Mario Bracci (Siena, 1905-1959), giurista insigne, poi giudice costituzionale, fu anche un militante antifascista e dirigente del Partito d’azione, ministro del commercio estero nel primo governo De Gasperi del 1946-47.
Dopo il referendum, attraverso la sua accorta consulenza giuridica nella complessa fase della transizione dalla monarchia alla repubblica, contribuì a sciogliere alcuni complessi nodi del passaggio di poteri tra i due regimi.
Qui Bracci risponde a un questionario propostogli dalla rivista dell’amico Piero Calamandrei. I temi, attualissimi anche oggi, sono quelli della presenza dei “tecnici” a capo dei ministeri e soprattutto di quali requisiti dovrebbe possedere un “buon ministro”.
Non è (…) necessario, secondo me, che il ministro sia un tecnico, particolarmente competente nella materia del proprio ministero. La tecnica è il presupposto, la condizione, il mezzo dell’azione amministrativa, ma non è l’amministrazione, cioè l’attività propria del ministro. Questi trova facilmente, nell’amministrazione e fuori, tutti i sussidi tecnici dei quali ha bisogno e se ne vale nel modo più opportuno per i fini amministrativi, cioè secondo valutazioni che sono amministrative e non tecniche.
Ti dirò anzi che molte volte ho constatato che i tecnici sono piuttosto portati, per abito professionale, a considerare il particolare piuttosto che il generale e che a loro sfuggono i collegamenti che ogni problema specifico ha con altri problemi amministrativi, finanziari e politici.
Questo naturalmente non significa che il ministro debba essere del tutto ignaro dell’oggetto dell’attività del proprio ministero: allora facilmente egli si discredita o, quanto meno, deve durare troppa fatica per acquistare il necessario prestigio e di questo soffre l’amministrazione. Niente di male dunque se egli è anche un tecnico, ma deve essere chiamato alla grave responsabilità di un dicastero non per le sue qualità tecniche, bensì per quelle amministrative e politiche che talora sono possedute anche dai tecnici.
Le qualità proprie del ministro sono in primo luogo di uomo, cioè l’intelligenza, la cultura, l’equilibro spirituale, l’onestà e, se possibile, la modestia; e in secondo luogo qualità di amministratore, cioè conoscenza del diritto, capacità organizzativa, abitudine al lavoro costante e metodico, cioè al lavoro professionale; e in terzo luogo qualità politiche, vale a dire fede in principi politici generali fermi e sicuri, coscienza storica che lo salvi dalla presunzione di poter fare i miracoli e che gli sdrammatizzi quasi istintivamente la materia quotidiana del suo lavoro, senso del popolo, che quando diviene oggetto dell’attività del ministro non deve essere considerato nella varietà delle sue tendenze ma deve invece apparire come una unità sociale, che vive una storia indissolubilmente legata al passato e necessariamente sospinta verso l’avvenire.
Mario Bracci, Perché i Ministeri non funzionano?, in “Il Ponte”, gennaio 1947, pp. 30-40, ora in Id., Testimonianze del proprio tempo. Meditazioni, lettere, scritti politici (1943-1958), a cura di E. Balocchi e G. Grottanelli de’Santi, introduzione di R. Vivarelli, Firenze, La Nuova Italia, 1981, pp. 221-230. La cit. è alle pp. 227-228.