Una riflessione sulla funzione di controllo dovrebbe iniziare con il prendere atto della esistenza di una distanza ormai incolmabile tra quelle che, in linea teorica, dovrebbero essere le finalità di una tale funzione e quelli che, nella realtà, sono i suoi effettivi connotati. Molteplici sono i fattori che impediscono ai controlli di operare secondo il loro autentico fine, ossia quello di garantire l’equilibrio nei rapporti tra Parlamento, governo e pubblica amministrazione. Il fenomeno non è nuovo ma va preso atto che le sue forme di manifestazione sono cambiate nel tempo; l’articolo ne analizza le principali cause e configurazioni in rapporto al contesto attuale, giungendo ad alcune conclusioni.
Sommario: 1. Il contesto di riferimento. — 2. Una «funzione frustrata». — 2.1 I controlli nel rapporto governo-pubblica amministrazione. — 2.2 I controlli nel rapporto Parlamento-governo. — 3. Dalla teoria alla prassi: prendere atto della realtà?
1. Rudolf Gneist, descrivendo il sistema prussiano nella seconda metà dell’Ottocento, evidenziava la graduale inversione dei rapporti tra Parlamento, governo e pubblica amministrazione, tale da tradursi in un crescente interventismo della Camera dei deputati a scapito del governo e nella alterazione degli equilibri tra i vari livelli: «con la decisione particolare su migliaia di poste di entrata e di spesa non si controlla più l’amministrazione, ma in misura essenziale la si dirige già» (1).
La confusione tra funzione di direzione e funzione di controllo nei rapporti tra Parlamento, governo e pubblica amministrazione è ancora un dato presente negli ordinamenti giuridici contemporanei, soprattutto se si guarda all’esperienza italiana, oggetto della presente indagine (2). In tale contesto, la confusione si è sviluppata principalmente in tre forme: incapacità del Parlamento di controllare la pubblica amministrazione; espansione della funzione normativa del governo a scapito di quella di indirizzo e controllo all’interno della pubblica amministrazione; progressivo indebolimento del ruolo concreto del Parlamento nella decisione e nel controllo sulla gestione della spesa pubblica. Di questi processi è utile ricordare alcuni degli indicatori principali.
Sulla incapacità del Parlamento di controllare la pubblica amministrazione esistono annosi dibattiti (3). È possibile sostenere che in Italia, in verità, non sia mai esistito un effettivo controllo parlamentare sull’operato delle pubbliche amministrazioni. Ancora attuali sono, del resto, le parole di Costantino Mortati, che negli anni Settanta del secolo scorso evidenziava quanto segue: «che gli strumenti del controllo parlamentare sulla pubblica amministrazione siano pochi e scarsamente efficienti è cosa ben nota, ma è altresì noto come essi non siano utilizzati in modo sistematico, con quel fervore di iniziative, con quella conoscenza dei bersagli da colpire, con quella tenacia di volontà operante che giova a trarre risultati proficui anche da congegni imperfetti» (4).
Per quanto attiene al rapporto tra governo e pubblica amministrazione (5), il crescente sviluppo della c.d. «amministrazione per legge» dimostra come ormai buona parte delle disposizioni analitiche sul funzionamento operativo delle amministrazioni continui ad essere fissata con decreti legislativi e decreti legge, stabilendo norme di dettaglio che dovrebbero invece trovare una più corretta collocazione in atti normativi di carattere secondario o terziario, stante la loro natura meramente tecnico-operativa (6).
Allo stesso tempo, tuttavia, la funzione di indirizzo politico all’interno delle amministrazioni, oggetto negli ultimi anni di un caotico processo di «burocratizzazione» (è sufficiente ricordare la molteplicità di tipologie di atti di indirizzo strategico attualmente previsti dalle leggi) (7), non è in grado di guidare realmente strutture ed uffici. Si riportano alcuni esempi di tale tendenza: le priorità politiche, stabilite negli atti di indirizzo dei vertici governativi delle amministrazioni, si riducono a brevi e generici incisi, descrittivi di aree o di temi ma privi di un qualsiasi significato strategico (8); gli obiettivi strategici (e relativi indicatori e valori attesi), ad esempio riportati nelle note integrative dei ministeri agli stati di previsione della spesa nel bilancio dello Stato, sono definiti — per legge — direttamente dai titolari dei centri di responsabilità (capi dipartimento o direttori generali) dell’amministrazione, senza che vi sia una effettiva negoziazione degli stessi con l’organo di indirizzo politico che rimane, nella maggior parte dei casi, estraneo a un tale processo decisionale (9); i piani della performance, «formalmente» adottati dall’organo di indirizzo, sono di fatto predisposti in alcuni casi dalle stesse amministrazioni che, in assenza delle corrette forme di negoziazione con il vertice stesso, sono indotte a definire obiettivi, indicatori, target poco sfidanti, dovendo le stesse essere poi valutate sulla base proprio di quelle misure (10).
Di riflesso, anche la funzione di controllo risente dell’incapacità dei vertici governativi di esprimere indirizzi concreti nelle amministrazioni, senza i quali, del resto, il controllo si riduce in un semplice esercizio di stile. La scarsa qualità della documentazione di programmazione strategico-gestionale concorre, inevitabilmente, al cattivo funzionamento dei controlli gestionali, dai cui esiti risulta, in vari casi, una immagine dell’amministrazione poco attendibile e non aderente alla reale qualità della sua azione (11).
Rispetto, infine, al progressivo indebolimento del ruolo del Parlamento nella decisione e nel controllo sulla gestione della spesa pubblica (12), va premesso che i recenti interventi di riforma della normativa di contabilità pubblica hanno, in realtà, corroborato la capacità di incidenza del Parlamento nel processo di formazione del bilancio dello Stato (13). Altrettanto, non si può dire con riferimento alla capacità di controllo: l’«attività di verifica parlamentare non è (e non è stata) in grado di modificare tale prospettiva, limitandosi a proporre formule del tipo “occorre acquisire informazioni” in tutti i casi in cui non è chiaro il quadro informativo o metodologico adottato per la quantificazione di una certa disposizione»; il controllo si traduce in una «produzione di documenti a mezzo documenti», su cui incide altresì la scarsa qualità delle relazioni tecniche prodotte dalle amministrazioni (14).
