È vero che ogni scienza ha (e deve avere) una sua tecnica particolare, e che per studiare diritto è necessario ricorrere al «metodo giuridico» e solo a questo? In realtà, così come lo storico si avvale di molte discipline diverse, dalla ricerca archivistica alla meteorologia, l’antropologo della storia e della sociologia, il politologo del diritto, il giurista si avvale dell’economia, della scienza politica, della sociologia. Il diritto non è un mondo separato dall’ideologia, dalla società, dalla politica. Al contrario, ha un duplice rapporto con loro: è il prodotto di ideologie, valori, società, politica e, allo stesso tempo, li regola o li influenza. Il giurista, quindi, deve essere in grado di comprendere i valori, i movimenti sociali, la vita politica. L’imperativo di oggi è abbandonare il nazionalismo giuridico esclusivo. Ciò non significa non coltivare il diritto nazionale, ma riconoscerne la necessaria interdipendenza con altre leggi nazionali, ordinamenti giuridici regionali e principi universali. Il secondo imperativo è quello di costruire ponti tra il diritto, le «scienze umane» e le «scienze sociali», perché il diritto è una scienza sociale. Ciò non significa abbandonare il «metodo giuridico», ma integrarlo con altre discipline. Il terzo imperativo è la costruzione di un linguaggio e di una grammatica più completi. La lingua veicolare è oggi l’inglese, parlato da un miliardo e mezzo di abitanti della terra. La grammatica è quella sviluppata dai vari rami della scienza del diritto quasi ovunque nel mondo.
Varcare le frontiere
di Sabino Cassese