Facebook vieta la presenza, sulla propria piattaforma, di persone e organizzazioni che istighino all’odio e alla violenza. Il social network procede così nel settembre 2019 all’oscuramento delle pagine di CasaPound e Forza Nuova, ritenendo i contenuti pubblicati dalle stesse contrari agli standard della community. I due partiti di estrema destra adiscono il giudice civile, ritenendo di essere state illegittimamente bandite da Facebook. Le due vicende presentano epiloghi agli antipodi.
Negli standard della community, Facebook vieta la pubblicazione di contenuti che istighino all’odio e alla violenza, così come impedisce la presenza sul social network di persone e organizzazioni che siano portatrici di tali valori.
Nel settembre 2019, Facebook oscura le pagine di CasaPound e Forza Nuova e scompaiono a seguito di ciò dal medesimo social network e da Instagram i profili di numerosi esponenti nazionali, locali e provinciali delle stesse organizzazioni. Giustifica la propria scelta sostenendo che: «Le persone e le organizzazioni che diffondono odio o attaccano gli altri sulla base di chi sono non trovano posto su Facebook e Instagram. Candidati e partiti politici, così come tutti gli individui e le organizzazioni presenti su Facebook e Instagram, devono rispettare queste regole, indipendentemente dalla loro ideologia». Da sempre Facebook elimina infatti dalla propria piattaforma individui e organizzazioni che incitano all’odio e alla violenza, sebbene lo faccia solo a seguito di un complesso accertamento che consiste nella valutazione della promozione da parte dei soggetti di comportamenti violenti sulla base di fattori come razza, etnia, personalità; controlla come gli stessi gruppi si autodefiniscono; se utilizzano discorsi di odio.
Il Tribunale civile di Roma – sezione specializzata in materia di Impresa, giudice dott.ssa Stefania Garrisi, sul ricorso R.G. 59264/2019, ordinanza del 12 dicembre 2019 – adito da CasaPound accoglie il ricorso, in quanto risulterebbe «evidente il rilievo preminente assunto dal servizio di Facebook, con riferimento all’attuazione di principi cardine essenziali dell’ordinamento come quello del pluralismo dei partiti politici (49 Cost.), al punto che il soggetto che non è presente su Facebook è di fatto escluso dal dibattito politico italiano». Così, ai sensi della decisione, discenderebbe dall’esclusione dei ricorrenti dal social network un contrasto con il diritto al pluralismo, «eliminando o fortemente comprimendo la possibilità per l’Associazione ricorrente (…) di esprimere i propri messaggi politici».
Il giudice civile sostiene inoltre che la responsabilità civile derivante da comportamenti che siano anche penalmente illeciti da parte di aderenti al partito non possa ricadere in modo automatico sul partito stesso, così che allo stesso possa essere interdetta l’espressione del pensiero politico sulla piattaforma.
A Facebook viene quindi ordinato di ripristinare la pagina e condannato alla rifusione delle spese di giudizio, ammontanti a 15 mila euro.
Le polemiche, tuttavia, non risultano sopite e Facebook annuncia di aver presentato reclamo contro l’ordinanza del Tribunale: «Non vogliamo che le persone o i gruppi che diffondono odio o attaccano gli altri sulla base di chi sono utilizzino i nostri servizi, non importa di chi si tratti. Per questo motivo abbiamo una policy sulle persone e sulle organizzazioni pericolose che vieta a coloro che sono impegnati in “odio organizzato” di utilizzare i nostri servizi. Partiti politici e candidati, così come tutti gli individui e le organizzazioni presenti su Facebook e Instagram, devono rispettare queste regole, indipendentemente dalla loro ideologia».
A differenza di quanto accaduto a dicembre con CasaPound, il Tribunale civile di Roma – sezione diritti della persona e immigrazione civile, giudice dott.ssa Silvia Albano, sul ricorso R.G. 64894/2019, con ordinanza del 23 febbraio 2020 – conferma la legittimità dell’oscuramento da parte di Facebook della pagina di Forza Nuova. Per il giudice, «Dal complesso quadro di fonti normative (…) emerge con chiarezza che tra i limiti alla libertà di manifestazione del pensiero, nel bilanciamento con altri diritti fondamentali della persona, assume un particolare rilievo il rispetto della dignità umana ed il divieto di ogni discriminazione, a garanzia dei diritti inviolabili spettanti ad ogni persona. La libertà di manifestazione del pensiero non include, pertanto, discorsi ostili e discriminatori (vietati a vari livelli dall’ordinamento interno e sovranazionale)». La pronuncia continua, dopo una lunga elencazione di episodi che vedono coinvolto il partito di Forza Nuova: «Gli esempi riportati valgono a rafforzare la qualifica di organizzazione d’odio la cui propaganda è vietata su Facebook in base alle condizioni contrattuali ed a tutta la normativa citata. La risoluzione del contratto e l’interruzione del servizio di fornitura appaiono, quindi, legittimi». Termina con la considerazione secondo cui «Facebook non solo poteva risolvere il contratto grazie alle clausole contrattuali accettate al momento della sua conclusione, ma aveva il dovere legale di rimuovere i contenuti, una volta venutone a conoscenza, rischiando altrimenti di incorrere in responsabilità (…), dovere imposto anche dal codice di condotta sottoscritto con la Commissione Europea». L’ordinanza condanna i ricorrenti al pagamento delle spese legali, ammontanti a 4 mila 500 euro.
Due decisioni, quindi, dai contenuti profondamente divergenti, nonostante la sostanziale equivalenza delle tematiche affrontate. E la speranza che non si tratti semplicemente di due orientamenti diversi, ma di un vero e proprio revirement del pensiero del giudice circa la doverosità – oltre che legittimità – del comportamento tenuto da Facebook, volto a oscurare le pagine che, sulla piattaforma medesima, istighino all’odio e alla violenza.
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