Tuttavia, anche rispetto alla fase decisionale, alcune previsioni più recenti, come quella dell’istituzione dell’Ufficio parlamentare di bilancio, non hanno prodotto del tutto i risultati desiderati (15). Le vicende che hanno caratterizzato il processo di approvazione dell’ultima legge di bilancio («Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021») sono, in tal senso, un evidente «campanello di allarme»: nonostante il predetto Ufficio abbia adottato un rapporto sulla manovra finanziaria, dove sono stati bene messi in evidenza «elementi di criticità» ai fini del conseguimento dei nuovi obiettivi programmatici di finanza pubblica, nonché «rischi ed incertezze» riguardanti il quadro macro-economico, l’azione del governo, allora in carica, ha continuato a proiettarsi nella direzione dallo stesso prestabilita senza avere adottato efficaci accorgimenti (16). Sul punto, è stato rilevato come tale Ufficio «svolge un lavoro eccellente, ma opera in sordina e non viene ascoltato» (17).
A tal riguardo, sono poi rilevanti alcuni passaggi della nota ordinanza n. 17 del 2019 della Corte costituzionale che, pur dichiarando inammissibile il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito dell’iter di approvazione del disegno della predetta legge di bilancio, afferma che «questa Corte non può fare a meno di rilevare che le modalità di svolgimento dei lavori parlamentari sul disegno di legge di bilancio dello Stato per il 2019 hanno aggravato gli aspetti problematici della prassi dei maxi-emendamenti approvati con voto di fiducia» e che «in altre situazioni una simile compressione della funzione costituzionale dei parlamentari potrebbe portare a esiti differenti».
Alla luce di tali premesse, una riflessione sulla funzione di controllo dovrebbe iniziare con il prendere atto della esistenza di una distanza ormai incolmabile tra quelle che, in linea teorica, dovrebbero essere le finalità di una tale funzione e quelli che, nella realtà, sono i suoi effettivi connotati.
Per ricordare: la funzione di controllo sull’uso delle risorse pubbliche è volta a garantire innanzitutto che «l’amministrazione dello Stato deve necessariamente [soll und muss] essere gestita in conformità alle leggi» (18). In un sistema repubblicano parlamentare, significa che i controlli sull’uso delle risorse pubbliche devono svolgere una funzione essenziale di equilibrio nei rapporti tra Parlamento, governo e pubblica amministrazione (19). In tale sistema, ove il legame tra governo e pubblica amministrazione poggia sulla connessione tra l’indirizzo politico del primo e la responsabilità della seconda (c.d. binomio indirizzo-responsabilità) (20) e il legame tra Parlamento e governo regge sulla connessione tra la fiducia del primo e la responsabilità del secondo in senso collegiale e individuale (c.d. binomio fiducia-responsabilità) (21), i controlli dovrebbero consentire il reale funzionamento di tali binomi (22), assicurando il costante ancoraggio dell’ordinamento ai principi di legalità e di responsabilità (23). In tal senso, la funzione di controllo è un «contro-potere» essenziale e risponde a un primario interesse pubblico generale (24).
Tuttavia, sono molteplici i fattori che impediscono ai controlli di operare secondo il predetto fine. Il fenomeno non è nuovo ma va preso atto che le cause e le sue forme di manifestazione sono cambiate nel tempo (25). Nel prossimo paragrafo (par. 2) verranno considerate alcune di queste cause e forme in rapporto al contesto attuale, a cui seguiranno alcune brevi conclusioni (par. 3).
2. In passato, il bilancio era la sede più rilevante per fissare l’indirizzo politico. Più precisamente, «il bilancio era insieme atto di determinazione dell’indirizzo politico, programma finanziario applicativo dell’indirizzo politico, precetto contabile per l’apparato dell’amministrazione dello Stato» (26). Tuttavia, la successiva previsione della documentazione di programmazione economica generale (e poi strategica-gestionale) ha determinato il superamento della precedente impostazione, che aveva del resto rivelato come il bilancio, inteso come programma, fosse insufficiente a indirizzare in modo efficiente l’amministrazione e consentisse di svolgere controlli deputati alla verifica di aspetti squisitamente contabili e non qualitativi (27). Il principale atto di determinazione dell’indirizzo politico è, dunque, divenuto il «programma», che attualmente corrisponde a una lunga serie di documenti sia economico-finanziari, sia strategico gestionali (28). Il «programma» lato sensu, nelle sue molteplici configurazioni, è — ormai da decenni — misura essenziale dei controlli sull’uso delle risorse pubbliche, tanto con riferimento al rapporto governo-pubblica amministrazione, quanto in relazione al rapporto governo-Parlamento.
2.1 Con riferimento al primo rapporto (governo-pubblica amministrazione), per molto tempo, la principale «frustrazione» dei controlli sull’uso delle risorse ha riguardato la riduzione di tali attività a mere verifiche sulla regolarità delle procedure senza tenere conto dei risultati: «nella cultura del controllo, propria del nostro ordinamento, vi è un’attenzione esasperata al processo, al controllo sul processo, a scapito del prodotto» (29). In tale prospettiva, la programmazione non era quindi misura di controllo ma oggetto del controllo stesso, ridotto a verifiche della conformità di atti delle amministrazioni rispetto a generici indirizzi governativi e della loro regolarità.
Oggi, a distanza di quasi trent’anni da quando veniva rilevata la predetta disfunzione, non si può più dire lo stesso; al contrario, varie riforme in tema sia di contabilità pubblica, sia di controlli, hanno previsto molteplici controlli sui risultati, rispetto ai quali le previsioni più rilevanti riguardano proprio forme e portata della program-mazione (30).
Esaminando tali previsioni, è possibile affermare che il sistema amministrativo italiano sia attualmente dotato di un corredo di strumenti e misure molto articolato (31). Senza alcuna pretesa di esaustività, è sufficiente ricordare, sul piano economico-finanziario, la previsione di note integrative al bilancio e al rendiconto (32), budget dei costi (33), dpcm che definiscono obiettivi di spesa ai fini della spending review (34), piani finanziari dei pagamenti (cronoprogrammi) (35), piano dei conti integrato (36), introduzione di azioni come sotto-articolazioni dei programmi di spesa in grado di specificarne le finalità (37), e tutto ciò solo con riferimento alle amministrazioni dello Stato.
Sul piano, poi, strategico-gestionale, la programmazione si articola in (eventuali) indirizzi generali del Presidente del Consiglio dei ministri (38), linee guida della Presidenza del Consiglio dei ministri che definiscono «obiettivi generali» (39), atti di indirizzo dei singoli ministeri (40), direttive annuali del ministro (41), piani della performance a cui si associano i sistemi di misurazione e valutazione della performance (42), piani degli indicatori e dei risultati attesi di bilancio (43), ecc. L’ordinamento impone, altresì, caratteri specifici persino per la costruzione di obiettivi e indicatori, con riferimento, ad esempio, alla definizione tecnica, alla fonte dei dati, al metodo e alla formula di calcolo, ai risultati attesi, ai risultati consuntivati, alla prospettiva temporale e a molti altri elementi (44). Si tratta di un quadro, nel complesso, molto sofisticato, che dovrebbe consentire di svolgere controlli accurati ed efficaci, tali da permettere di verificare se l’amministrazione attui sia correttamente (regolarità) sia efficacemente (performance) gli indirizzi dell’organo politico nell’uso delle risorse pubbliche.
