Il programma politico varato dalla nuova Commissione europea nel 2019 prevede, tra le altre cose, l’organizzazione di un processo partecipativo di lunga durata (due anni), che coinvolga i portatori di interessi organizzati e non, per discutere delle trasformazioni cui andrà incontro l’Unione nei prossimi anni. Il progetto, molto ambizioso, ha subito una battuta di arresto nel febbraio del 2020, a causa dell’emergenza sanitaria globale. Si discute oggi se trasferire il processo partecipativo online, e come farlo senza comprimere le istanze dei soggetti che saranno chiamati a partecipare.
Tra i punti chiave del programma politico presentato dalla Presidenza dell’Unione europea Ursula von der Leyen di fronte il Parlamento europeo, nel Luglio 2019, suggeriva l’avvio di un processo consultivo lungo due anni, per ripensare l’Unione del futuro. Prendendo spunto da esperienze recenti – il Grand Debat National francese o le citizens’ assemblies irlandesi – il programma di von der Leyen proponeva la creazione di un luogo di confronto e dibattito, utile a raccogliere gli spunti di tutti i portatori di interesse, organizzati e non, per poi tradurli in altrettanti interventi normativi da realizzare entro la seconda metà della legislatura europea in corso.
Il valore della proposta era soprattutto politico. Forte dell’inversione di tendenza nel numero di votanti alle elezioni europee, tornati ad aumentare per la prima volta dopo un trend negativo decennale, ma indebolita per il fallimento del processo dello Spitzencandidaten (l’elezione diretta del leader della Commissione) – l’Unione aveva bisogno di un’affermazione democratica forte. Affermazione utile internamente, per contrastare il crescente sentimento anti-europeo in molti Stati membri (tra questi, l’Italia); ma utile anche esternamente, per contribuire ad aumentare la competitività sui mercati globali, in particolare contro le economie statunitense e cinese.
La pandemia esplosa nel marzo 2020 ha stravolto l’agenda politica dell’Unione, ponendo in secondo piano qualsiasi azione che non fosse direttamente legata alla elaborazione di misure di sostengo alle economie nazionali, convogliate poi nello EU Recovery Plan approvato dal Consiglio europeo di fine luglio. Tra le iniziative in calendario, e sospese a causa dell’emergenza sanitaria, c’è anche la Conferenza sul Futuro dell’Europa. L’avvio ufficiale, originariamente previsto per fine Maggio, è stato rimandato a data da destinarsi, con ogni probabilità nell’autunno 2020.
A Giugno 2020 è arrivata la proposta di un think-tank con base a Bruxelles, lo European People’s Forum. L’organizzazione, registrata in Danimarca, rappresenta 50 organizzazioni della società civile su tutto il territorio dell’Unione e si occupa prevalentemente di sostenere i processi democratici e partecipativi. L’idea è semplice: anziché ritardare ulteriormente l’avvio del processo consultivo dell’UE, e rischiare nuove interruzioni qualora l’indice di contagio dovesse rendere necessari nuovi lockdown, perché non trasferirlo online? Con l’occasione, il Forum ha presentato anche una piattaforma digitale, sviluppata in collaborazione con il Danish Board of Technology, pensata per favorire processi partecipativi su larga scala. Di li a breve, nel programma politico della presidenza tedesca dell’Unione, è stata ribadita nuovamente la volontà di avviare la Conferenza quanto prima, “nelle modalità e con le strutture più adeguate alle esigenze”.
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