Un quadro sulle attività promosse all’interno dell’Unione e, soprattutto, sui loro effetti concreti appare uno strumento di ausilio nel verificare l’effettività del discorso pubblico sulla digitalizzazione. Il report della Directory General for Informatics consente di comprendere, infatti, quali siano le reali azioni intraprese dagli Stati e dall’Unione. Anche grazie a un’intervista, si chiarisce anche cosa si intenda, oggi, per “governo digitale” e come, dietro le quinte, resti sempre lo stesso scenario da allestire: quello culturale.
A quanti programmi, dichiarazioni, agende abbiamo assistito in questi anni? A quante iniziative spesso comunicate in modo ripetuto dalla politica sulla digitalizzazione della pubblica amministrazione?
Dinanzi a moli significative di documenti e programmi, quali sono i risultati concreti o, comunque, le attività effettivamente intraprese?
A queste domande cerca di dare una risposta il rapporto “State-of-play report on digital public administration and interoperability 2020”, del Directory General for Informatics della Commissione europea.
In poco più di cinquanta pagine, il rapporto offre una chiave di lettura rispetto alle iniziative messe in campo dagli Stati. Le raggruppa per tipologia di intervento; le correla alle strutture di governo dei risultati; le contestualizza, anche con interviste a esperti del settore.
In dettaglio, il rapporto è diviso in quattro parti: le iniziative statali, il ruolo della Commissione europea, l’interoperabilità, la strada da seguire.
La prima parte è divisa a sua volta in quattro ambiti: comunicazione, legislazione, infrastrutture, soggetti coinvolti. Interessanti, da subito, le analisi sulla comunicazione: ben 69 le iniziative in materia avviate nei Paesi Membri tra il 2017 e il 2020; con il fine non solo di definire le policy pubbliche, ma anche di comunicare alla cittadinanza i processi di digitalizzazione. Segno che la politica intende diffondere la conoscenza dei propri programmi presso il pubblico. La percentuale delle iniziative legate alla pubblica amministrazione sfiora la maggioranza assoluta (49%); seguono quelle relative alle tecnologie emergenti, in modo molto distaccato (18%), mentre quelle sui servizi pubblici digitali in specifici settori sono in coda, insieme all’interoperabilità (rispettivamente, 10% e 6%). Un esempio interessante è quello della Svezia, che nel 2019 ha pubblicato il rapporto “Promote public administrations’ ability to use AI” – il quale, come indica il titolo, offre un panorama sull’uso dell’AI da parte delle pubbliche amministrazioni, individuando ostacoli, problemi e suggerendo soluzioni.
Segue l’analisi degli aggiornamenti normativi: qui sono contate, in assoluto, circa 174 iniziative legislative negli anni 2017-2020, che spaziano da interventi puntuali a modifiche complessive dell’ordinamento. Anzi, queste ultime sembrano essere comunque privilegiate dagli Stati membri. Quanto ad ambiti di intervento, il 44% delle iniziative concerne trust and security, mentre il 34% la digitalizzazione della PA. Le iniziative legislative forniscono un riferimento importante: favorire i processi di digitalizzazione ha sempre un costo per le assemblee rappresentative e per i governi, che in primis intendono aggiornare il proprio ordinamento. Che sia necessario o meno, non è dato sapere (come spesso si afferma in Italia, il problema non è relativo a nuove norme, ma all’attuazione di quelle esistenti). In ogni caso, specifiche iniziative sono state correlate all’identificazione (in attuazione del regolamento eIdas) o alla interoperabilità. In totale sono state conteggiate circa settanta iniziative negli ultimi anni.
Dopo un’analisi sugli interventi normativi per lo sviluppo delle infrastrutture, in cui sono sempre quelle legate alla digitalizzazione delle istituzioni pubbliche ad avere un ruolo primario, segue la parte sull’interoperabilità, che detiene un ruolo centrale nel rapporto. È considerato, infatti, uno dei fattori chiave per garantire una effettiva digitalizzazione. Le iniziative, in questo campo, “are legislative decisions aimed at developing base registries, interoperability frameworks and architecture, at promoting services fostering the ‘once-only’ principle, and promoting access to public information, cross-border and cross sectorial cooperation via open data and open government”.
Viene citato, in riferimento all’Italia, lo sviluppo del sistema Pago PA, censito in quanto “allows citizens and businesses to make electronic payments to the public administration on the basis of rules, standards and tools defined by the Agency for Digital Italy and accepted by public administration bodies, banks, post offices and other payment institutions” (p. 15, in tema di sviluppo delle competenze, si v. quanto riportato in questo Osservatorio, qui).
Non manca un’analisi sui livelli di governo coinvolti. In tutti gli Stati membri è stato creato, istituito, o modificato da precedenti strutture, un “ministero” per gli affari digitali o agenzie apposite (“an increasing number of countries has created new ministerial departments and/or independent digitalisation-focused agencies solely responsible for digital public administration and/ or interoperability oversight in their country”, p. 18). In). L’impulso politico alle politiche di digitalizzazione è considerato ancora il perno del loro compimento. Le iniziative di livello locale non mancano (e possono costituire anche best practices, come la realtà comunale italiana insegna), ma il panorama ha comunque bisogno di una regia unitaria.