Eppure, a fronte di questa significativa evoluzione della disciplina negli ultimi anni, ancora qualcosa «non gira». Detto in altri termini, questa montagna di misure e strumenti «partorisce ancora topolini». La critica più ricorrente riguarda la qualità delle predette misure di programmazione: in genere, esse non identificano chiaramente priorità politiche, contemplano un eccessivo numero di obiettivi (la maggior parte «strutturali» e dunque non collegati alle predette priorità), utilizzano indicatori prevalentemente di realizzazione fisica e finanziaria e molto raramente di impatto (in alcuni casi, sono persino assenti), riportano valori attesi troppo bassi e poco sfidanti (45). In questo senso, i controlli — soprattutto gestionali — si riducono a un controllo di forma sugli atti di programmazione e rendicontazione (quindi, sulla loro chiarezza, completezza, ecc.) (46) e alla verifica della correttezza dei processi di misurazione e valutazione ma, difficilmente, si spingono oltre. In merito ai risultati, infatti, — ad esempio in merito al raggiungimento dei valori attesi in rapporto ad obiettivi e indicatori — lo scenario più frequente (anche se, attualmente, con alcune controtendenze) — è quello in cui i controlli attestano il pieno raggiungimento e, talvolta, superamento di tutti i valori attesi in rapporto a tutti gli obiettivi e indicatori. La validazione, intesa come esito positivo dell’attività di controllo, diventa quindi un atto scontato e dovuto (47). Ma come è possibile tutto questo?
La causa principale sembra risiedere nel ruolo degli attori. In particolare, il dato ricorrente rispetto alla formazione della maggior parte dei documenti di programmazione sopra ricordati è la scarsa incidenza, se non addirittura l’estraneità rispetto al processo, dell’organo di indirizzo politico nelle amministrazioni (48). Questo dato, rilevato già in alcuni primi rapporti di monitoraggio dei primi anni duemila in merito all’applicazione dei controlli strategici e di gestione presso amministrazioni centrali e territoriali (49), è divenuto oggi ancora più significativo. L’organo di indirizzo politico, in molti casi, rimette totalmente all’amministrazione la definizione degli obiettivi strategici (che dovrebbe esso stesso definire) (50) e, dunque, la formazione degli indirizzi rivolti alla stessa amministrazione (51). Va notato che a tale prassi ha, in parte, contribuito una non corretta interpretazione della legislazione vigente: l’art. 16, comma 1, lett. b), del d.lg. n. 165/2001 assegna, infatti, agli alti dirigenti il compito di «definire gli obiettivi»; tuttavia, la stessa norma precisa che si tratta di obiettivi destinati ai dirigenti sottordinati (c.d. obiettivi operativi o strutturali), a cui attribuire le conseguenti risorse umane, finanziarie e materiali. Tale attività è stata nella prassi, invece, estesa all’intero panorama degli obiettivi, anche di natura più ampia e strategica, con evidenti conseguenze paradossali (52).
La predetta tendenza può essere interpretata in almeno due modi: i) l’amministrazione si impone sull’organo di indirizzo politico, appropriandosi della sua funzione di indirizzo; ii) l’organo di indirizzo è interessato più alla gestione giornaliera del potere, al fine di assicurarsi l’immediato riscontro politico e mediatico, e meno alla definizione di strategie di medio-lungo termine, lasciando così totalmente all’amministrazione o ad altri soggetti un tale adempimento. Questa seconda interpretazione appare quella più calzante e in linea con l’attuale stato dell’arte. A dimostrazione di questa tendenza può essere ricordato il caso, risalente a qualche anno fa, del conferimento a privati, nell’ambito del Ministero della giustizia, dell’incarico di redigere la direttiva annuale del ministro, contenente gli obiettivi strategici dell’amministrazione. La Corte dei conti, riscontrando la manifesta violazione degli articoli 1, comma 2, e 4 del d.lg. n. 165/2001, ha riconosciuto nella fattispecie la responsabilità per danno erariale dei vertici del Ministero (53).
I rimedi prospettati da alcune recenti proposte normative sembrano soltanto aggirare il problema (54). Invece di trovare forme e modi di più diretto coinvolgimento e responsabilizzazione degli organi di indirizzo politico nella formazione dei predetti documenti e atti, essi prevedono la possibilità — in evidente e paradossale contrasto con la giurisprudenza sopra richiamata — di esternalizzare la formazione di obiettivi, indicatori, target a soggetti «estranei» all’amministrazione (55). La compatibilità con alcuni precetti costituzionali, sulla base dei quali sarebbero inammissibili forme di esternalizzazione (o anche compartecipazione o cogestione) delle funzioni di indirizzo strategico e controllo gestionale delle pubbliche amministrazioni, è molto dubbia (56). Non è un caso, peraltro, che per alcune tipologie di programmazione strategica è la stessa legge a sancire il divieto di affidare la predisposizione dell’atto a soggetti esterni all’amministrazione (57).
Date tali premesse, è chiaro come i controlli sull’uso delle risorse pubbliche difficilmente possano contribuire all’equilibrio del rapporto tra governo e amministrazione sulla base del binomio indirizzo-responsabilità: la responsabilità dell’amministrazione, che andrebbe rilevata partendo dagli esiti dei controlli, è falsata dalla definizione di un indirizzo di cui è la stessa amministrazione artefice e rispetto a cui l’organo di indirizzo politico non mostra alcun effettivo interesse (e, talvolta, capacità) (58). Al contempo, l’organo politico è attratto da metodi volti, il più possibile, a deresponsabilizzarlo rispetto alla diretta definizione degli indirizzi (59). Peraltro, l’eventuale «intromissione» di soggetti esterni, attraverso pratiche di esternalizzazione delle attività e misure di indirizzo, non può che aggravare ulteriormente un tale scenario (60). La funzione del controllo ne esce, dunque, compromessa ma non «per sua colpa» (61).
