1. Facebook è il social network per eccellenza, il primo a diffondersi globalmente tra diverse generazioni (superando i limiti di MSN Messanger) e imporsi, con algoritmi più sofisticati, nella nuova economia basata sui dati. Proprio la posizione assunta nel mercato e, quindi, nel panorama delle piattaforme online, suscita in alcuni preoccupazione sotto diversi aspetti (non ultimo quello politico-istituzionale, cfr. il caso della disattivazione dell’account del presidente in carica degli Stati Uniti d’America su cui decide anche il “tribunale” di Facebook, l’Independent Oversight Board; o l’audizione al Senato degli Stati Uniti della whistleblower Frances Haugen), tra i quali quello strettamente legato alla concorrenza e all’ipotesi di monopolio della Facebook Inc. Preoccupazioni che si rafforzano osservando l’infrastruttura di rete di Facebook, progettata per essere controllata dal vertice di Facebook Inc., «centralizzata e quindi interdipendente» per tutti i suoi servizi, tra cui WhatsApp e Instagram. Un limite importante in caso di crash.
2. Nel dicembre 2020 la Federal Trade Commission (FTC), Autorità amministrativa indipendente degli Stati Uniti, ha promosso un’azione civile, insieme con 46 State Attorney, contro Facebook Inc. innanzi alla United States District Court for the District of Columbia, per contestare la presunta posizione di monopolio assunta dalla società nel mercato dei “Personal Social Networking Services” (così definito dalla Federal Trade Commission medesima). Un’azione più radicale rispetto a quella mossa anche in Italia nel 2018 per violazione del diritto dei consumatori.
Il caso è in corso di decisione; un primo “complaint” della FTC è stato rigettato con una decisione del 28 giugno 2021, redatta dal giudice Boasberg. La Corte afferma, in estrema sintesi, che il ricorrente non è riuscito a dimostrare la sussistenza del monopolio, che richiede, ai sensi della sezione 2 dello Sherman Act come interpretato dalla giurisprudenza, due elementi: il possesso del potere di monopolio nel mercato rilevante; la volontà di mantenere quel potere, distinto dalla crescita o dallo sviluppo come conseguenza di un prodotto superiore, acume di impresa o accidenti storici («1. the possession of monopoly power in the relevant market and 2. the willful … maintenance of that power as distinguished from growth or development as a consequence of a superior product, business acumen, or historic accident»).
Secondo la decisione, infatti, nonostante gli sforzi argomentativi, l’istituzione non riesce a dare prova diretta («makes no real direct-proof argument») dell’esistenza del monopolio, ma soltanto il possesso da parte di Facebook di una «dominant share of a relevant product and geographic market (the United States market for Personal Social Networking Services) protected by entry barriers».
L’azione della FTC si concentra sul tentativo di dimostrare come l’acquisizione di Instagram (per 741 milioni di euro nel 2012) e WhatsApp (per 19 miliardi di euro nel 2014) sia stata mirata ad eliminare la concorrenza e consolidare il monopolio di Facebook. Per quanto riguarda Instagram, la FTC sostiene che Facebook prova ad integrare le caratteristiche del competitore su Facebook Blue e quindi, fallendo, propone l’acquisto di Instagram al quale i suoi acconsentono. La sentenza sottolinea come la FTC abbia votato 5 a 0 favorevolmente all’acquisizione, in seguito, per giunta, ad una richiesta di supplemento di istruttoria al momento della proposta commerciale. Rispetto a WhatsApp anche, la FTC sostiene che l’acquisizione, invece che la possibilità di far crescere l’App come uno «standalone Personal Social Networking» abbia contribuito al consolidamento del monopolio.
La Corte ritiene che le definizioni di marcato e quota di mercato vadano lette insieme per osservare e giudicare il potere del convenuto nel mercato di riferimento; inoltre il giudice nota come «il mercato dei prodotti di personal social network è disegnato in modo idiosincratico». Pertanto, è necessaria una prova sostanziale e non allegare solo che Facebook abbia mantenuto una posizione dominante del mercato statunitense dal 2011 e che «non esistono altri social network di scala comparabile negli Stati Uniti» (cfr. sentenza, p. 27).
Il caso resta comunque aperto e in attesa di sviluppi.
3. Al di là del merito, la decisione offre lo spunto per alcune osservazioni minime di sistema.
La prima riguarda il tema della regolamentazione delle piattaforme online. Il grande limite che i regolatori pubblici incontrano è la difficoltà di disciplinare un fenomeno di scala globale con strumenti regolatori al più nazionali-continentali (come la proposta di regolamento dell’UE sul Digital Services Act) e di rispondere con strumenti antichi ad un fenomeno nuovo, fallendo la sfida ermeneutica di ridurre a una sintesi un fenomeno che esprime natura antitrust, di agenzia di comunicazione e di spazio politico-informativo (‘dimensione socio-politica’ per gli Europei, “free marketplace of ideas” sulla sponda Est dell’Atlantico). L’approccio olistico alla materia che sembra essere il segno distintivo della disciplina euro-unitaria (agendo su tre fronti presidiati da tre proposte di regolamento: Digital Services Act, Digital Market Act, Artificial Intelligence Act), non è condiviso negli Stati Uniti, dove il tema resta disciplinato dalla nota Section 230 del Communications Decency Act del 1996 (che segna la neutralità del provider), mentre l’approccio politico è affidato a diversi executive orders.
La seconda attiene agli equilibri politico-istituzionali generali degli Stati Uniti che si riflettono anche nella composizione e nell’azione della Federal Trade Commission, che, nel caso di Facebook, può avere un impatto globale. È il presidente degli Stati Uniti a decidere chi, tra i cinque componenti della FTC assume la presidenza e, in base all’atto istitutivo, un partito non può essere rappresentato da più di tre membri. Lina M. Khan, classe 1989, nota per le sue posizioni avverse alle c.d. Big Tech (cfr. Khan, 2016; Khan, 2017), è stata nominata chair della FTC da Biden. Questa nomina si affianca all’incarico a Tim Wu (autore del concetto di «network neutrality» nonché del volume The Curse of Bigness, recensito da B. Carotti in questo Osservatorio) come assistente del presidente nell’ambito del National Economic Coucil per la politica tecnologica e di concorrenza; nonché la candidatura di Jonathan Kanter come Assistant attorney general al Department of Justice.
L’approccio antitrust della scuola di Chicago, basato sulla tutela dei consumatori e il controllo dei prezzi sembra esplicitamente contestato; ad essere soggetti passivi di tutela e del law enforcement in materia antitrust saranno quindi i lavoratori, le piccole e medie imprese, gli agricoltori, e i nuovi imprenditori. Sul punto il presidente Biden è stato chiaro al momento della firma dell’executive order su “Promoting Competition in the American Economy” del 9 luglio 2021.
Una nuova fase regolatoria, avviata con un dibattito interno avviato dalla Congresso degli Stati Uniti, ragionamenti sulla c.d. web tax anche nell’UE e una nuova strategia di azione giuridica è appena cominciata negli Stati Uniti ma, con significative conseguenze anche nel mercato europeo tutte da verificare.
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