Il Massachusetts Institute of Technology (Mit) ha pubblicato due report sugli scenari lavorativi alla luce dell’evoluzione tecnologica, che si incentrano sull’intelligenza artificiale e sugli effetti sociali che quest’ultima è in grado di causare nel mondo del lavoro. Esami e valutazioni da tenere in considerazione: occorre profondità di analisi e, pur evitando di lanciare campagne allarmiste – non nuove alla storia dell’evoluzione tecnologica – occorre consapevolezza sui pesanti rischi di esclusione e sulla necessità di essere vigili nel garantire eguali possibilità di formazione ed elevazione professionale senza distinzioni.
Il Mit ha pubblicato due rapporti sul “lavoro del futuro” (“The Work of the Future”). Tema di elevato interesse, perché coniuga l’analisi tecnologica a un risvolto giuridico essenziale, quale la tutela del lavoro, e sociale, per le dinamiche (o le stasi) a esso intrinsecamente connesse.
Domande incessanti sul destino della situazione lavorativa sono costantemente originate dalla evoluzione tecnologica: oggi, con l’introduzione di software predittivi su base statistica, comunemente detti “intelligenza artificiale” (IA), il tema diventa ancora più scottante.
Che la tecnologia abbia impatti sulla realtà sociale è di dominio pubblico. Come tutti i grandi mutamenti tecnologici, vi saranno scosse e ripercussioni, in parte destinati a cambiare alcuni scenari, in parte a stravolgerli.
Meno noti, spesso, i dettagli, sui quali si leggono (e si sentono) diverse imprecisioni. Di qui l’interesse dei due rapporti, che aiutano a fare luce su questa relazione, per cercare di capire se sia pericolosa o meno (ma, come nelle relazioni, nessuno lo saprà mai in anticipo).
La ricerca è stata ampia, con una durata di più di due anni (è stata avviata nel 2018) e ha prodotto due rapporti. Il primo, dell’autunno 2019, ricostruisce il quadro generale dell’uso della tecnologia, della diffusione nei diversi ambiti sociali e lavorativi, del suo impatto. Il secondo, di fine 2020, porta a compimento l’indagine con dettagli e analisi di profondità della diffusione delle tecnologie innovative.
Nel dettaglio, il primo, denominato “The Work of the Future: Shaping Technology and Institutions”, tratta delle questioni connesse alla corretta gestione delle tecnologie e al ruolo delle istituzioni nel promuovere e adeguare la realtà del lavoro di fronte al loro erompere . È diviso in sette parti: il panorama generale, il paradosso tecnologico, la “frode” del rapporto tra lavoro e tecnologia, le differenze del contesto attuale, i lavori del futuro, come preparare il futuro, alcune indicazioni e raccomandazioni.
Il secondo rapporto, intitolato “The Work of the Future: Building Better Jobs in an Age of Intelligent Machines”, tratta della relazione tra le tecnologie emergenti e la dimensione del lavoro. Muove dalla considerazione che negli ultimi anni (meno di cinque) i progressi sono stati esponenziali: si è passati da tecnologie lontane a uso quotidiano di meccanismi innovativi, come controlli stradali o finti vagabondi (che erano dei robot). È diviso in tre parti: mercato del lavoro e innovazione; tecnologia e innovazione; supporto delle istituzioni all’evoluzione tecnologica e ai suoi impatti sociali. A valle, vengono fornite alcune raccomandazioni di policy.
Nell’insieme, la lettura dei rapporti è agevole e allo stesso tempo approfondita. Fornisce un quadro d’insieme vivo, puntuale e pronto a essere compreso e riutilizzato, a fini di ulteriori ricerche ma anche per comprendere come migliorare l’assetto decisorio relativo alle nuove tecnologie (sul piano sostanziale).
Si possono evidenziare, in merito, i punti principali di interesse delle analisi condotte.
Primo: le tecnologie avanzate distruggeranno alcuni lavori, ma ne creeranno altri. Sembra di leggere il primo principio della termodinamica. Parrebbe incoraggiante: vi saranno nuovi lavori resi possibili dalle nuove tecnologie. Non vi è spazio per scenari apocalittici: “History and economics show no intrinsic conflict among technological change, full employment, and rising earnings”. Il rapporto ricorda come oggi, negli Stati Uniti, la stragrande maggioranza dei lavori non esisteva nel 1940. Dunque, il MIT sembrerebbe sfatare il mito che l’introduzione dell’IA sia una catastrofe per i lavoratori. Il tema della tecnologia e del suo impatto sulla società è ricorrente e l’analisi si inscrive in questo filone di pensiero.