2.2 Con riferimento al rapporto Parlamento-governo, la «frustrazione» della funzione di controllo raggiunge proporzioni ancora più ragguardevoli (62). Sempre con riferimento ad esempio ai controlli gestionali — si tratta di controlli volti a consentire primariamente il controllo del governo sull’amministrazione ma anche un controllo da parte della collettività sulla capacità di indirizzo e controllo del governo (63) — va ricordato che la c.d. «riforma Brunetta» aveva introdotto rilevanti correttivi alla disciplina, finalizzati a garantire una maggiore indipendenza, oggettività e qualità di controlli e controllori, promuovendo altresì forme di c.d. accountability esterna (64). Tuttavia, il trasferimento delle funzioni di indirizzo e monitoraggio in tale ambito, avvenuto nel 2014 con il «passaggio di consegne» dalla Civit al Dipartimento della funzione pubblica, ha determinato una situazione paradossale, riassegnando proprio al «cuore» dell’Esecutivo (dove già era stata sperimentata l’esperienza del Comitato tecnico scientifico-Cts) le redini di una disciplina che avrebbe dovuto invece creare le condizioni per un controllo più analitico anche sull’operato del governo, a beneficio della collettività (65).
Attualmente, gli strumenti principali attraverso i quali il Parlamento dovrebbe poter controllare l’operato del governo, in termini tecnici, dunque, rimangono il rendiconto generale (attraverso la c.d. parificazione della Corte dei conti) e gli esiti dei vari controlli che la Corte dei conti svolge come «occhio del Parlamento», aventi un fine definito «referente» (66).
Soffermando l’esame sul primo aspetto, l’esperienza italiana mostra come fin dagli esordi della Repubblica le basi per l’esercizio di questo tipo di controllo sono sempre state pregiudicate. Massimo Severo Giannini evidenziava, al riguardo, come «nella realtà pratica quasi mai, anche in tempi meno recenti, il rendiconto era stato presentato secondo le regole; nel periodo dopo il 1948 il disposto costituzionale era stato apertamente violato, i rendiconti sono stati presentati con ritardi di anni, e il Parlamento li ha approvati dopo ulteriori giacenze di anni» (67). Solo dopo il 1960 ci sono stati alcuni cambiamenti, sebbene ancora permanessero forti irregolarità (68). Di conseguenza, i controlli del Parlamento sull’operato del governo difficilmente sono stati in grado di fare valere eventuali responsabilità, secondo la dinamica sopra descritta.
Da ricordare è, tuttavia, il caso del governo Goria (1987-1988), che diede le dimissioni per la mancata approvazione, da parte delle Camere, del rendiconto generale dello Stato; in questo caso la responsabilità del governo è emersa ad esito dei controlli collegati alla parificazione e approvazione del rendiconto, producendo i relativi effetti. Si tratta, comunque, di una esperienza isolata (69).
Attualmente, alla parificazione del rendiconto generale — e, a partire dal 2012, anche dei rendiconti regionali (70) — viene associato un fine particolare, ossia quello di «tutelare la finanza pubblica e che sfocia non solo nella relazione sul rendiconto, ma anche nella “certificazione” delle risultanze contabili, assunta con le forme della giurisdizione contenziosa» (71). Questo intreccio della funzione di controllo con quella di «tutela» o «certazione» o «garanzia» rischia, tuttavia, di sminuire il controllo stesso. La funzione di tutela finanziaria o garanzia della c.d. «certezza finanziaria» va tenuta, infatti, separata da quella di controllo. La prima è una funzione propria del governo — o dei governi regionali — che, nell’esercizio del potere decisionale e gestionale di spesa, è tenuto a garantire la correttezza dell’allocazione e dell’uso delle risorse pubbliche. Proprio a tal fine, ad esempio, la Ragioneria generale dello Stato svolge una attività di c.d. «bollinatura», volta a «certificare» e a «garantire» che i provvedimenti legislativi e normativi di spesa adottati dal governo centrale non compromettano l’equilibrio economico-finanziario (o, detto in altri termini, è dichiarata e garantita la sostenibilità finanziaria dell’atto in rapporto all’equilibrio economico-finanziario). Tale funzione, pur essendo svolta da un corpo tecnico, appartiene al governo e non è controllo (72).
Al contrario, l’attività di verifica della Corte dei conti sui rendiconti, ma anche sulla qualità delle coperture delle leggi di spesa, è espressione della funzione di controllo ed ha il fine di verificare che le «garanzie» date dal governo in ordine alla corretta allocazione e gestione delle risorse pubbliche siano effettivamente attendibili e siano state rispettate. Al riguardo, oltre alle osservazioni già svolte in merito ai «punti di debolezza» della parificazione, va aggiunto che anche il controllo sulle coperture finanziarie svolto dalla Corte sui provvedimenti di spesa appare «frustrato». L’esame dei dati rivela come molti atti, nonostante siano stati bollinati dalla Ragioneria generale dello Stato per conto del governo, non corrispondano sempre a provvedimenti effettivamente o correttamente coperti (73). Eppure, rispetto a tali verifiche della Corte dei conti, non vi sono riscontri da parte del Parlamento e/o conseguenze (74).
Al contempo, va anche precisato che tali controlli si limitano a verificare l’osservanza dei criteri di quantificazione degli oneri e la corretta identificazione delle modalità di copertura ma non valutano l’effettiva compatibilità della previsione di spesa con l’equilibrio economico-finanziario. La verità è che quest’ultimo tipo di valutazione — che costituirebbe un effettivo e pieno controllo sull’operato del governo — nei fatti non è possibile (o è molto difficile). Il risultato è l’esercizio di un’attività di verifica molto discorsiva, con le forme di un mero monitoraggio periodico (per l’esattezza, quadrimestrale) e di cui, probabilmente, i parlamentari conoscono a mala pena l’esistenza.
A questi aspetti si aggiunge, infine, l’attuale configurazione dei controlli preventivi di legittimità della Corte dei conti. Ciò che interessa evidenziare ai fini della presente indagine è come questa attività abbia mantenuto, nonostante il decorso del tempo e l’opera di riperimetrazione dell’ambito di applicazione effettuata dalla legge n. 20 del 1994, una natura fortemente distante da quella della funzione di controllo (75). Si tratta, infatti, di un vero e proprio sindacato giudiziario (le pronunce della Corte hanno le forme di sentenze; in questa sede è possibile sollevare la questione di legittimità costituzionale; per questa attività vale il principio di insindacabilità del merito amministrativo; e così via), con la differenza di non essere direttamente preordinato all’accertamento di responsabilità amministrativa (ma con l’effetto di poter impedire l’acquisizione di efficacia dell’atto in caso di ricusazione del c.d. visto) (76). In tal senso, i controlli preventivi di legittimità (rectius il sindacato preventivo di legittimità) non perseguono il fine della garanzia dell’equilibrio dei rapporti tra Parlamento, governo e pubblica amministrazione secondo i due già ricordati binomi fiducia-responsabilità e indirizzo-responsabilità (77) ma, paradossalmente, contribuiscono ad una forma di sistematica deresponsabilizzazione degli operatori dell’amministrazione che, pur in assenza di obblighi precisi in tal senso, sottopongono in vari casi a tale sindacato anche atti che non rientrano nel suo perimetro, al fine di «farsi dire» dalla Corte come procedere e ottenere forme di rassicurazione sulla correttezza della loro azione (78).
