Focus sentenze G.A. su decisioni algoritmiche – Può un algoritmo sostituirsi all’attività amministrativa tradizionale?

La legge n. 241 del 1990 disciplina l’attività amministrativa, individuando specificamente le fasi, i ruoli e le funzioni in capo agli uffici e al responsabile del procedimento che anticipano, e nei fatti legittimano, il provvedimento finale. Ma può essere altrettanto legittima una decisione incisiva su posizioni giuridiche di soggetti privati, se devoluta ad un meccanismo informatico-matematico? Partendo da una fattispecie concreta che ha interessato il dibattito pubblico e giurisprudenziale, la questione non si pone in termini di mera possibilità “in natura”, ma in termini di necessità di tutelare le guarentigie di cui agli artt. 2, 6, 7, 8, 9 ,10 della legge sul procedimento amministrativo.

 

Il TAR Lazio, Sez. III bis con sentenza n. 9224 del 10 settembre 2018 ha dichiarato fondati i motivi di ricorso formulato dai ricorrenti, docenti immessi in ruolo nella c.d. fase C del piano straordinario assunzionale a seguito delle procedure indette ex art. 1, co. 98, lett. c) della l. n. 107/2015. I ricorrenti chiedevano l’annullamento dei provvedimenti con cui l’amministrazione aveva disposto il trasferimento degli stessi, a conclusione della procedura nazionale di mobilità, di cui all’ordinanza ministeriale n. 241/2016 in attuazione dell’art. 1, co. 108 della già citata legge.

I ricorrenti lamentavano che il suddetto meccanismo straordinario di mobilità si fosse rivelato, nei fatti, pregiudizievole per quei docenti, immessi in ruolo nella fase C, trasferiti in province più lontane da quella di propria residenza o da quelle scelte con priorità in sede di partecipazione alla procedura, benché in tali province di elezione vi fossero disponibili svariati di posti.

Di interesse in questa sede è il secondo motivo fondante il ricorso, che innesta l’illegittimità dei provvedimenti amministrativi così scaturiti, secondo il vizio della violazione di legge rispetto art. 1 della l. n. 241/1990 e, per eccesso di potere per manifesta illogicità e irragionevolezza e difetto di motivazione. I docenti si dolgono del fatto che il delineato piano straordinario non sia stato corredato dalle necessarie garanzie proprie dell’attività amministrativa, ma sia stato demandato ad un algoritmo, sconosciuto e impersonale, per effetto delle cui determinazioni sono stati effettuati i trasferimenti e le assegnazioni in evidente contrasto con il fondamentale principio della strumentalità del ricorso all’informatica nelle procedure amministrative. Sarebbe, di fatti, mancato l’effettivo svolgimento di una congrua, attenta e preventiva attività amministrativa procedimentale.

In pieno accoglimento delle critiche formulate dai ricorrenti, la decisione del Collegio è tranchat, e non elude una chiara, netta e percepibilissima scelta di campo. I giudici della sezione III bis chiariscono che alcuna difficoltà o ampiezza dell’oggetto e delle valutazioni che interessano l’attività procedurale della pubblica amministrazione possa giustificare la devoluzione della stessa ad un algoritmo, una potenza di calcolo matematico-informatico del tutto priva di personalità, che compierebbe in tali casi scelte provvedimentali incisive di posizioni giuridiche soggettive dei consociati, e non prive, per tanto, anche di potenziali ricadute sugli apparati e gli assetti della pubblica amministrazione.

Un algoritmo, quantunque dotato di caratteristiche tecniche che gli permettano di tener conto dei molteplici input di informazioni come posizioni personali, titoli e punteggi, giammai potrebbe assicurare la salvaguardia delle guarentigie procedimentali che gli artt. 2, 6, 7, 8, 9, 10 della legge sul procedimento hanno apprestato all’agire amministrativo, garantendo il rispetto del principio di legalità. Nel dire questo il Tar del Lazio definisce l’algoritmo come entità priva di capacità valutazionali delle singole fattispecie concrete, che al contrario garantirebbero le tradizionali modalità pre-provvedimentali della P.A. fatte da uffici, da responsabili del procedimento, da uomini in carne ed ossa.

Ricorrere alla decisione algoritmica significherebbe, in tal guisa, non solo incidere negativamente sul versante procedimentale, ma anche vulnerare gli istituti di partecipazione, trasparenza e accesso, impedire cioè la relazione del privato con i pubblici poteri. Ad essere leso sarebbe anche l’obbligo di motivazione delle decisioni amministrative, con il risultato di compromettere anche le correlate garanzie processuali sul versante del diritto di azione e difesa in giudizio di cui all’art. 24 della Costituzione. Tale diritto verrebbe compromesso in quanto la black box decisoria dell’algoritmo, in assenza della motivazione, non permetterebbe inizialmente all’interessato e successivamente, al giudice, di percepire l’iter logico-giuridico che ha condotto ad un determinato approdo provvedimentale.

In conclusione, ad avviso del Collegio le procedure informatiche, finanche costruite al raggiungimento del maggior grado di precisione e addirittura perfezione, non possono mai sostituire la capacità cognitiva, acquisitiva e di giudizio che solo un’istruttoria affidata ad un funzionario persona fisica è in grado di svolgere. Ciò, in quanto non verrebbe assicurata l’osservanza delle garanzie poste dalla legge a tutela e legittimità dei provvedimenti amministrativi e l’applicazione degli istituti di partecipazione, di interlocuzione procedimentale, di acquisizione degli apporti collaborativi del privato e degli interessi coinvolti nel procedimento, ostando all’opposta prospettiva di “dismissione delle redini della funzione istruttoria e di abdicazione a quella provvedimentale” i presidi costituzionali scolpiti negli artt. 3, 24, 97 della Costituzione oltre che all’art. 6 della Convezione europea dei diritti dell’uomo.

Interessante, quanto potenzialmente discutibile e opinabile pare il richiamo, presente nel dispositivo della sentenza in commento, a quella giurisprudenza pronunciatasi sui casi di esclusione da una procedura concorsuale per problematiche discendenti dall’impiego di modalità informatiche prescritte per la presentazione della domanda di partecipazione. In quei casi, infatti, la manifesta irragionevolezza, ingiustizia ed irrazionalità del sistema di presentazione delle domande pare attenere piuttosto alla modalità di partecipazione alla procedura concorsuale che alla modalità di esercizio dell’attività amministrativa sostanziale. Inoltre, se da un lato il solo malfunzionamento della piattaforma comporta l’ardita conseguenza di sostituirsi all’amministrazione in merito all’esclusione, le conclusioni del Collegio si pongono nel senso di negare in assoluto anche un potenziale corretto svolgimento dell’attività procedimentale e provvedimentale dell’algoritmo.

L’atteggiamento di chiusura nei confronti dell’innovazione tecnologica delle decisioni amministrative, non celato dalla rigida postura tenuta dai giudici amministrativi laziali, e dettato da un enunciato garantismo scudato dei principi del procedimento, sembra non lasciare la possibilità di intravedere la ricerca di una possibile soluzione di compromesso tra amministrazione e progresso. Ritenere assolutamente irriproducibili e inavvicinabili le garanzie poste a tutela del legittimo agire delle pubbliche amministrazioni nelle decisioni algoritmiche pare piuttosto un tentativo di porre una diga alla pur necessaria trasformazione digitale che tanto potrebbe contribuire al perseguimento della tutela dei principi dell’efficienza e del buon andamento dell’amministrazione, di cui all’art. 97 della nostra Carta costituzionale. Dello sviluppo della giurisprudenza ne abbiamo parlato su questo Osservatorio qui e qui.

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