Elio Vittorini e il Pci nel 1946: “se fossi stato eletto alla Costituente sarei stato rovinato”

Nel 1946 Vittorini (Siracusa, 1908-Milano, 1966), eccellente traduttore dall’inglese, inesauribile scopritore di libri soprattutto americani, scrittore finissimo egli stesso e
intellettuale impegnato, antifascista (arrestato nel 1943, aveva subito il carcere a San Vittore), era da un anno il direttore della rivista d’avanguardia “Il Politecnico”. Sarebbe poi stato a lungo amico e collaboratore dell’editore Giulio Einaudi (per il quale avrebbe ideato la fortunata collana “I Gettoni”). All’epoca militante ma senza tessera del Partito comunista italiano, come tale era stato candidato nel Collegio di Milano alle elezioni per l’Assemblea Costituente, ma non era stato eletto. La sua fu – come allora si diceva – una “candidatura di servizio”, per portare voti alla lista.
In questa lettera alla famiglia chiarisce però senza infingimenti di essere contento della mancata elezione, in quanto non vuole essere identificato in quello che fa e in quello che scrive autonomamente con le posizioni ufficiali del Partito: ciò gli imporrebbe comportamenti e scelte obbligate, cui come intellettuale non vorrebbe mai sottostare. Una simile dichiarazione si inquadra nel processo forse già in atto di graduale distacco dal Pci: richiesto di tesserarsi avrebbe risposto di essere un comunista ma di non volersi iscrivere. Nel 1947 sarebbe scoppiata una dura polemica contro le posizioni di Vittorini sul “Politecnico”, rimbalzata sulle pagine del periodico ufficiale del Pci “Rinascita” in due rudi interventi di Mario Alicata e dello stesso Palmiro Togliatti. La “Lettera a Togliatti” dello scrittore, nella quale si contestava l’ortodossia stalinista del Pci, avrebbe avuto vasta eco anche internazionale (in Francia l’avrebbe pubblicata la rivista “Esprit”). Nel 1951 Vittorini si distaccò definitivamente e ufficialmente dal partito. Sotto il trasparente pseudonimo di Roderigo di Castiglia, Togliatti sull’ “Unità” gli dedicò uno sprezzante corsivo, che rimase celebre.  Si intitolava “Vittorini se n’è ghiuto, e soli ci ha lasciato!”.

Milano, giugno-luglio 1946
 Miei carissimi (papà – mamma, zia Peppina e Jole) quattro parole per abbracciarvi personalmente, vi scriverà più a lungo Ginetta. Mi dispiace che eravate contenti per mia vociferata elezione. Ma io sarei stato rovinato  – messo nell’mpossibilità definitiva di scrivere – se fossi andato alla Costituente. Ho accettato di essere in lista per dare un nome di piú al mio partito. Ma era inteso che avrei rinunciato se eletto e ho passato i miei voti di preferenza sul posto successivo al mio. Io ho bisogno, oltretutto, che quanto io possa scrivere non venga considerato come ufficiale del Partito e se fossi andato deputato sarebbe stato così, mentre ho bisogno assoluto di non avere posizione ufficiale, per avere invece libertà assoluta in quello che posso dire – e pigliarmela contro i democristiani come mi pare. Ma le condizioni in cui si trova la Sicilia come il referendum e le elezioni le hanno rivelate, mi hanno fatto piangere di pena. Povero popolo abbrutito e ingannato! Vorrei avere piú energia e venire a lavorare un po’ tra voi a cercare di aprire gli occhi ai nostri siciliani.
Vi abbraccio, vostro Elio

Da Elio Vittorini, Gli anni del Politecnico. Lettere 1945-1951, Torino, Einaudi, 1977, p. 59, [Alla famiglia. Siracusa, giugno-luglio 1946].