3. L’analisi sopra condotta mostra come la funzione di controllo sia destinata ad essere, nel sistema amministrativo italiano, una funzione, per così dire, «condannata dalla nascita» (79). La prassi si sta sempre più allontanando dalla teoria, sulla base di un processo difficilmente reversibile. È bene, però, notare che le cause principali di tale condizione hanno natura esogena, nel senso che dipendono solo in piccola misura dalla qualità di controllori, controlli, procedimenti, ecc. Ampia letteratura ha dedicato molta attenzione a lacune e difetti delle attività di controllo (80) ma ormai l’ordinamento italiano prevede sistemi di controllo capillari e sofisticati e i predetti difetti e lacune sono stati in parte superati, e in parte appaiono superabili (81). Va, invece, preso atto che i reali impedimenti all’efficace funzionamento dei controlli, come strumento di equilibrio dei rapporti tra i poteri pubblici, risiedono in alcune distorsioni che investono, in modo particolare, il ruolo del governo (dei governi) nel nostro Paese: i problemi hanno origine da qui.
Il governo dovrebbe emettere indirizzi specifici e svolgere controlli nelle amministrazioni e non lo fa (a catena, il Parlamento limita i suoi controlli all’uso di audizioni, interrogazioni, commissioni d’inchiesta, ecc. a scapito di meccanismi più strutturali e sistematici). Questa tendenza sta sempre più compromettendo il funzionamento di alcuni checks and balances ed è aggravata da alcuni fattori (82).
Nei precedenti paragrafi è emerso che, ad esempio, nella predisposizione di molti documenti di programmazione l’amministrazione sostituisce l’organo di indirizzo, formulando obiettivi, indicatori, target; al contempo, l’attestazione del raggiungimento dei valori attesi avviene, per alcuni dei predetti documenti, da parte degli stessi titolari dei centri di responsabilità dell’amministrazione, così compromettendo la «purezza» del controllo.
Altro fattore è la particolare piega acquisita dall’approccio e dalla natura di alcune attività della Corte dei conti (83). L’attività di tutore ha preso il sopravvento su quella di controllore, con riferimento sia al governo centrale, sia ai governi territoriali, a partire innanzitutto dal valore dell’attività di parificazione del rendiconto (84). Per quanto poi riguarda specificamente gli enti territoriali, lo sviluppo dei controlli c.d. collaborativi ha rappresentato per molto tempo — e in parte ancora oggi — la modalità principale di sostegno da parte della Corte nei confronti degli esecutivi (in tal senso, si è parlato di «controllo-indirizzo») (85). Attualmente, il sostegno si è, peraltro, trasformato in una particolare forma di interventismo delle sezioni di controllo territoriali della Corte, per cui i suoi controlli «appaiono inevitabilmente sempre maggiormente prossimi alla gestione dell’ente sub-statale, nell’imprescindibile intento di prevenire squilibri di bilancio», con il risultato di una conversione delle attività di controllo verso un fine di garanzia della «coerenza della condotta degli enti sub-statali nei processi di convergenza e di consolidamento dei conti» (86).
Sul punto, è comunque interessante notare che, a fronte della discutibile conversione del fine del controllo in un fine di tutela, si sta al contempo sviluppando un approccio più severo delle sezioni giurisdizionali della Corte in tema di c.d. «esimente politica». Aumentano i casi in cui le sezioni giurisdizionali della Corte dei conti escludono la sussistenza della esimente e condannano a danno erariale componenti degli organi esecutivi (87). Si tratta di una tendenza che investe, altresì, anche i componenti degli apparati amministrativi, nei confronti dei quali numerosi sono i procedimenti avviati per accertamento di responsabilità amministrativa e contabile (88). In altri termini, se da un lato, le sezioni di controllo della Corte svolgono un’attività di sostegno e cogestione a beneficio degli organi di vertice degli enti territoriali, dall’altro, le sezioni giurisdizionali irrigidiscono invece la loro azione, inasprendo il loro metro di giudizio a scapito degli stessi vertici.
In sintesi, non è possibile sostenere che i meccanismi per fare valere le responsabilità del governo/dei governi e delle amministrazioni non vi siano (oltre, per quanto riguarda i primi, al c.d. circuito della responsabilità politica) ma, certamente, sono meccanismi che hanno sempre meno a che vedere con l’esercizio delle molteplici attività di controllo stricto sensu, avendo una differente natura (oggi sempre più mediatica) (89). L’incapacità delle attività di controllo di far emergere le responsabilità nei modi e nelle forme esaminate (fermo restando che il loro accertamento e la loro condanna spettano agli organi giudiziari, trattandosi di altra funzione) (90), in parte, influisce sul corretto funzionamento del circuito della responsabilità politica, in parte, mette a repentaglio l’equilibrio dei rapporti tra poteri pubblici minando la stabilità dell’ordinamento (91).
Prendere atto della realtà oggi significa, dunque, che una eventuale riforma presente o futura in tema di controlli sarà destinata a un ennesimo insuccesso se non prova, innanzitutto, a stabilire e consentire il fine «autentico» dei controlli, rivedendo ruoli, poteri e responsabilità dei vari attori (più che procedure, termini, atti, ecc.). Un tale (e poco probabile) tentativo di riforma (92) dovrebbe provare a superare le «false premesse» che caratterizzano tale contesto, da cui sono derivate le conseguenze, più o meno paradossali, esaminate nei precedenti paragrafi.
Ex falso (sequitur) quodlibet: il sistema italiano dei controlli sull’uso delle risorse pubbliche ne è la più evidente dimostrazione.
(1) R. Gneist, Legge e bilancio. Controversie costituzionali in base alla crisi del governo prussiano del marzo 1878, ed. it. a cura di C. Forte, Milano, Giuffrè, 1997, 14 ss.
(2) Sul punto, nel fascicolo n. 1, 2019, della Riv. trim. dir. pubbl., dedicato a Che cosa resta dell’amministrazione pubblica?, vari sono i contributi che mettono in luce tale stato di confusione, a partire dall’introduzione di S. Cassese, Che cosa resta dell’amministrazione pubblica?, 1 ss.
(3) Essi prendono le mosse da lontano: P. Calandra, Parlamento e amministrazione: 1. L’esperienza dello Statuto albertino, Milano, Giuffrè, 1971, passim; A. Manzella, I controlli parlamentari, Milano, Giuffrè, 1970, passim e sempre dello stesso autore, Per un riesame dei controlli parlamentari nell’esperienza repubblicana, Firenze, Vallecchi, 1968.; G. Napione, L’Ombudsman: il controllore della pubblica amministrazione, Milano, Giuffrè, 1969, passim; F. Rizzo, Il controllo del Parlamento sugli enti pubblici, Milano, Giuffrè, 1969, passim.