I rischi, però, non sono da negare (e non sono negati nel rapporto): vi sono e vi saranno professioni penalizzate. Come lo sono state in passato: viene citato il caso della stampa chimica della fotografia (prima dell’avvento delle pellicole). Non mancano problemi particolarmente spinosi di natura più generale che, come si scriverà più avanti, concernono, in primo luogo, le pari possibilità secondo un’ottica di eguaglianza sostanziale.
Secondo: l’istruzione e la qualificazione saranno determinanti. La tecnologia spinge verso una specializzazione delle conoscenze e delle capacità; la possibilità di perfezionarle è dirimente nel lavoro dei prossimi tempi. Questo aspetto sfugge alla scelta dei singoli: spesso non si ha possibilità di una formazione adeguata. È qui, dunque, che il tema diventa sociale e di interesse generale. L’educazione, del resto, è sempre stata una sfida profondissima, anche nel momento di costruzione degli Stati nazionali e della definizione delle società democratiche nel Secondo dopoguerra. Occorre dare a tutti le stesse possibilità. In caso contrario, le tecnologie potranno esacerbare le già acutissime differenze sociali. Un dato, in questo senso, si conferma allarmante: la concentrazione dei benefici. Gli incrementi reddituali a partire dagli anni Ottanta si sono concentrati nelle mani di una minoranza. La vita della classe media è, dunque, peggiorata: il rapporto, in questo senso, conferma un trend evolutivo preoccupante sul piano sociale, che merita maggiore attenzione e maggiore azione da parte della politica e, inoltre, degli strumenti giuridici di tutela. In altri termini, la discriminazione si gioca su un altro fronte: quello delle possibilità offerte dall’organizzazione politica e sociale di formare le persone; quello degli esclusi e di chi resta indietro, perché parte da una situazione di svantaggio che la scarsa possibilità di studio e conoscenza non fa che aggravare.
È essenziale prevedere una migliore formazione continua del personale, anche mediante investimenti privati; aumentare i salari minimi (discorso molto attuale negli Stati Uniti); tornare a livelli maggiori di investimenti pubblici nell’area dello sviluppo e ricerca. L’immagine sottostante mostra molto chiaramente la tendenza dell’investimento pubblico e il rapporto inverso con quello privato (The Work of the Future: Building Better Jobs in an Age of Intelligent Machines, p. 70):
Terzo: sono la regolazione e le politiche pubbliche a fare la differenza. “Technologies, skills, and markets do not alone determine inequality or economic mobility. Educational institutions, labor market regulations, collective bargaining regimes, financial markets, public investments, and tax and transfer policies all play important roles”: è quanto si legge a pag. 35 del primo rapporto. Questo è un punto fermo: solo attraverso un attento dosaggio dei diversi strumenti di intervento pubblico si potrà creare un ambiente più equilibrato, compensando le inevitabili differenze. Citando casi di diversi Paesi che, colpiti da scenari finanziari ed economici non rosei, che ci accompagnano da più di un decennio, e costretti ad affrontare anche l’impatto decisivo delle nuove tecnologie, la ricerca mostra che dove la risposta regolatoria (in senso ampio) da parte dei poteri pubblici è stata celere ed efficace, si sono registrate migliori garanzie per i lavoratori.
Sappiamo che il benessere sprigionato dopo il Secondo conflitto mondiale si è fermato da tempo, anche in termini di tutela sociale (storici ed economisti sono concordi sul punto). La fase che stiamo vivendo attualmente è paradossale, con creazione di grandi opportunità, ma con la preoccupante riduzione dell’occupazione e la formazione di piramidi e strettoie: si rende imprescindibile, per non creare ulteriori divari, la diffusione della conoscenza, la formazione, la qualificazione, garantendone a tutti l’accesso. Proprio a tal fine, le istituzioni sono centrali.
“Will these developments enable people to attain higher living standards, better working conditions, greater economic security, and improved health and longevity? The answers to these questions are not predetermined. They depend upon the institutions, investments, and policies that we deploy to harness the opportunities and confront the challenges posed by this new era”.
In conclusione, il tema del lavoro è altamente critico (ne abbiamo parlato QUI). Se la tecnologia non va demonizzata e non si deve cedere a esternazioni facili o eccessive, vanno comunque tenuti in considerazione i rischi che essa potrebbe far esplodere. Risposte adeguate possono venire solo dalle istituzioni e dalle politiche pubbliche. Le ineguaglianze, in ogni caso, appartengono già alla realtà attuale, anche senza machine learning e software “predittivi”. È una realtà antica, come la storia che l’accompagna. Va contestualizzata alla tecnologia, altro sapere antico con cui l’Uomo plasma e modella la natura ai propri fini.
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