La questione dell’ampiezza dei poteri normativi riservati all’ordine giudiziario s’interroga sulla stessa natura del potere all’alba dello Stato moderno. Dalla distinzione fra gubernaculum e jurisdictio trae le coordinate di fondo dell’universo giuridico: il dato volitivo, fondato sull’imperium del detentore della sovranità, e quello etico-razionale, ove il diritto riverbera da argomenti di ragione e di morale condivisi. Negli ordinamenti giuridici euro-occidentali, alla prevalenza di quest’ultimo elemento, cruciale nella definizione anglosassone di rule of law, si è opposta la centralità totalizzante della legge parlamentare, di matrice francese, espressione della volonté générale e corrispondente sia al volere del sovrano, sia a precetti condivisi di etica e ragione. Con le Carte del secondo Novecento, l’affermarsi di una legalità costituzionale offre ai giudici parametri di diritto positivo per scrutinare l’opera del legislatore, innovando il diritto applicabile; si delinea un peculiare rapporto tra rigidità interna e apertura sovranazionale, da cui emerge un profilo multilevel della tutela dei diritti. Nondimeno, è opportuno che si preservi l’equilibrio fra la dimensione politica dei diritti stessi e quella giurisdizionale, onde il giudice non si faccia legislatore del caso concreto; ciò nuocerebbe gravemente alla certezza delle situazioni giuridiche e, forse, sancirebbe un minaccioso regresso del diritto stesso verso condizioni premoderne.
La funzione normativa dell’ordine giudiziario
di Marco Cecili e Giuliano Vosa