Quanto al ruolo della Commissione (parte seconda), vengono sottolineate le iniziative volte a promuovere non solo la digitalizzazione in generale (a partire da una delle priorità dell’attuale “esecutivo” europeo: la strategia A Europe Fit for the Digital Age, 2019-2024), ma anche la fatturazione unitaria (e-Invoicing), il rafforzamento dell’identità online (con attenzione al regolamento eIdas), la diffusione degli open data (p. 27). Viene poi posta attenzione a iniziative recentemente coniate, tra cui meritano di essere ricordate la data cloud initiative e il framework europeo di controllo dei dati. Qui il rapporto (attività di cui daremo conto per l’Osservatorio). La strategia complessiva si basa sui pilastri di definizione di standard comuni e di aumento di interoperabilità (entrambi volti a una cooperazione effettiva, efficiente e basata su criteri comuni delle tecnologie in uso: p. 22).
Da segnalare anche il ruolo proattivo di Bruxelles, con la proposta di un Digital Europe Programme, finalizzato a costruire le capacità digitali dell’Unione, “with an emphasis on the deployment capacity of digital technologies for business and citizens across Europe” (e uno stanziamento di 9.2 miliardi di euro per facilitare lo sviluppo di tecnologie all’avanguardia).
La terza parte, relativa alla interoperabilità in concreto (e non solo oggetto di iniziative normative, come prima ricordato), si incentra sul cd. European Interoperability Framework (EIF). Esso consta di tre pilastri: a) dodici principi enunciati (Subsidiarity and proportionality, Openness, Transparency, Reusability, Technological neutrality and data portability, User-centricity, Inclusion and accessibility, Security and privacy, Multilingualism, Administrative simplification, Preservation of information, and Assessment of effectiveness and efficiency); b) strati di interazione (dal legale all’organizzativo, dalla tecnica utilizzata ai caratteri dei servizi pubblici); c) elaborazione di un modello concettuale.
Alle pagine 34 ss. del rapporto è possibile osservare come vi sia un monitoraggio puntuale su questi tre aspetti (il secondo è quello che ottiene un migliore score). L’analisi ex post consente di valutare sul campo, dunque, quanto stabilito a livelli di obiettivi: offrendo allo studioso, al giornalista, al decisore pubblico, un aumento – come anticipato – delle capacità di controllo effettivo e di rispondenza tra quanto viene programmato e quanto realizzato. Sono anche citati tre casi modello (Spagna, Norvegia, Olanda).
Nell’ultima parte, relativa al The Way Forward, si traccia una breve sintesi, ricordando l’importanza di analisi puntuali per comprendere quanto sia stato fatto negli ultimi anni (2017-2020) e la più volte ricordata centralità dell’interoperabilità nell’ambito del complessivo discorso sul governo digitale. Non manca un accenno alla crisi pandemica, che ha letteralmente dimostrato “the importance of digitalisation across all areas of European economy and society. Indeed, connectivity has kept businesses running during the pandemic and workers connected with one another”, ricorda il rapporto (p. 47). Un insegnamento da tenere a mente, al fine di puntare sui fattori chiave che potranno migliorare alcune situazioni sociali nell’auspicato ritorno alla normalità.
Si può concludere questa disamina sottolineando l’intervista alla dott.ssa Barbara Ubaldi, esperta dell’Ocse (in particolare, Senior Project Manager and Head of the Digital Government and Open Data Unit), in cui è possibile leggere un utile e chiaro inquadramento delle politiche di questi anni. Puntualmente, infatti, viene chiesto cosa differenzi il governo digitale dall’e-Government molto utilizzata nei primi anni Duemila. Vi è una risposta che va tenuta a mente: l’attuale fase mira a un controllo orizzontale dei processi, dal governo dei dati all’interoperabilità, dalla rielaborazione delle informazioni all’integrazione orizzontale tra strutture. Questo per consentire una disponibilità complessiva delle informazioni a disposizione dei poteri pubblici in materia di conoscenza, acquisizioni, database, con il fine di non creare silos verticali, ma di configurare un unico ambiente digitale e un unico governo pubblico di tale ambiente.
Sono questi aspetti a contraddistinguere gli sforzi attuali. Nelle parole della dott.ssa Ubaldi, ”digital government is understood as the use of data and technology to connect the administrations, to foster integration and horizontality, and advance in digital maturity across the different policy sectors. While in comparison, the definition of eGovernment was more focused on the online transfer of data, processes and services. In addition, in the past, this effort was mostly driven by individual sectors (i.e. individual ministries transforming everything from paper to electronic) while digital government entails cross-sector cooperation and integration. Thus, digital government is really about abandoning completely the idea of simply transferring online processes that exist and therefore utilise data and technology to cut down silos. In addition, continuity in the political support is one of the main factors influencing the sustainability of digital government services” (p. 19 del report).
Di qui anche una notazione di ordine generale: “The main challenge that governments continue to face in adopting and implementing digital government is a cultural one” (ibidem).
Un tratto che accomuna tutti gli Stati: è la sfida culturale quella che maggiormente pesa sui processi di innovazione (su questo Osservatorio, si v. quanto scritto qui). Sfida che parte da un ripensamento dell’approccio al modo di lavorare (meno rigido e più flessibile, orientato all’obiettivo) per arrivare anche a pensare una diversa organizzazione delle strutture e una composizione mista del personale, tornando a rafforzare quel “sapere tecnico” che da troppo tempo manca nelle pubbliche amministrazioni (si v. ancora qui). Non colmare questo gap nell’ambito tecnologico e informatico, con data scientists, programmatori e simili andrà a pesare, in futuro, sulle capacità di sviluppo di un intero Paese.