Eugenio Scalfari (1924-2022), giornalista, intellettuale di razza, direttore e fondatore di giornali, opinion maker autorevole, voce importante nell’Italia del dopoguerra e in quella di fine Novecento, individua qui – siamo nel 1986, anno di edizione del suo La sera andavamo in via Veneto – la degenerazione in atto nel rapporto politica-magistratura.
L’autorità politica, dal canto suo, incapace di gestire i poteri suoi propri, non ha trovato altro espediente per sopravvivere che di affiliarsi singoli settori della magistratura e singoli magistrati. L’affiliazione è stata al tempo stesso attiva e passiva: partiti e uomini politici hanno affiliati magistrati e viceversa. In questo modo, la supplenza politica della magistratura, provocata ed evocata dalla delegittimazione dei partiti, ha fatto nascere partiti “trasversali” ed ha politicizzato e lottizzato oltre ogni sopportabile misura l’ordine giudiziario. L’indipendenza della magistratura – una conquista preziosa dell’Italia repubblicana – è purtroppo stata utilizzata come usbergo, al riparo del quale il potere giudiziario si è sfilacciato in correnti, gruppi di pressione, magistrati più o meno rampanti, procuratori più o meno asserviti a padrini e partiti. Simmetricamente non c’è stato uomo politico di qualche rilievo che non disponesse di referenti propri nella magistratura penale e in particolare negli uffici della Procura e in quelli d’istruzione. L’azione penale è diventata, per effetto di questi processi inquinanti, sempre più erratica e la tutela del cittadino e della legge sempre più arbitraria.
Eugenio Scalfari, La sera andavamo in via Veneto, Milano, Mondadori, 1986, p. 278.