I computer sono oggi imbattibili anche per il campione del mondo di scacchi, brani musicali generati digitalmente sono indistinguibili da brani composti da un essere umano e l’uso dell’Intelligenza Artificiale (IA) è ormai pervasivo nella ricerca. Di fronte alla sfida di portare benessere a più di 7,6 miliardi di persone senza compromettere l’ecosistema, sorge spontaneo chiedersi se e in che modo possiamo farci aiutare dall’IA. Questa complessa domanda è affrontata in termini semplici, ma non riduttivi, dal Rapporto “L’intelligenza artificiale per lo sviluppo sostenibile”.
Quali sono capacità e limiti attuali dell’Intelligenza Artificiale (IA), e quali le prospettive di evoluzione su cui la ricerca si sta concentrando? In che modo l’IA può contribuire a rispondere alle sfide globali dello sviluppo sostenibile? Come evitarne usi distopici? Che strategie in materia di IA stanno portando avanti i diversi paesi?
A queste domande cerca di dare risposte il Rapporto “L’intelligenza artificiale per lo sviluppo sostenibile”, realizzato dall’Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale (AIxIA), l’Associazione Comunità, Impegno, Servizio, Volontariato (CISV) e il Dipartimento di Informatica dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro.
Il Rapporto, disponibile online, si articola in cinque capitoli.
Il primo ha natura introduttiva: spiega cos’è l’IA e quali sono state le tappe più significative di questa disciplina, dalla sua nascita ad oggi. Descrive, senza pretese di esaustività, le idee e le tecnologie alla sua base e le capacità e i limiti applicativi che la caratterizzano attualmente, nonché la ricerca tesa a superarli.
Il secondo capitolo è il focus centrale dello studio. Analizza le opportunità derivanti dall’impiego di sistemi di IA per raggiungere i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 (SDG, Sustainable Development Goals), il programma sottoscritto nel 2015 dai governi dei 193 Paesi dell’ONU.
Per valutare il potenziale impatto dell’IA occorre un approccio olistico, che colga le relazioni tra i diversi obiettivi e gli effetti contrastanti di alcune azioni: il raggiungimento di un singolo SDG, se non visto in un quadro complessivo, può̀ compromettere quello degli altri. Ad esempio, l’IA potrebbe supportare il conseguimento del SDG n. 2 (Fame zero), ma bisogna evitare che lo faccia aumentando le coltivazioni intensive che rischiano di compromettere il SDG n. 13 (Agire per il clima). Ancora, l’IA può contribuire in vario modo al raggiungimento del SDG n. 4 (Istruzione di qualità), ad esempio riducendo il carico di lavoro dei docenti dedicato a compiti burocratici. Il rischio, secondo alcuni studi, è però quello di generare disoccupazione per via della parziale automazione del lavoro, compromettendo così il conseguimento del SDG n. 1 (Povertà zero).
Il Rapporto, nell’elencare i contributi dell’IA per il conseguimento dei diversi obiettivi, fornisce esempi di applicazioni pratiche. Tra i tanti, in questa sede è particolarmente interessante “Caterina”, progetto di digitalizzazione della pubblica amministrazione, descritto in relazione al SDG n. 16 (Pace, giustizia e istituzioni forti). Disponibile 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, Caterina è un assistente virtuale realizzata per rendere più semplice e rapido l’accesso dei cittadini di Siena al servizio demografico. È capace di rispondere alle domande più comuni degli utenti, di prenotare, cancellare e modificare appuntamenti e di scaricare certificati. I dati dimostrano che il progetto ha migliorato in modo significativo la comunicazione tra ente pubblico e cittadino, oltre ad aver ottimizzato il lavoro degli operatori pubblici.
Secondo gli autori, nel complesso l’IA può dare un contributo concreto allo sviluppo sostenibile, con sistemi in grado di misurare le condizioni di partenza e quanto ci si distanzi dal conseguimento di ogni obiettivo; ottimizzare le risorse a disposizione; fornire supporto per analizzare gli impatti delle possibili strategie e suggerire soluzioni innovative.
Resta ferma l’esigenza di gestire i rischi collegati al suo utilizzo. Innanzitutto, quelli in materia di impatto ambientale: per addestrare le reti neurali e gli algoritmi di machine learning, dal cui utilizzo dipendono molti dei successi attuali dell’IA, è necessaria una quantità rilevante di energia, spesso generata da combustibili fossili.
