Luigi Morandi, vicepresidente della Montecatini, scrisse a Donato Menichella, all’epoca governatore della Banca d’Italia (lo era dal 1948, dopo essere stato negli anni Trenta il direttore generale dell’Iri e dal 1946 della stessa Banca d’Italia), proponendogli anche a nome del presidente Castelnuovo, d’essere nominato membro della prestigiosa Accademia dei Lincei.
La lettera personale – cortesissima – che Menichella scrisse in quella circostanza, rifiutando la proposta in ragione della incompatibilità con la carica ricoperta, dice molto della rettitudine e della tempra morale dell’uomo.
Caro ingegnere ed amico, scrivendomi tempo fa a proposito della mia nomina ai Lincei, Ella spinse a Sua cortesia fino ad esonerarmi dal risponderLe ed io di questa squisita gentilezza ho profittato. Ma alla vigilia di incontrarci alla riunione della SIPS [Società Italiana per il Progresso delle Scienze], io sento che abuserei troppo della concessione fattami e perciò Le scrivo. (…).
Intendo al giusto segno il pensiero dell’illustre prof. Castelnuovo, di Lei e delle molte eminenti persone che si sono associate nel promuovere la mia nomina e nel votarla, e mi rendo conto che, oltre a sentimenti di benevolenza nei miei riguardi – di che sono infinitamente grato – abbiano concorso il proposito generico di allargare le basi dell’Accademia e quello specifico d’introdurre in essa persone che svolgano funzioni di qualche rilievo nella vita economica della Nazione.(…)
Io non contesto che, in linea generale, detto nuovo indirizzo possa essere considerato connaturale all’odierna evoluzione dei rapporti tra la scienza e la tecnica della produzione; avverto però tutta la delicatezza del problema e i pericoli di insuccesso che esso comporta, che potrebbero in determinate ipotesi risolversi in una menomazione del prestigio dell’Accademia (…).
Ma io non ho bisogno di discutere questo problema e non ho titolo per farlo.
Il mio caso è molto semplice ed ha fisionomia del tutto particolare, perché si caratterizza e si esaurisce nella circostanza che io copro una carica pubblica in pendenza della quale, a mio avviso, non è lecito accettare riconoscimenti di alcun genere senza venir meno al dovere di rispondere dei propri atti alla pubblica opinione, non riparato da alcuno scudo o maglia d’acciaio che dir si voglia. Ecco tutto. – A mio avviso (…) sarà necessario che gli uomini di azione pratica da immettere nell’Accademia non siano rivestiti, al momento della nomina, da funzioni pubbliche. (…)
Non è retorica la mia: i periodi aurei della pubblica amministrazione italiana furono quelli nei quali gli investiti del sommo onore di servire lo Stato vivevano in umiltà e non accettavano altre investiture, nomine o riconoscimenti di alcun genere.
Donato Menichella. Stabilità e sviluppo dell’economia italiana. 1946-1960, 1. Documenti e discorsi, a cura di F. Cotula, C.O. Gelsomino e A. Gigliobianco, introduzione di A. Fazio, Roma-Bari, Laterza. Collana storica della Banca d’Italia. Documenti, 1997, pp. 399-400, b) Lettera al vice presidente della Montecatini Luigi Morandi, Roma, 7 dicembre 1951. Da vedere anche, ivi, pp. 394-398 del medesimo tenore, a) Lettera a Luigi Einaudi.