Lo scorso 8 ottobre 2020, la Corte d’appello di Parigi, adita dalle società Google LLC, Google Ireland e Google France, ha respinto il ricorso contro la decisione dell’Autorité de la concurrence, n. 2020-MC-01, del 9 Aprile 2020, relativa alle richieste di misure cautelari presentate da diverse associazioni di categoria degli editori. La sentenza ribadisce il diritto degli editori a vedersi corrisposti dei proventi relativi all’utilizzo delle preview delle notizie da parte di Google, in base ai cd. droits voisin.
Con la sentenza dello scorso 8 ottobre 2020, n. 20/08071, Pôle 5, ch. 7, Stés Google c. SPEM et autres, la Corte d’appello di Parigi ha aggiunto un ulteriore tassello in materia di sfruttamento dei contenuti editoriali online da parte di Google. Questo sulla base dei cd. “droits voisin”, o “diritti di vicinato”, disposto dall’art. 15 della Direttiva Europea n. 2019/790, del 17 aprile 2019 che riforma la disciplina sul copyright. Nello specifico, il diritto permetterebbe agli editori di ottenere dai motori di ricerca e dalle piattaforme online un equo compenso, stabilito tramite accordo, derivante dall’utilizzo degli estratti delle notizie. Tra questi rientrano anche le anteprime (snippet) ampiamente sfruttate dal motore di ricerca, anche attraverso alcuni servizi specifici, quali Google news.
La Francia è stato il primo paese europeo a recepire la direttiva, con la legge n. 2019-475, del 24 luglio 2019, ed è stata anche la prima nazione ad arrivare allo scontro con i giganti di Mountain View. La vicenda, infatti, prende avvio nel settembre 2019, quando con un comunicato stampa Google ha annunciato il rifiuto di ottemperare alle disposizioni di legge, negando qualsiasi accordo con gli editori. A questi ultimi, in altri termini, rimaneva la sola possibilità di accettare le condizioni unilateralmente imposte dalla società informatica, oppure di richiedere la rimozione dei propri contenuti dal motore di ricerca, con le evidenti conseguenze in termini di perdita di visibilità e accessibilità da parte dell’utenza.
In risposta agli esposti presentati da alcuni organi di stampa professionale e da alcune associazioni di categoria, l’antitrust francese (Autorité de la concurrence), con decisione cautelare del 9 aprile 2020, ha ingiunto alle società di Google di negoziare in buona fede con gli interessati il giusto compenso dovuto per l’eventuale utilizzo dei contenuti editoriali sui propri servizi. L’Autorità ha individuato il termine di tre mesi per l’avvio delle trattative, nonché stabilito specifiche modalità con cui regolare i rapporti “nelle more” con gli editori che decidano di richiedere nuovamente l’accesso alla piattaforma informatica.
Come appare evidente, la questione non riguarda solamente il diritto di remunerazione editoriale, ma anche la volontà da parte dell’ordinamento europeo – prima – e francese – poi – di impedire a Google di estromettere alcuni editori dall’accessibilità online. Quest’ultima eventualità, infatti, deve considerarsi come un comportamento in violazione delle regole della concorrenza, quale l’abuso di posizione dominante. Da qui, dunque, la necessità di stabilire il compenso non sulla base di decisioni unilaterali della società, quanto di un accordo trasparente in grado di coinvolgere tutti gli interessati.
Contro la decisione Google ha proposto appello contestando, oltre ad alcune questioni formali e procedurali, la natura anticoncorrenziale del proprio operato, l’assenza dei danni gravi e immediati all’economia generale o al settore della stampa, nonché l’assenza di proporzionalità nella misura cautelare.
La Corte, riconoscendo la natura economica del servizio offerto da Google, tanto da farla confluire nel concetto di “mercato rilevante” per la presenza anche di annunci commerciali, ha ritenuto applicabile la disciplina sull’abuso di posizione dominante (stante il controllo di oltre il 90% delle attività di ricerca da parte della società) e, conseguentemente, le misure cautelari per probabile pratica anticoncorrenziale. Google, infatti, negando qualsiasi interlocuzione con gli editori, potrebbe provocare degli ingenti danni a questi, impedendo loro – laddove decidessero di non sottostare alle direttive della società – qualsiasi forma remunerativa o conoscitiva, vista la maggior difficoltà di raggiungimento della pagina web da parte dell’internauta. Inoltre, risulta evidente anche il rischio di disparità di trattamento tra i soggetti che decidessero di sottostare alle imposizioni di Google, rispetto a coloro che, invece, richiederebbero l’apertura di una trattativa commerciale.
La Corte, poi, ha ritenuto fondato anche il pericolo di danni gravi al settore dell’editoria, questo alla luce del fatto che “Google search” è la principale fonte di traffico per i siti di informazione. Sul punto, inoltre, è stato anche ritenuto non rilevante il fatto che Google supporti la pluralità di informazione e la distribuzione dei media. In alcun modo, infatti, questo elimina il grave pericolo per l’intero settore, visto l’alto numero di media coinvolti.
Anche con riguardo alla proporzionalità, il giudice ha rigettato il motivo di ricorso ritenendo la misura valida per ottenere il risultato sperato – quale, appunto, il raggiungimento di un accordo con gli editori – e non eccessivamente incisiva, dato che non impone alcun obbligo diretto di pagamento o alcuna misura strutturale definitiva, ma anzi mira proprio a permettere l’ingresso delle parti nelle trattative in buona fede.
Per tali motivi, dunque, la Corte ha respinto l’appello di Google e confermato i provvedimenti dell’Autorità antitrust.
La decisione francese, dunque, assume un particolare rilievo: configurandosi come pioniera in un campo poco esplorato del diritto, ben potrebbe configurarsi come un precedente rilevante per tutti gli stati europei. Questo non tanto per il dispositivo in sé, quanto per le motivazioni che hanno portato a simili conclusioni.
Non bisogna comunque dimenticare di come si tratti pur sempre di decisioni assunte in via cautelare, in alcun modo in grado di pregiudicare le future conclusioni dell’Autorità o dei tribunali francesi, anche sotto la guida dei giudici europei. Difficilmente, quindi, può considerarsi chiusa la questione che, invece, è destinata ad evolversi ulteriormente.
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