l’utilizzo delle armi. Ulteriori campi di battagli centrali sono rappresentati, da un lato, dall’informazione e dalla propaganda e, dall’altro, dai colpi a suon di sanzioni che la comunità internazionale lancia alla Russia e dalle risposte di quest’ultima. In questo post ci concentreremo su una sanzione in particolare: l’esclusione di alcune banche russe dal circuito Swift.
Come accade nella maggior parte dei conflitti, gli esiti delle battaglie non sono determinati esclusivamente dalla superiorità militare di una parte rispetto ad un’altra; vi sono, infatti, ulteriori fattori che possono influirvi significativamente.
Ne abbiamo già accennati due importanti. In primis, il controllo dell’informazione e la propaganda: si tratta di armi molto potenti, in quanto in grado di incidere non solo e non tanto sul ‘morale’ delle truppe, ma soprattutto sulla popolarità che il conflitto stesso riscuote nell’ambito della popolazione e, dunque, sulla popolarità dei leader politici. Significativa, in tal senso, è la promulgazione della legge russa sulla responsabilità amministrativa e penale per la divulgazione di informazioni considerate false dalle autorità russe (rectius di informazioni che non coincidono con la narrazione ufficiale del conflitto fornita dal Cremlino; ne abbiamo parlato qui). Trattasi di un’arma molto potente per controllare l’informazione e mettere a tacere eventuali tentativi di diffusione di ricostruzioni dei fatti ‘pericolose’.
Molto potente si è rivelata, altresì, la propaganda condotta sui social, spesso attraverso la diffusione di fake news da entrambi gli schieramenti (famosa è la notizia della resistenza eroica di 13 doganieri ucraini sull’isola dei Serpenti, che sarebbero stati uccisi da una nave da guerra russa ma che recentemente sono riapparsi come prigionieri di guerra).
In proposito particolarmente significativa è stata la decisione di big tech come Google e Facebook di arginare la disinformazione condotta dai russi attraverso le proprie piattaforme sull’invasione dell’Ucraina (“Facebook e Google hanno dichiarato la più massiccia, determinata e, almeno sino a qui, efficace campagna contro la disinformazione riuscendo se non a bloccare, almeno ad arginare e ridimensionare significativamente la propaganda digitale filorusso che correva sui social” – così G. Scorza su Milano Finanza, edizione dell’8 marzo). Un intervento forse dovuto, dopo che in passato l’utilizzo dei social media con scopi di propaganda ha portato a veri e propri genocidi (tra i più recenti quello della minoranza musulmana in Birmania nel 2017).
Un ulteriore fattore in grado di pesare sugli esiti di un conflitto è costituito dalle sanzioni internazionali, in particolare quelle di carattere finanziario, utilizzate per contrastare l’attività di Stati, individui o organizzazioni che minacciano la pace e la sicurezza internazionale. L’Unione Europea, già a partire dal 2014 – anno in cui la Russia ha invaso la Crimea e operato tentativi di destabilizzazione dell’Ucraina – ha adottato una serie di sanzioni (per un elenco completo di queste ultime si veda qui). Tra queste, particolarmente rilevante e discussa è stata la decisione del 1° marzo scorso di escludere alcune delle principali banche russe dal circuito Swift, di cui parliamo in questo post.
Lo Swift, acronimo di Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication, è un consorzio internazionale di banche con sede in Belgio che collega attraverso una rete informatica numerose istituzioni finanziarie in oltre 200 paesi di tutto il mondo. Il circuito Swift è dunque in poche parole quello che consente il buon esito delle operazioni internazionali ed è centrale per i traffici commerciali tra Paesi. Attraverso la sanzione, l’Unione Europea mira a rimuovere i soggetti elencati dal sistema, al fine di disconnetterli dal sistema finanziario internazionale e di ostacolarne la capacità di operare a livello globale.
Nonostante sia trascorso più di un mese dall’adozione della sanzione, non sembra ad oggi che i pesanti effetti negativi per l’economia russa da più parti prospettati si siano manifestati. Piuttosto, si è osservato come la Russia sia tutt’altro che isolata nella “guerra dei pagamenti” (M. Pimpinella su Milano Finanza dell’8 aprile 2022).
Anzitutto, l’effetto di grave isolamento finanziario che sarebbe derivato dall’esclusione dal circuito non si sarebbe verificato dal momento che già da tempo il governo russo aveva sviluppato un’altra rete di pagamenti (il SPFS – System for Transfer of Financial Messages); non solo: il sistema finanziario russo avrebbe potuto fare affidamento sul sistema di pagamento interbancario transfrontaliero cinese (CIPS – per un’analisi più di dettaglio si veda qui).
Inoltre, per eludere il potenziale blocco dei traffici si è in parte fatto ricorso alle criptovalute e in modo particolare al bitcoin, che si conferma quale strumento elusivo d’elezione. Per questo motivo è stata auspicata in Europa un’accelerazione dei tempi di approvazione del Regolamento MICA (ne abbiamo parlato qui) e sono stati adottati i Regolamenti n. 394 e 398 del 9 marzo con i quali è stato ristretto l’accesso al mercato dei capitali per la Russia, ponendo in particolare il divieto di acquistare, vendere, collocare o assistere all’emissione di valori mobiliari anche sotto forma di cripto-attività.
Da ultimo, recentemente è stata diffusa la notizia per cui vi sarebbe l’intenzione di creare una nuova moneta internazionale, alternativa al dollaro e all’euro, che riguarderebbe l’Unione economica euroasiatica. Si tratterebbe o di una stablecoin, vale a dire di una criptovaluta il cui valore però è stabile in quanto ancorato a un paniere di valute e metalli preziosi, o di una central bank digital currency (il tema è stato affrontato qui, qui e qui).
Le notizie riportate si innestano sul dibattito in corso e, in particolare, sulla necessità di prevedere quanto prima l’introduzione di regole certe e sistematiche per le criptoattività, viste le preoccupazioni per l’impiego delle stesse a scopo di finanziamento del terrorismo o di riciclaggio. Oggi la consapevolezza che le stesse possano costituire un’arma per condurre una contro-offensiva rispetto alle sanzioni finanziarie rende ancor più urgente la previsione di un sistema di regole.
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