Uno studio di Copenhagen Economics affronta alcuni interrogativi sui costi per la stabilità finanziaria e sulle conseguenze per i consumatori correlati alla possibile introduzione dell’euro digitale. L’analisi ne indaga l’impatto sui bilanci bancari e, in particolar modo, sui depositi nella zona euro, la cui variabilità dipenderà dai limiti individuali al possesso di euro digitale. Lo studio si sofferma inoltre sulle implicazioni relative all’accesso ad alternative per l’esecuzione di pagamenti elettronici da parte dei consumatori.
Da tempo, la larghissima diffusione dei pagamenti digitali e la crescente rilevanza dell’innovazione tecnologica in ambito finanziario hanno indotto la Banca centrale europea (e diverse banche centrali in tutto il mondo) a indagare sulla possibilità di introdurre una versione digitale della moneta unica – il cosiddetto euro digitale. Quest’ultimo rappresenterebbe una versione digitale di monete metalliche e contanti, volta ad affiancare i mezzi di pagamento alternativi attualmente esistenti per l’esecuzione di transazioni finanziarie. L’euro digitale avrebbe – in pratica – le stesse caratteristiche di spendibilità generalizzata, sicurezza, gratuità e usabilità proprie della moneta avente corso legale, con potenziali implicazioni rivoluzionarie per il sistema europeo dei pagamenti – un progresso di fatto unico al mondo, a fronte di variegati tentativi di introduzione di monete di banca centrale in diverse giurisdizioni.
Negli ultimi anni, le istituzioni europee e l’Eurosistema hanno fatto progressi nella definizione della cornice necessaria all’introduzione dell’euro digitale. La BCE ha condotto un’ampia disamina delle motivazioni fondanti, evidenziando i benefici – anche in termini di autonomia strategica e resilienza del sistema dei pagamenti – che ne deriverebbero: le conclusioni molto positive delle prime fasi di studio hanno recentemente determinato il passaggio ad una fase preparatoria, che, tuttavia, formalmente non pregiudica l’adozione di una decisione definitiva sull’emissione della nuova moneta. Dal canto suo, la Commissione europea – che tiene le fila del processo legislativo da cui dipenderà la nascita dell’euro digitale – ha presentato una prima proposta normativa per definirne il rispettivo quadro giuridico.
Ma quali sono i costi che potrebbero derivare dall’introduzione dell’euro digitale? Sono tali da alterarne in maniera significativa i benefici? E quali potrebbero essere le implicazioni per i consumatori europei?
A questi essenziali interrogativi ha cercato di dare risposta un recente studio dell’istituto di ricerca Copenhagen Economics, commissionato della Federazione Bancaria Europea – la lobby degli istituti creditizi del continente.
In primo luogo, lo studio ha esaminato l’impatto dell’euro digitale sulla stabilità finanziaria, cioè sulla capacità del sistema finanziario di far fronte a shock di natura endogena o esogena che ne possano alterare il corretto funzionamento. La disamina viene svolta a fronte di diverse ipotesi di limiti individuali alla detenzione di euro in formato digitale, il cui ammontare si scopre essere direttamente proporzionale alla riduzione dei depositi bancari: in altre parole, più alto il valore di euro digitale che ciascuno potrà avere nel proprio portafoglio virtuale, maggiore sarà la flessione dei depositi bancari, con un impatto ritenuto largamente più significativo per le banche di dimensioni minori – tradizionalmente più dipendenti dalla raccolta diretta di liquidità presso il pubblico. Un’ulteriore importante implicazione è rappresentata dai rischi di “corsa ai depositi”: in periodi di stress, la disponibilità dell’euro digitale potrebbe incentivare i depositanti a ritirare le proprie liquidità dalle banche, convertendole in euro digitale e dunque esacerbando i rischi per la stabilità finanziaria. Ancora, lo studio guarda con preoccupazione ai possibili impatti sull’offerta di credito: un incremento dei costi della raccolta bancaria causato dalla riduzione della base dei depositi della clientela potrebbe condurre a un razionamento del credito e/o a un incremento generalizzato dei tassi di interesse praticati dalle banche per il credito, diretto a fronte alla contrazione del margine netto di interesse – un’essenziale fonte di introiti per le banche data dalla differenza tra tassi attivi e tassi passivi praticati verso le varie controparti.
