In un denso articolo a tutta pagina pubblicato dal settimanale radicale “Il Mondo” alla fine del 1961, uno studioso già apprezzato ma che si sarebbe fatto negli anni successivi molto onore, Lucio Gambi (Ravenna, 1920 – Firenze, 2006), poi insigne geografo, autore di lì a qualche anno di studi fondamentali (“Questioni di geografia”,1964; “Una geografia per la storia”, 1973; “Le regioni d’Italia”, 1978; “Geografia e imperialismo in Italia”, 1992), criticava il recentissimo censimento del 15 ottobre della popolazione italiana sotto svariati aspetti. Innanzitutto lamentava che fosse stato realizzato di domenica; e che non si fosse registrata – oltre alla popolazione residente – quella realmente presente, ignorando i fenomeni della emigrazione e del pendolarismo anche, a volte, quotidiano; poi si addentrava a denunciare la cattiva qualità e chiarezza dei quesiti contenuti nel modulo di censimento; e infine l’utilizzo simultaneo (“l’elemento più inverecondo contenuto nel foglio di famiglia”) accanto alle due circoscrizioni canoniche, la provinciale e la comunale, anche, alla pari con esse, di “una entità non costituzionale, qual è la parrocchia cattolica”.
In Italia il giorno di domenica, per 8/10 della popolazione cosiddetta attiva è destinato in particolare ad alcune operazioni: ci si lava meglio o si fa miglior ordine in casa (…), poi si va a messa e dopo mezzogiorno si va a far giro o al cinema o a vedere la partita di calcio: per lo più ci si riposa o quando ci si muove si compiono itinerari diversi da quelli consueti del giorno di lavoro. Cioè la maggior parte della popolazione attiva fa le cose che nei giorni avanti e nei giorni seguenti non fa o fa meno abitualmente. Era quindi più che razionale, che, per ricavare un fedele quadro statistico della società italiana in ogni sua manifestazione, si scegliesse un giorno di lavoro (…) , un giorno cioè che rifletta veramente la vita italiana. (…). E invece no: si è scelto il giorno nel quale una parte – rilevante nel Nord – della popolazione che lavora nelle grandi città è fuori sede. (…). Ciò perché evidentemente ci si è ostinati, in questo censimento, a mantenere una distinzione delle forme di residenza della popolazione che da vari lustri ha fatto il suo tempo: voglio dire la distinzione tra la popolazione legale di un comune (quella iscritta regolarmente all’anagrafe) e la popolazione unicamente presente in quel comune “per motivi occasionali” (…).
Dato quindi che il tradizionale sistema in uso da un secolo di distinguere la popolazione in legale e in presente non si adegua più alla mobilità demografica odierna, perché la rilevazione non è stata impiantata su criteri più moderni? Ad es. su quello sperimentato con molto positivi risultati dagli inglesi, per il loro censimento del 1951: in quell’anno il censimento inglese ha rivelato di ogni persona sopra i 15 anni due dati: cioè il luogo di residenza e il luogo di lavoro. In questo modo si sono potuti avere dei buoni materiali per conoscere l’entità e il genere e gli itinerari degli spostamenti pendolari giornalieri che interessano ogni area legata a un determinato polo urbano. Tre elementi – di primo ordine per chiunque voglia indagare le realtà sociali odierne – che la nostra rilevazione non ci darà, perché essa è partita evidentemente dal concetto – un po’ vecchiotto in operazioni di questa natura – di fotografare degli uomini immobili, inchiodati ai loro luoghi di residenza legali.
Lucio Gambi, Il censimento della domenica, in “Il Mondo”, 26 dicembre 1961, pp.3-4.