(4) C. Mortati, Il controllo parlamentare sulla pubblica amministrazione, in Rass. parl., n. 7-9, 1965, 315 ss. e pubblicato anche in Problemi di politica costituzionale. Raccolta di scritti, IV, Milano, Giuffrè, 1972, 144.
(5) Sul rapporto pubblica amministrazione-governo esiste una vastissima letteratura, che non è possibile in questa sede riportare in modo esaustivo. Tra gli studi più noti, ci si limita a ricordare, ad esempio, l’opera di F.J. Goodnow, Politics and Administration. A Study in Government, London, Macmillan, 1900, passim. Nella letteratura italiana, si v. spec. A.M. Sandulli, Governo e amministrazione, in Riv. trim. dir. pubbl., 1966, 752 ss.; L. Carlassare, Amministrazione e potere politico, Padova, Cedam, 1974, passim; A. Cerri, Imparzialità e indirizzo politico, Padova, Cedam, 1975, passim; S. Cassese, L’amministrazione pubblica in Italia, Bologna, il Mulino, 1976, passim; Id., Grandezze e miserie dell’alta burocrazia in Italia, in Pol. dir., 1981, 219 ss. e, più recentemente, Id., Il rapporto tra politica e amministrazione e la disciplina della dirigenza, in Lav. nelle p.a., n. 2, 2003, 231 ss.; M. D’Alberti (a cura di), L’alta burocrazia, Bologna, il Mulino, 1994, passim. Con riferimento specifico all’indirizzo politico, si ricordano V. Crisafulli, Per una teoria giuridica dell’indirizzo politico, in Stud. urbin., 1939, 54 ss.; E. Cheli, Atto politico e indirizzo politico, Milano, Giuffrè, 1968, passim; T. Martines, Indirizzo politico, in Enc. dir., XXI, 1971, 134 ss.; G. De Vergottini, Indirizzo politico della difesa e sistema costituzionale, Milano, Giuffrè, 1971, passim.
(6) S. Spuntarelli, L’amministrazione per legge, Milano, Giuffrè, 2007, ss. Alcuni dati su tale «esondazione legislativa» di derivazione governativa sono riportati da L. Casini, Politica e amministrazione: «the Italian Style», in Riv. trim. dir. pubbl., n. 1, 2019, 16 ss.
(7) Sul punto si rinvia al par. 2.1.
(8) Si segnala Corte dei conti, sez. centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato, Gli indicatori delle note integrative al bilancio dei ministeri della giustizia, dello sviluppo economico e dell’istruzione, dell’università e della ricerca, deliberazione 31 gennaio 2019, n. 2/2019/G. In tale analisi della Corte dei conti sono analizzati i principali atti di programmazione dei tre ministeri.
(9) Così è, indirettamente, previsto dal comma 2 dell’art. 21 della legge 31 dicembre 2009, n. 196. In tal senso, si cfr. anche l’art. 16, comma 1, lett. b), del d.lg. 30 marzo 2001, n. 165 (si v. infra). Per maggiori dettagli, si v. Ragioneria generale dello Stato, Linee guida per la compilazione delle note integrative agli stati di previsione (art. 21, comma 11, lett. a) legge n. 196/2009), Nota tecnica n. 2, triennio 2019-2021 (circolare n. 17 del 2018).
(10) Sul tema, sia consentito il rinvio a E. D’Alterio, Il lungo cammino della valutazione nelle pubbliche amministrazioni, in Giorn. dir. amm., n. 5, 2017, 570 ss.
(11) Su questo punto si tornerà amplius nel par. 2.1.
(12) La debolezza del controllo parlamentare sul bilancio e l’assenza di una effettiva direzione degli organi di vertice politico nelle amministrazioni erano già evidenti nell’analisi di S. Cassese, Controllo della spesa pubblica e direzione dell’amministrazione, in Pol. dir., n. 1, 1973, 39 ss. e Id., Finanza e amministrazione pubblica, in Riv. trim. dir. pubbl., n. 3, 1974, 962 ss.
(13) Il rafforzamento del ruolo del Parlamento nel processo di formazione del bilancio dello Stato era avvenuto già con la legge 5 agosto 1978, n. 468: «La legge n. 468 si reggeva su due pilastri fondamentali: l’istituzione della legge finanziaria e l’attribuzione al parlamento del primato della decisione». Così, G. Vegas, Il bilancio pubblico, Bologna, il Mulino, 2014, 29. Rispetto invece alle più recenti riforme del 2009 e spec. del 2012 e 2016, R. Perez, Il ritorno del bilancio, in Giorn. dir. amm., n. 6, 2016, 758 ss.
(14) Così P. De Ioanna e C. Goretti, La decisione di bilancio in Italia, Bologna, il Mulino, 2008, 87. La scarsa qualità del controllo parlamentare è altresì dettata dall’eccessiva asimmetria informativa tra governo e parlamento, «che aumenta il costo di reputazione di scelte poco virtuose» e non consente di stimolare «quei processi di accountability politica che sono alla base di un corretto funzionamento dei modelli democratici» (sempre in P. De Ioanna e C. Goretti, La decisione di bilancio in Italia, cit., 67).
(15) La previsione è oggi contenuta nell’art. 10 ter della legge n. 196/2009.
(16) Ufficio parlamentare di bilancio, Rapporto sulla politica di bilancio 2019, gennaio 2019, disponibile su /www.upbilancio.it/wp-content/uploads/2019/01/Rapporto-politica-di-bilancio-2019-_per-sito.pdf. Come è noto, il governo, nel mese di dicembre 2018, a seguito del negoziato successivo al preannuncio di apertura di una procedura d’infrazione europea nei confronti dell’Italia, e in risposta ai rilievi della Commissione europea, ha rivisto varie stime e modificato l’entità e la composizione della manovra di bilancio in discussione in Parlamento, sebbene in modo non del tutto convincente, come emerge nel suddetto rapporto.
(17) S. Cassese, Il potere e i fragili controlli, in Corriere della sera, 22 marzo 2019.
(18) P. Laband, Il diritto del bilancio, ed. it. a cura di C. Forte, Milano, Giuffrè, 2007, 35.
(19) Tale meccanismo è stato illustrato con la metafora dello «stabilatore»: E. D’Alterio, I controlli sull’uso delle risorse pubbliche, Milano, Giuffrè, 2015, 435 ss.
