Diviene sempre più ineludibile la necessità di assicurare alla rete un quadro regolatorio globale, laddove Internet, non vantando un proprio Stato, postula un’idea aperta di territorialità, fondata su attori virtuali, che, a loro volta, operano su scala globale. E tutto questo avviene nella piena consapevolezza che tale sviluppo tecnologico non ha mutato il modo di vedere la democrazia, ma solo lo scenario nel quale la democrazia stessa si invera.
Il volume in esame esplora gli esiti e le prospettive della realtà digitale, quindi, di quella straordinaria trasformazione tecnologica, che, progressivamente, si è evoluta in metamorfosi culturale.
In tale quadro di analisi, l’Autore ricerca quelle soluzioni idonee ad assicurare al web la dovuta innovatività e la necessaria competitività, nella consapevolezza che in un mondo iperconnesso, come quello attuale, l’inadeguatezza della rete dequota la tutela dei diritti esistenti.
E così, rievocando Jean Tirole e, in specie, il suo approccio “Economics for Attention”, l’Autore ritiene che la regolazione della rete richieda sempre più <<una “attenzione” combinata tra prospettiva economica, sociologica e giuridica>> (p. 19), nel segno di un approccio valutativo oltremodo interdisciplinare.
Di qui, un’“attenzione” rivolta ai diritti di accesso, ai valori costituzionali, alla privacy, al diritto d’autore, all’invasività della tecnica, alla libertà di espressione, all’innovazione e, quindi, alla regolazione, poiché, sebbene la nozione di libertà della rete assuma significati diversi, in ogni caso, essa si traduce essenzialmente nella “esplicazione piena di diritti costituzionali, come la libertà di pensiero e di espressione” (p. 31).
Una pluralità, questa, di fenomeni e di regole che, attraverso la rete, permea molteplici diritti fondamentali, la cui tutela non può prescindere dalla rilevanza economica e dalla incidenza culturale esercitata, ormai da tempo, dalle note Big Tech.
Tutto questo si rivela vieppiù evidente se si considera – come ricorda l’Autore – che “sei dei prodotti di Google che coinvolgono un miliardo di utenti attivi sul base mondiale (Gmail, Android, Chrome, Maps, Search Youtube e Google Play Store) consentono a Google di tracciare ogni area della vita dell’utente” e che “Facebook ha circa 2 miliardi di utenti attivi, Twitter oltre 310 milioni, Instagram oltre 600 milioni” (p. 26).
Del resto, oggi, la risorsa più preziosa è costituita non più dal petrolio bensì dai ‘dati’, poiché, mentre il primo riflette una risorsa limitata, i dati, invece, sono suscettibili di essere rinnovati all’infinito, consentendo – ricorda l’Autore – di “sviluppare modelli di targettizzazione degli utenti sociali sempre più dettagliati e algoritmi sempre più comprensivi dell’universo della rete” (p. 70).
Ebbene, se è vero che Internet ha operato, sin dalla nascita, lungi dal subire interferenze normative, è altrettanto vero che proprio l’incombenza di nuovi rischi non solo lega, indissolubilmente, la tecnologia alla regolazione, quanto induce a meditare ed operare nel segno delle grandi tradizioni costituzionali, statunitense ed europea, volte ad “ancorare a solidi presidi le garanzie di salvaguardia dei fondamentali diritti della persona e delle comunità” (p. 32).
Pertanto, le diversità che contrappongono il commercial Internet statunitense al regulated Internet europeo, dovranno trovare sintesi proprio nella ontologia della rete, la quale, sempre più global power, necessita di una global governance e, quindi, di un diritto globale.
Rievocando il noto racconto di J.L. Borges, La Biblioteca di Babele, l’Autore osserva che nello spazio digitale, la Biblioteca è virtuale ed universale, sicché il bisogno di consultarla, nella sua vastità, rende indefettibile l’adeguatezza delle infrastrutture digitali, così da rendere effettivamente fruibile l’accesso ad Internet, divenuto ormai un nuovo “diritto sociale da garantire a tutti i cittadini attraverso il modello del servizio universale” (p. 88).
L’Autore, tuttavia, al termine del lavoro, si astiene dal formulare conclusioni, giacché, memore dell’irrefrenabile mutamento della tecnologia, ritiene che le stesse sarebbero “destinate a risultare immediatamente fuori dal tempo” (p. 108).
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