Clearview A.I. approda in Italia?

In un’indagine pubblicata su BuzzFeed News, la società americana BuzzFeed sostiene che, tra le 14.000 ricerche effettuate da 24 Paesi diversi dagli Stati Uniti fino al febbraio 2020, almeno 130 sarebbero state svolte dalla Polizia di Stato italiana. Con le evidenti (e ormai piuttosto note) implicazioni in materia di privacy e in potenziale contrasto con la decisione assunta di recente dal Garante per la privacy su S.A.R.I. Real-Time.

 

Clearview A.I. (ne abbiamo già parlato qui, qui e qui) è di nuovo al centro delle polemiche e stavolta l’Italia pare esserne coinvolta. È una indagine pubblicata su BuzzFeed News di fine agosto 2021 a riportare l’attenzione sulla startup statunitense. Dalla ricerca compiuta dalla società e pubblicata sul sito emerge infatti che, fino al febbraio 2020, 88 tra forze dell’ordine e agenzie governative di 24 diversi Paesi al di fuori degli USA avrebbero usato la tecnologia di riconoscimento facciale Clearview. I dati – raccolti in una tabella – mostrano che i dipartimenti di polizia, gli uffici dei pubblici ministeri, le università e i ministeri degli interni di tutto il mondo avrebbero eseguito quasi 14.000 ricerche con il software: distribuzione incentivata dalla penetrante campagna di diffusione compiuta dalla stessa startup.

Clearview, infatti, ha regolarmente promosso l’impiego delle proprie tecnologie, mediante l’invio a elenchi di indirizzi mail di funzionari interessati di messaggi contenenti affermazioni circa la capacità dei suoi software di scansionare «over 1 billion faces in less than a second» e che questo sia «100% accurate across all demographic groups». Con i risultati appena visti.

Delle 14.000 ricerche effettuate utilizzando Clearview, inoltre, almeno 130 sarebbe riconducibili alla Polizia di Stato italiana, che ha tuttavia preferito non rispondere alla richiesta di chiarimenti avanzata da parte dei giornalisti di BuzzFeed. All’articolo ha tuttavia fatto seguito una interrogazione parlamentare del 6 settembre 2021 (ancora senza esiti) da parte del deputato Filippo Sensi al Ministro dell’Interno Luciana Lamorgese per richiedere «se risulti che appartenenti alle forze di polizia abbiano utilizzato, anche se non autorizzati, la tecnologia di riconoscimento facciale Clearview Al».

La Polizia di Stato, peraltro, si serve già da qualche anno del Sistema Automatico Riconoscimento Immagini – S.A.R.I. (ne abbiamo già parlato qui e qui), che è costituito a sua volta da due sottosistemi, il Sistema Enterprise e il Sistema Real-Time, quest’ultimo censurato di recente dal Garante per la privacy. Mentre il primo sistema è utilizzato per identificare un volto presente in una immagine tramite ricerche svolte all’interno di una banca dati di soggetti fotosegnalati, il secondo analizza in tempo reale i volti di persone riprese da telecamere installate in un’area pubblica e li confronta con quelli presenti nella banca dati.

Il Sistema Enterprise ha superato, nel luglio 2018, il vaglio del Garante per la protezione dei dati personali (GPDP), costituendo tale trattamento «un mero ausilio all’agire umano, avente lo scopo di velocizzare l’identificazione, da parte dell’operatore di polizia, di un soggetto ricercato della cui immagine facciale si disponga, ferma restando l’esigenza dell’intervento dell’operatore per verificare l’attendibilità dei risultati prodotti dal sistema automatizzato».

Diverso il discorso per il Sistema Real-Time, rispetto al quale, come si diceva, il GPDP ha sostenuto che «non sussiste una base giuridica idonea […] a consentire il trattamento dei dati biometrici in argomento» e che tale sistema realizza «un trattamento automatizzato su larga scala che può riguardare […] anche coloro che […] non sono oggetto di “attenzione” da parte delle forze di Polizia; […] l’identificazione di una persona in un luogo pubblico comporta il trattamento biometrico di tutte le persone che circolano nello spazio pubblico monitorato […]. Pertanto, si determina una evoluzione della natura stessa dell’attività di sorveglianza, passando dalla sorveglianza mirata di alcuni individui alla possibilità di sorveglianza universale allo scopo di identificare alcuni individui».

Rischio di sorveglianza universale che, invero, non sembra potersi escludersi neppure in riferimento all’eventuale impiego di Clearview. Qualora infatti fosse confermato che la Polizia di Stato italiana lo ha utilizzato, così come prospettato da BuzzFeed News, la situazione che si genererebbe non sarebbe affatto diversa da quella creata (e censurata dal GDPD) da S.A.R.I. Real-Time.

Si ricorda infatti che Clearview funziona tramite il confronto tra immagini, catturate per esempio dalla Polizia, con quelle presenti in un database contenente oltre 3 miliardi di foto selezionate da un algoritmo direttamente sul web (Facebook, Youtube, Instagram, Venmo). Meccanismo che, sebbene per profili diversi, pare tendere comunque a un concetto di sorveglianza universale – già condannata dal Garante – compiuta attraverso la ricerca “del colpevole” per mezzo di canali social (e non, come per il Sistema Enterprise, tramite un database composto da soggetti già noti alla Polizia).

Occorre dunque attendere l’esito dell’interrogazione parlamentare.

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