Il terzo capitolo evidenzia la presa di coscienza dell’impatto economico e sociale dell’IA da parte dei governi, che hanno iniziato a redigere documenti di indirizzo politico sul tema. Il primo risale al 2016, e proviene dalla Cina; a esso è seguita poco dopo la risposta dell’amministrazione Obama, “Preparing for the future of Artificial Intelligence”. Ad oggi, più di 50 stati hanno pubblicato strategie di ricerca, sviluppo e applicazione in materia di IA. Figura tra questi anche l’Italia, che ha accolto l’esortazione dell’Europa a sviluppare strategie nazionali, in coerenza con il “Coordinated Plan on Artificial Intelligence” adottato a fine 2018 da Commissione Europea e Stati membri. Oltre all’esame dettagliato di ciascuna strategia, il Rapporto presenta una loro analisi comparata.
Da questi documenti emerge la forte concorrenza tra gli stati per attrarre i migliori talenti internazionali e acquisire una posizione egemone in materia di IA. Nel suo nuovo piano, la Cina dichiara espressamente di voler diventare leader mondiale sul tema entro il 2030. Il gigante orientale “sta avanzando velocemente grazie a forti investimenti, supporto statale e spregiudicatezza di fondo”, fermo restando che, ad oggi, i paesi più avanzati sull’IA sono gli Stati Uniti e quelli dell’Europa Occidentale.
La maggior parte delle strategie nazionali tende a descrivere l’IA come chiave di svolta del futuro (senza analizzare però compiutamente la possibilità di utilizzarla per affrontare la crisi ambientale) e a relegarne gli aspetti negativi a poche tematiche (come il rischio di disoccupazione). Alla dimensione etica è dedicata generalmente una parte finale dei documenti—senza considerare alcuni usi critici che potrebbero verificarsi in ambito industriale o governativo, relativi ad esempio a sistemi di controllo o identificazione. Scarseggiano particolari sull’impatto dell’IA sulle finanze pubbliche e sulle fonti di finanziamento delle strategie, nonché sulla fase esecutiva di queste ultime.
Il quarto capitolo evidenzia come il successo dell’agenda per lo sviluppo sostenibile presupponga una comunità di intenti tra i diversi paesi, nonché partenariati tra governi, settore privato e società civili. Su questa premessa, gli autori analizzano il supporto che l’IA può dare alla negoziazione internazionale. A loro avviso, “L’utilizzo di dati controllato e dettato da una intelligence addestrata potrebbe divenire un elemento imprescindibile nella gestione dei negoziati del futuro”. Infatti, l’affiancamento di un assistente virtuale, oltre a “ridurre sensibilmente le aree legate all’emozione e al pregiudizio”, consentirebbe di velocizzare la fase preparatoria delle trattative e diminuirebbe il margine di errore nella raccolta e nell’analisi delle informazioni che orientano i negoziati.
Il quinto capitolo contiene un insieme di raccomandazioni di indirizzo politico su diversi temi (come le modalità con cui portare avanti la ricerca in materia di IA), finalizzate ad esaltare i benefici connessi all’utilizzo di sistemi di IA e evitare effetti distopici.
L’idea è che gli effetti saranno distopici se l’IA verrà calata in un “modello sbagliato”. Le macchine “allenano” la propria intelligenza sulla base della descrizione che l’uomo dà del problema, dei vincoli, degli strumenti a disposizione e del contesto. I bias cognitivi umani sono pertanto suscettibili di compromettere i risultati. Ad esempio, negli Stati Uniti si è impiegata l’IA per aiutare i giudici a fissare le cauzioni per gli imputati. L’algoritmo ha sistematicamente suggerito cauzioni più alte per persone di colore, perché i dati usati per addestrarlo derivavano da 30 anni di giudizi di magistrati americani con lo stesso pregiudizio.
Secondo gli autori, per evitare che l’IA generi effetti distopici in relazione allo sviluppo sostenibile, occorre un cambio di paradigma che passa per tre linee di azione. Innanzitutto, fare in modo che le tecnologie a supporto degli obiettivi dell’Agenda 2030 pongano al centro l’intero ecosistema, e non l’uomo. Poi, superare la visione che considera scarse le risorse di capitale e lavoro e inalterabili e senza limiti quelle ambientali. Infine, accostare ai sistemi tradizionali di misurazione del progresso sistemi nuovi, capaci di valutare, oltre allo sviluppo economico, il benessere sociale e ambientale.
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