Maneggiare nuove definizioni, quali “algoritmo” o “intelligenza artificiale”, è imperativo per la P.A. moderna. Questi termini sono infatti sempre più diffusi in norme e bandi di gara, ma la loro interpretazione non può prescindere dal buon senso e dallo specifico contesto in cui sono inseriti.
La pubblica amministrazione non può più prescindere da conoscenze informatiche e tecnologiche, e questo comporta che termini come “algoritmo”, saranno sempre più presenti negli atti amministrativi, costituendone – talvolta – persino la base della decisione (ne abbiamo parlato QUI).
Ma con quale livello di dettaglio vanno declinati? Come vanno intesi? A queste domande risponde la recente giurisprudenza del Consiglio di Stato (con la sentenza n. 7891/2021), che per l’appunto ha ricostruito il modo in cui il termine “algoritmo” va interpretato all’interno di un bando di gara.
La questione del contendere atteneva al collegamento della nozione di “algoritmo” con quella di “automazione”. Nello specifico, la gara riguardava l’acquisto di Pacemaker, e tra i parametri sulla base dei quali veniva attribuito il punteggio tecnico figuravano “Algoritmo di prevenzione e trattamento delle tachiaritmie atriali”.
La ditta seconda classificata aveva impugnato l’aggiudicazione, contestando il punteggio ricevuto e ritenendo che la propria offerta fosse invece meritevole del punteggio per l’algoritmo non attribuitogli dalla Commissione valutatrice. Il prodotto che aveva offerto era infatti dotato di un software di test, che pure non offrendo alcuna automazione, era da considerare, secondo la ditta, a tutti gli effetti come un algoritmo. A parere della ditta (e del giudice di primo grado, sentenza n. 843/2021) – l’algoritmo richiesto dal capitolato tecnico era da ricondursi alla nozione generale quindi “semplicemente, a una sequenza finita di istruzioni, ben definite e non ambigue, così da poter essere eseguite meccanicamente e tali da produrre un determinato risultato”.
Una definizione di algoritmo di tale tenore risulta, senza dubbio, infinitamente ampia. Seppure tale definizione risulti corretta, seppur nella sua ampiezza, ai fini del bando avrebbe finito per ricomprendere elementi che nulla aggiungono al valore del prodotto. Poiché l’algoritmo in questione era la base del punteggio tecnico aggiuntivo e visto che tale punteggio era volto proprio ad individuare soluzioni tecnicamente più avanzate, non sarebbe stato logico nel caso dare il punteggio massimo tanto a un software che dipende integralmente dall’azione umana, quanto ad uno che automaticamente interviene in alcuni contesti, apportando un significativo vantaggio al prodotto.
La sentenza del TAR è stata impugnata dall’originale vincitore e così nel successivo giudizio ha vinto il buonsenso. Il Consiglio di Stato ha infatti chiarito che per quanto la definizione generale di algoritmo attenga ad una semplice sequenza logica di istruzioni, se riferita a sistemi tecnologici “è ineludibilmente collegata al concetto di automazione ossia a sistemi di azione e controllo idonei a ridurre l’intervento umano”. Non era necessario, in altre parole, che l’amministrazione enucleasse in dettaglio che la funzione dell’algoritmo fosse quella di ridurre l’intervento umano, poiché nel contesto di riferimento per algoritmo di trattamento non poteva che intendersi un algoritmo con funzione di automazione. Il software della seconda ditta era invece un mero test diagnostico, che per quanto basato su un algoritmo interno, rimetteva poi all’operatore ogni scelta.
Occorre comunque rilevare che l’interpretazione del bando di gara e la valutazione effettuata dal primo giudice sono connesse ad un problema di definizione. Il TAR, infatti, aveva ritenuto che l’automazione non fosse tanto un concetto da ricollegarsi agli algoritmi, bensì all’Intelligenza Artificiale. Affermava infatti che “il dato testuale della lettera di invito non richiede che l’algoritmo di trattamento, al verificarsi dell’episodio aritmico, sia avviato dal dispositivo medesimo in automatico. Tale caratteristica attiene a una componente ulteriore, non indicata nella legge di gara, vale a dire a un algoritmo di intelligenza artificiale nella diagnosi dell’aritmia e avvio del trattamento”.
La semplificazione di cui sopra è imputabile ad una definizione né rigorosa né contestualizzata. Per automatizzare è sufficiente costruire una relazione logica tra input e output, e tale relazione può essere direttamente definita da chi scrive l’algoritmo, non necessitando di alcuna “intelligenza artificiale”. Il problema si declina diversamente se è lo stesso algoritmo – o, per dirla in altre parole, la sequenza logica – ad apprendere e migliorarsi autonomamente e gradualmente ad ogni ciclo di lavoro. Tale differenza è stata evidenziata dal Consiglio di Stato, nei seguenti termini: “Cosa diversa è l’intelligenza artificiale. In questo caso l’algoritmo contempla meccanismi di machine learning e crea un sistema che non si limita solo ad applicare le regole software e i parametri preimpostati (come fa invece l’algoritmo “tradizionale”) ma, al contrario, elabora costantemente nuovi criteri di inferenza tra dati e assume decisioni efficienti sulla base di tali elaborazioni, secondo un processo di apprendimento automatico” (più approfondimento ne abbiamo parlato QUI).
La questione non è certamente di lana caprina, come reso evidente dal contenzioso qui riportato. La definizione che viene applicata può modificare in modo radicale l’esito dell’aggiudicazione. Seppure non possa dedursi dalla sentenza una nuova nozione di “algoritmo tecnologico” di portata generale (ne abbiamo parlato QUI), dalla decisione del Consiglio di Stato può però trarsi un principio interpretativo che impone una lettura dei termini coerente con il bando e secondo buon senso. Una lettura meramente letterale e decontestualizzata impedirebbe, infatti, all’amministrazione di soddisfare i suoi bisogni acquisendo i prodotti tecnologici all’ avanguardia. La P.A. moderna deve però abituarsi ai concetti di algoritmo e di intelligenza artificiale e usarli con giudizio se vuole essere chiara nelle sue attività ed evitare di incorrere in contenziosi.
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