Una seconda importante dimensione indagata nello studio riguarda l’impatto dell’introduzione dell’euro digitale sulla concorrenza tra diversi mezzi di pagamento e sui correlati benefici per i consumatori. Uno dei nodi essenziali di una moneta digitale riguarda, in effetti, il suo essere – appunto – digitale, ovvero disponibile, conservabile e utilizzabile solo attraverso strumenti elettronici: quali sarebbero le conseguenze in termini di inclusione finanziaria? Più precisamente, un euro digitale sarebbe davvero attraente per quelle fasce di popolazione che – per varie ragioni socioeconomiche e finanche psicologiche – non utilizzano strumenti di pagamento digitali? Di quali caratteristiche aggiuntive rispetto agli attuali strumenti disponibili dovrebbe essere dotato per attirare un numero significativo di utilizzatori? E quali sarebbero, poi, gli impatti per la (florida) industria dei pagamenti digitali attuale, che già adesso opera nel rispetto di elevati livelli di sicurezza, privacy e a costi contenuti? Quali costi aggiuntivi verrebbero trasferiti sui consumatori da banche e prestatori dei servizi di pagamento a fronte dei necessari investimenti per gli opportuni adeguamenti operativi e infrastrutturali?
In breve, pur riconoscendo la necessità di ulteriori approfondimenti, lo studio delinea uno scenario tutt’altro che roseo: rischi più elevati per la stabilità finanziaria, costi più elevati per il credito bancario e per i consumatori in genere, un livello ridotto di concorrenza nel settore dei pagamenti elettronici, limitati benefici in termini di inclusione finanziaria e persino una riduzione permanente del prodotto interno lordo europeo (sebbene in misura di poco inferiore all’1%).
Chi scrive ritiene eccessivamente pessimistiche le considerazioni prospettate da Copenhagen Economics – pur condividendo la necessità di una robusta valutazione (priva di retoriche e approcci aprioristici) e di ulteriori analisi in merito a costi e benefici dell’euro digitale.
Al riguardo, si possono muovere almeno quattro osservazioni.
In primo luogo, lo studio non delinea i vantaggi per i consumatori potenzialmente derivanti dall’incremento dei tassi attivi praticati sui depositi: per mantenere una solida base di depositanti, le banche potrebbero infatti essere indotte a incrementare i tassi praticati sulla liquidità della clientela, a beneficio di quest’ultima; se è vero che questa “mossa” potrebbe ulteriormente ridurre i margini di interesse per gli operatori, è altrettanto vero che ridurrebbe i costi derivanti da un incremento delle commissioni o dei costi del credito per il pubblico in genere. In secondo luogo, si trascurano del tutto gli effetti sull’innovazione tecnologica e sulla possibile ulteriore integrazione del mercato bancario e dei sistemi di pagamento in Europa, “trainati” dall’avvio dell’euro digitale: investimenti in infrastrutture e tecnologia necessari al funzionamento dell’interfaccia dell’euro digitale potrebbero generare positivi effetti di secondo ordine sul progresso tecnologico e sull’occupazione nella “filiera” produttiva ad esso associata, al contempo favorendo una maggiore concentrazione degli operatori e un incremento dell’integrazione transfrontaliera del sistema finanziario. In terzo luogo, lo studio trascura i vantaggi derivanti dalla maggiore efficacia – sottolineata da un’abbondante letteratura economica – delle politiche monetarie e di stabilità finanziaria correlate all’uso delle monete digitali di banca centrale. Infine, lo studio ignora uno dei vantaggi per la stabilità finanziaria derivanti dal parziale “disaccoppiamento” tra banche e sistema dei pagamenti che conseguirebbe – in linea teorica – all’introduzione dell’euro digitale: in effetti, l’ampia diffusione della moneta digitale renderebbe le banche meno “speciali” in un’ottica pubblicistica, in quanto non più (o comunque meno) “essenziali” per il buon funzionamento del sistema dei pagamenti; ne deriverebbe una positiva riduzione dei rischi per la stabilità finanziaria connessi all’azzardo morale che si ritiene da sempre connoti l’azione degli istituti di credito.
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