Bruno Zevi (Roma, 1918-2000), l’autore di questo brano, è stato uno dei più importanti architetti italiani, se non il migliore in assoluto, del dopoguerra e forse dell’intero Novecento.
Dopo essersi trasferito negli Stati Uniti per sfuggire alla persecuzione anti-ebraica, divenne un eminente intellettuale antifascista, anche personalmente impegnato nelle iniziative di propaganda degli Alleati durante la guerra mondiale.
Frattanto si segnalava come uno dei più promettenti architetti della giovane generazione. I suoi libri (citiamo solo, nel 1950, la sua pionieristica Storia dell’architettura moderna, edito da Einaudi, ma molti altri ne andrebbero ricordati) divennero letture fondamentali per il radicarsi anche in Italia di una nuova cultura dell’architettura moderna.
Parallelamente al suo magistero (fu professore nell’Università di Roma ove allevò un’intera generazione di architetti di grande valore) si tradusse – oltre che nelle lezioni e nell’attività accademica – in un’intensa e appassionata partecipazione al dibattito degli anni ’50 e poi ’60 e ’70 sui temi dell’urbanistica e del territorio.
Questo brano, estrapolato da un articolo apparso su «L’Espresso» nel 1962, fu scritto alla vigilia di quella che Zevi (e non solo lui) riteneva una possibile svolta nella politica italiana: il governo di centro-sinistra e (col governo Fanfani del 1962-63) l’avvento alla guida del Ministero dei Lavori Pubblici di un giovane ministro democristiano, Fiorentino Sullo. Quest’ultimo aveva lanciato un ambizioso programma di riforme, al centro del quale aveva collocato la nuova legge urbanistica.
L’articolo di Zevi, esaminando i difetti cronici dell’amministrazione dei Lavori Pubblici così come si erano manifestati nel dopoguerra, voleva dunque soprattutto appoggiare la linea di Sullo, che infatti in altri luoghi del pezzo era citato più volte.
Ma che tuttavia, di lì a un paio d’anni, sarebbe stato emarginato, così come sarebbe accaduto al suo ambizioso progetto di riforma e alla stessa legge urbanistica.
“Fra tutti i dicasteri quello dei LL.PP. è forse il più farraginoso e inefficiente. I vari ministri succedutisi nel dopoguerra sono stati divorati dalla burocrazia, oppure hanno cercato di soddisfare manìe megalomani: in realtà è difficilissimo sottrarsi alla suggestione delle pose della «prima pietra» e a un atteggiamento paternalistico nella concessione di palazzi, strade e quartieri. Il ministero si è così progressivamente gonfiato, in misura proporzionale alla sua incompetenza. In effetti ha alienato molte sue prerogative, ma a condizione di esercitare un dominio burocratico futile e insieme dannoso“.
“Per quali motivi il Ministero dei LL.PP. non funziona? (…) In primo luogo gli enti costituiti nel dopoguerra, dalla Cassa per il Mezzogiorno all’INA-Casa, e le aziende autonome, l’ANAS in particolare, sfuggono al controllo del ministero, si comportano come monarchie assolute e tendono a rendere cronico il sistema delle gestioni speciali o straordinarie. Sotto la pressione degli eventi si moltiplicano le leggi di settore senza mai formulare un programma d’insieme, che implica anzitutto l’emanazione di una nuova legge urbanistica e la radicale revisione dei criteri d’intervento dello Stato in materia edilizia. Il Consiglio superiore dei LL.PP. è un organo inefficiente, facilmente manovrabile dalla netta prevalenza dei funzionari sugli esperti, dalla congerie di ordini del giorno «suppletivi» che vengono presentati di sorpresa, da interminabili discussioni su questioni di nessun rilievo, e dall’assenza di qualsiasi dibattito sulla programmazione generale. Inoltre l’accentramento burocratico è paralizzante e conduce ad ogni tipo d’ingiustizie e di arbitri. Le progettazioni vengono improvvisate, e da ciò derivano gli scandali degli appalti a trattativa e a licitazione privata, e il metodo non meno incongruo degli appalti-concorso. Sono invecchiati i capitolati e i regolamenti, manca un albo dei costruttori, la legge sui cementi armati è ridicola, perché non tiene alcun conto dei progressi scientifici degli ultimi decenni. Infine il personale tecnico è scadente, mal retribuito, inetto e corrompibile“.
Bruno Zevi, Lavori pubblici. I burocrati in quarantena, in «L’Espresso», 29 luglio 1962, p. 16.