Cruda, realistica cronaca del potere in Italia scritta alla fine degli anni Sessanta da Alberto Cavallari (1927-1998), giornalista di razza, che nel 1981-84 sarebbe stato chiamato a dirigere il “Il Corriere della sera” per cancellarvi l’orma infamante della P2 che se n’era impadronita. Ma in questa pagina del suo libro Il potere in Italia (di per sé un bel libro denso di analisi e riflessioni) Cavallari funge solo da testimone muto: ascolta e riferisce con parole sue ciò che gli dice quasi sfogandosi Pietro Nenni, all’epoca vicepresidente del Consiglio nei governi Moro di centro-sinistra. E sono parole forse sconfortate ma non certamente banali.
A palazzo Chigi ho una conversazione con Nenni. È malinconico, legge il giornale. “Vi sono centinaia di poteri cresciuti lentamente, che ormai tendono ad operare indipendentemente uno dall’altro – dice Nenni – e in mezzo ci siamo noi. Il governo riesce a comandare su alcuni, altri invece gli sfuggono”. Dopo un attimo aggiunge: “In Italia, quando si arriva sulla vetta del potere, cioè al governo, è proprio come in montagna. Ci si accorge che intorno c’è il vuoto, costituito da una serie di vuoti, di valli, di abissi, perché lo Stato è scollato. Molti Stati moderni sono così, ma da noi tutto è aggravato da ragioni storiche ed economiche. Lo Stato italiano è nato a pezzetti, a settori, un po’ regio, un po’ fascista, un po’ corporativo, un po’ socialista. Ma è anche vero che dopo vent’anni molte istituzioni risultano logore. Ora noi pensiamo alle riforme di struttura. Ma, si capisce, si tratta di riforme permesse. La vera grande riforma da fare riguarda lo Stato e l’equilibrio dei poteri dissestato, Come può comandare un governo oggi?
Alberto Cavallari, Il potere in Italia, Milano, Mondadori, 1967, pp. 69-70.