Banking is dead? Da tempo si discute animatamente dell’impatto della rivoluzione tecnologica sul sistema finanziario. Parole ed espressioni come “FinTech”, “regulatory sandboxes”, “criptovalute” e “social lending” catturano l’attenzione di regolatori, supervisori e addetti ai lavori, attratti e al contempo preoccupati dalle innumerevoli possibilità offerte dalla digitalizzazione. Un rapporto del Center for Economic Policy Research fa il punto sullo stato di avanzamento di questo mutamento epocale nel settore finanziario, analizzando le problematiche regolatorie e di policy che ci attendono nel prossimo futuro con uno sguardo speciale sulle banche, le istituzioni finanziarie per eccellenza.
Negli ultimi tredici anni, il sistema finanziario globale ha subìto trasformazioni inarrestabili e senza precedenti. Una crisi finanziaria globale ha arrestato la corsa all’ingigantimento partita con l’ondata di deregulation dell’ultimo quarto dello scorso secolo, mentre regole, standard e approcci di supervisione sempre più stringenti hanno dato corpo a una fitta rete multilivello. La pandemia globale di questi mesi rischia di riproporre uno scenario economico drammatico, in cui il mondo dell’intermediazione finanziaria sarà ancora sotto pressione tra incertezze della ripresa, bisogni di credito e liquidità delle imprese e ridotta capacità di risparmio delle famiglie.
Questi fenomeni, ciclici o straordinari che siano, si coniugano ai mutamenti tecnologici che, non diversamente da altri settori economici, hanno investito il mercato finanziario. Ormai da alcuni anni si discute animatamente dei cambiamenti che la rivoluzione tecnologica determinerà nella concezione, nel ruolo e nel funzionamento dell’intermediazione creditizia. Almeno dall’inizio dello scorso decennio, il vocabolario di regolatori e autorità di vigilanza si arricchito di espressioni come “FinTech”, “regulatory sandboxes”, “criptovalute” e “social lending”: nel dibattito si agita la spasmodica ricerca di un equilibrio tra salvaguardia della stabilità e della competitività, da una parte, e supporto all’innovazione, dall’altra.
Un rapporto del Center for Economic Policy Research (CEPR) dello scorso dicembre, intitolato “Banking Disrupted? Financial Intermediation in an Era of Transformational Technology”, fa il punto sullo stato di avanzamento di questi mutamenti epocali, analizzando le problematiche regolatorie e di policy che ci attendono nel prossimo futuro e che già popolano il nostro presente, con una particolare attenzione sul perno tradizionale del mondo finanziario: le banche.
Il dato di partenza dell’analisi è condivisibile. La disruption che interessa il settore bancario è la cifra di un’evoluzione positiva, capace di trasformare prodotti e servizi offerti alla clientela, modelli di business e sinergie tra operatori tradizionali e nuovi attori. Altrettanto ineccepibile appare l’idea per cui la regolazione finanziaria del presente e del futuro non potrà che continuare a ispirarsi a tre obiettivi fondamentali: la salvaguardia della stabilità finanziaria, la tutela della concorrenza e la protezione della privacy e della fiducia degli utenti finali.
Nel suo sviluppo, il rapporto del CEPR si differenzia dalle (numerose) analisi condotte in questi anni di studio e previsioni sull’evolversi del fenomeno FinTech, poiché inquadra l’evoluzione corrente nella prospettiva storica e funzionale del complessivo ruolo delle banche nell’economia.
Secondo la linea argomentativa degli autori, la “scomparsa” della banca tradizionale sarebbe improbabile almeno alla luce di due considerazioni. In primo luogo, perché esiste una profonda e duratura connessione tra banche e poteri pubblici, tale per cui le une hanno avuto bisogno degli altri e viceversa, stabilendo – nei secoli – una forte relazione simbiotica, fatta di intrecci istituzionali difficilmente dipanabili. In secondo luogo, perché, nel corso della sua esistenza, il sistema bancario ha saputo stabilire un rapporto virtuoso con le evoluzioni tecnologiche, investendo risorse significative per adattare i propri processi e la propria organizzazione ai mutamenti in atto, e resistendo alle diverse ondate che ne sembravano minacciare la sopravvivenza stessa.
Nulla è destinato a mutare, dunque?
Il rapporto mette in luce i due rischi più significativi. Il primo è rappresentato dall’interesse dei Big Tech firms verso il campo dell’intermediazione creditizia, e dalla capacità di questi ultimi di mobilitare risorse e accedere a mercati regolati in maniera più rapida ed efficace rispetto ai potenziali competitors del passato. Il secondo è dato dalla mobilità della domanda: ritardi nel cambiamento dell’offerta dei servizi finanziari in un’epoca di evoluzione digitale potranno indurre gli utenti a rivolgersi altrove per i propri bisogni finanziari, con una lenta erosione del monopolio dell’intermediazione finanziaria riservato al settore bancario.
La ricetta per sopravvivere è, forse, lo spunto meno originale del rapporto, in quanto fondata su di un triplice (e trito) mantra: “accogliere” la tecnologia, stabilire partnership con gli operatori tecnologici più promettenti, rispondere alle attese degli utenti e mantenere la loro fiducia. Un programma che, a ben vedere, sembra di difficile realizzazione per quel tessuto di piccoli e medi operatori che – come nel caso italiano – costituisce l’ossatura profonda dei sistemi bancari domestici con una più lunga tradizione storica. La loro scomparsa, spostando la futura competizione esclusivamente tra attori di dimensioni globali, potrebbe riproporre il rischio di un sistema pericolosamente incentrato solo su intermediari “too big to fail” o, come si osserva già nel campo della tutela della privacy, “too big to comply”.
Banking is dead. Long live the banking system (almeno sino alla prossima crisi).