(20) Si v. l’art. 95 Cost. e gli artt. 4 e 14 del d.lg. n. 165/2001.
(21) Si v. gli artt. 94 e 95 Cost.
(22) Sul punto, S. Cassese, Le basi costituzionali, in Trattato di diritto amministrativo, a cura di S. Cassese, Parte generale, t. II, Milano, Giuffrè, 2003, 175 ss. Si ricordano, a tal riguardo, i passaggi principali: «come riflesso dello squilibrio tra Parlamento e governo, la legge finisce per prevalere sul potere esecutivo e si afferma il principio di legalità, che produrrà due conseguenze, lo sdoppiamento tra governo e amministrazione e la sottoposizione dell’amministrazione al Parlamento»; «inizialmente, […], vi era solo il potere esecutivo che univa governo e amministrazione. Oggi vi sono il governo e l’amministrazione, l’uno separato dall’altra»; «[…] con l’estensione del suffragio, muta il rapporto tra Parlamento e governo. Non vi è più contrapposizione tra legislativo ed esecutivo, ma subordinazione del governo al Parlamento, in forza dell’investitura popolare di quest’ultimo»; vi sono dunque «due rapporti inscindibili: fiducia e responsabilità, da un lato; organo politico e organo di vertice del dicastero, dall’altro. Così come il governo deve rispondere al Parlamento, la pubblica amministrazione deve rispondere al governo. Esiste un primo legame ed un secondo tra governo e pubblica amministrazione».
(23) Si cfr. P. Gasparri, Corso di diritto amministrativo, IV, Padova, Cedam, 1960, 3, che collega i controlli alla «dovutezza» della funzione amministrativa: «a questa essenziale dovutezza della funzione amministrativa si connette, ovviamente, la predisposizione di meccanismi giuridici intesi ad accertare se gli organi amministrativi si comportano, e se sono idonei a comportarsi in conformità dei modelli stessi».
(24) I controlli «sono istituiti e si esercitano unicamente nell’interesse generale, cioè allo scopo di assicurare obiettivamente la legalità e l’opportunità dell’azione amministrativa; non nell’interesse delle singole persone, che in quell’azione possono essere interessate […]». Così, O. Ranelletti, riferendosi ai controlli amministrativi, in Lezioni di diritto amministrativo (tenute nella R. Università di Napoli nell’anno scolastico 1921-22). Le guarentigie della legalità nella pubblica amministrazione. 1a Puntata, Napoli, L. Alvano libraio editore, 1925, 48-49.
(25) Che i controlli siano stati e siano tuttora «uno dei maggiori problemi italiani» è cosa molto nota: S. Cassese (a cura di), I controlli nella Pubblica Amministrazione, Bologna, il Mulino, 1993, 14.
(26) M.S. Giannini, Diritto amministrativo3, I, Milano, Giuffrè, 1993, 420.
(27) Sempre M.S. Giannini, Diritto amministrativo3, cit., spec. 421.
(28) Per quanto riguarda la programmazione economico-finanziaria, si ricordano il Documento di economia e finanza-Def, la Nota di aggiornamento del Def, il disegno di legge del bilancio dello Stato, il disegno di legge di assestamento, gli eventuali disegni di legge collegati alla manovra di finanza pubblica. Andrebbero poi considerati gli specifici strumenti di programmazione delle amministrazioni pubbliche diverse dallo Stato. Per quanto attiene alla programmazione strategico-gestionale, si rinvia al par. 2.1.
(29) S. Cassese, Dal controllo sul processo al controllo sul prodotto, in Rivista I.N.P.D.A.P., n. 3, 1993, 338. Si tratta del più ampio dibattito relativo alla contrapposizione tra il controllo sulla competenza e quello sul risultato, che parte dalle seguenti premesse: «La competenza è definita come insieme dei poteri spettanti all’organo. All’organo quindi non è affidata la produzione di un risultato sociale, bensì l’esercizio dei poteri; esso non è responsabile della verificazione o della mancata produzione del risultato, ma solo del modo in cui ha esercitato i suoi poteri», così G. Guarino, Efficienza e legittimità dell’azione dello Stato. Le funzioni della Ragioneria generale dello Stato nel quadro di una riforma della pubblica amministrazione, in Saggi in onore del centenario della Ragioneria generale dello Stato, Ministero del tesoro-Ragioneria generale dello Stato, Roma, Istituto poligrafico dello Stato, 1969, 33.
(30) Per una ricostruzione dell’evoluzione della disciplina dei controlli economico-finanziari, G. Melis, La lunga storia dei controlli: i conti separati dall’amministrazione, in Nuova etica pubblica, n. 1, 2013 e in Riv. trim. dir. pubbl., n. 2, 2014, 397 ss. Per una ricostruzione più ampia, relativa all’intero quadro dei controlli, si consenta di rinviare nuovamente a E. D’Alterio, I controlli sull’uso delle risorse pubbliche, cit., 34 ss. (con riferimento specifico alle misure e alla programmazione, 191 ss.).
(31) Per un’analisi specifica dei controlli gestionali, si rinvia a G. Nicosia, La complicata evoluzione del controllo gestionale sul «capitale umano» nelle pubbliche amministrazioni, in questo fascicolo della Riv. trim. dir. pubbl. (n. 3, 2019).
(32) Rispettivamente, art. 21, comma 11, lett. a) e art. 35, comma 2, legge n. 196/2009.
(33) Art. 21, comma 11, lett. f), legge n. 196/2009.
(34) Art. 22 bis, legge n. 196/2009.
(35) Art. 23, comma 1 ter, legge n. 196/2009.
(36) Art. 38 ter, legge n. 196/2009.
(37) Art. 25 bis, legge n. 196/2009.
(38) Art. 8, d.lg. n. 286/1999.
(39) Art. 5, comma 01, lett. a), d.lg. 27 ottobre 2009, n. 150.
(40) Art. 14, comma 1, lett. a), d.lg. n. 165/2001.
(41) Art. 8, d.lg. n. 286/1999.
(42) Artt. 7 e 10, d.lg. n. 150/2009.
(43) I piani degli indicatori e dei risultati attesi di bilancio sono previsti dall’art. 19, comma 1, del d.lg. 31 maggio 2011, n. 91. La previsione riguarda tutte le amministrazioni pubbliche, precisando che «il Piano è coerente con il sistema di obiettivi ed indicatori adottati da ciascuna amministrazione ai sensi del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, e, per le amministrazioni centrali dello Stato, corrisponde alle note integrative disciplinate dall’articolo 21, comma 11, lettera a), e dall’articolo 35, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196». Tuttavia, per le amministrazione territoriali, la disciplina dell’adozione di tali piani non è ancora del tutto chiara e non trova effettiva applicazione nella prassi.
