Con l’ordinanza n. 37 dello scorso 27 febbraio, la Corte costituzionale ha dichiarato ammissibile la richiesta di intervento dell’Ordine dei giornalisti nel giudizio di costituzionalità sulle norme in materia di diffamazione a mezzo stampa, che puniscono con il carcere il giornalista e il direttore responsabile.
La decisione assunta dalla Consulta ribadisce che, in base alle norme integrative sui giudizi davanti alla Corte, l’intervento del terzo è giustificato dalla sussistenza di un interesse qualificato, inerente in modo diretto e immediato al rapporto dedotto in giudizio.
Nel caso di specie, il rapporto di inerenza ricorre alla luce della competenza dell’Ordine dei giornalisti a decidere sui ricorsi in materia disciplinare. Secondo la disciplina di legge, infatti, le condanne che comportino l’interdizione dai pubblici uffici determinano automaticamente la cancellazione o la sospensione del giornalista dall’albo, mentre, nelle altre ipotesi di condanna penale, l’Ordine è tenuto a dar corso all’azione disciplinare qualora il fatto offenda il decoro e la dignità professionali, ovvero comprometta la reputazione del giornalista o la dignità dell’Ordine.
Per contro, la Corte ha negato che la legittimazione dell’Ordine possa derivare dalla posizione di rappresentanza istituzionale degli interessi della professione giornalistica a esso spettante, dalle funzioni di autogoverno e promozione del miglioramento, aggiornamento e perfezionamento della professione giornalistica, ovvero – ancora – dal suo generico interesse a «veder eliminata la menomazione di un diritto fondamentale derivante da una norma incostituzionale che si riferisce alla sua “sfera di competenza”», in difetto di un nesso qualificato con lo specifico rapporto sostanziale dedotto nel giudizio a quo.