(44) Art. 21, commi 2 e 3, d.lg. n. 91/2011. A tali norme si aggiungono, in particolare, gli indirizzi della Ragioneria generale dello Stato (Linee guida per la compilazione delle note integrative agli stati di previsione, cit.) e le linee guida del Dipartimento della funzione pubblica sulla redazione dei piani della performance, sistemi di misurazione e valutazione e relazioni sulla performance.
(45) Il problema della scarsa qualità della programmazione era già emerso nei primi rapporti di monitoraggio del Comitato tecnico scientifico – Cts presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, istituito ai sensi del d.lg. n. 286/1999: I rapporto, I controlli interni nei ministeri (maggio 2001); II rapporto, Processi di programmazione strategica e controlli interni nei ministeri: stato e prospettive (gennaio 2003); III rapporto, Processi di programmazione strategica e controlli interni nei ministeri: stato e prospettive (aprile 2004); IV rapporto, Processi di programmazione strategica e controlli interni nei ministeri: stato e prospettive (marzo 2006); V rapporto dell’attività svolta settembre 2006 – aprile 2008, La pianificazione strategica nei ministeri (aprile 2008). Dati similari sono emersi nelle indagini della Corte dei conti (da ultimo, si rinvia alla già citata delib. Gli indicatori delle note integrative al bilancio dei ministeri, cit.). A livello territoriale, si ricorda il rapporto del Ministero dell’interno, Osservatorio per la finanza e la contabilità degli enti locali, La contabilità dei comuni italiani alla vigilia della riforma federale. Indagine sul grado di attuazione del modello informativo/contabile e di controllo previsto dal TUEL, a cura di A. Pavan, E. Reginato, C. Conversano, I. Fadda, su www.osservatorio.interno.it, 2007, passim.
(46) Sul punto, ad esempio, è considerata, tra i parametri di validazione, ai sensi dell’art. 14, comma 4, lett. c), d.lg. n. 150/2009, la «forma sintetica, chiara e di immediata comprensione ai cittadini e agli altri utenti finali» della relazione sulla performance. Si v. altresì Dipartimento della funzione pubblica, Linee guida per la relazione annuale sulla performance, n. 3, novembre 2018,14-15.
(47) Alcuni dati in tal senso emergono nei rapporti che la Commissione indipendente per la valutazione trasparenza e integrità delle amministrazioni pubbliche – Civit aveva dottato tra il 2010 e il 2011. In sintesi, tali rapporti evidenziavano la tendenza da parte delle amministrazioni a riscontrare, nella maggior parte dei casi, il pieno raggiungimento dei valori attesi-target (spec. Ricognizione delle problematiche relative alla valutazione della performance individuale – Ministeri ed Enti pubblici nazionali, 2011; Rapporto generale sull’avvio del ciclo di gestione della performance 2012; Relazione sulla performance delle amministrazioni centrali anno 2011, adottata nel 2012). Anche in relazione alle note integrative di alcune amministrazioni ministeriali, emerge un quadro similare (Corte dei conti, Gli indicatori delle note integrative al bilancio dei ministeri, cit., 71 ss.). Tuttavia, in alcuni casi (ancora isolati), il livello di raggiungimento dei valori attesi è basso (il che, secondo la Corte dei conti, costituisce comunque un dato critico: si v. spec. 81 ss.).
(48) Il problema del coinvolgimento dell’organo di indirizzo politico nella programmazione è, in verità, datato e si collega a un ampio dibattito sulla natura della responsabilità riconoscibile nel caso di inosservanza della programmazione stessa. Alle origini, la programmazione viene considerata proprio il modo attraverso il quale poter rilevare, in termini tecnici e oggettivi, le responsabilità governative. Sul punto, R. Faucci (Finanza, amministrazione e pensiero economico. Il caso della contabilità di Stato da Cavour al Fascismo, Torino, Einaudi, 1975, 130) ricostruisce alcuni passaggi significativi di tale riflessione, sviluppatasi già agli inizi del Novecento: in particolare, ricorda l’idea di Borzoni secondo cui «ciascun amministratore di spesa dovrebbe presentare un “programma di esecuzione”, da allegarsi ai bilanci, con riferimento ai capitoli. “Stampando i programmi si mettono sul chi vive funzionari e ministri; i primi sapendo che un giorno, in sede di consuntivo, dovranno render conto così del più che del meno previsto (e qui sta bene il giudizio della Corte dei conti), staranno bene attenti nel cedere alle istanze del ministro e alle premure del ministro del Tesoro; il ministro competente baderà bene a modificare le previsioni dei funzionari senza precise ragioni per non addossarsi la responsabilità della previsione; in ogni caso del conflitto deciderebbe il parlamento”». Diversamente, — ricorda sempre Faucci — il Minotto ribadiva che la responsabilità, discendente dalla programmazione, deve essere esclusivamente politica e non può confondersi con quella di natura amministrativa. Della rilevanza della programmazione in tal senso si continuerà a parlare per tutto il secolo: si ricorda, ad esempio, l’intervento introduttivo di E. Colombo, in occasione della cerimonia per il centenario dell’istituzione della Ragioneria generale dello Stato, oggi in Saggi in onore del centenario della Ragioneria generale dello Stato, cit., 16 ss.
(49) In particolare, i già citati rapporti del Cts mettevano in evidenza come l’organo di vertice politico non partecipasse adeguatamente al processo di programmazione strategica ma si disinteressasse altresì dei risultati dei controlli strategici e gestionali.
(50) Gli obiettivi strategici sono l’espressione più specifica dell’indirizzo politico-amministrativo (art. 95 Cost.). Si v. l’art. 14, comma 1, lett. a), d.lg. n. 165/2001.
(51) La definizione di obiettivi, indicatori e valori attesi, specialmente nei piani della performance e nei sistemi di misurazione e valutazione, da parte degli stessi vertici amministrativi (spec. titolari dei centri di responsabilità) è soggetta a un evidente «effetto di cattura»: la performance sia organizzativa, sia individuale di tali soggetti, dipende infatti strettamente da tali misure (sebbene poi la valutazione avvenga su proposta dell’Organismo indipendente di valutazione-Oiv). Da una parte, è del tutto corretto che alla formazione di obiettivi, indicatori e target, possano partecipare i vertici amministrativi, attraverso un processo costruttivo e metodologicamente prestabilito (similmente a quanto avviene, in alcuni casi, nel settore privato); dall’altra parte, è bene tuttavia che un tale processo non sia totalmente rimesso ai diretti interessati. In questa prospettiva, emerge infatti un rischio: in virtù del coordinamento che ci deve essere tra ciclo economico-finanziario e ciclo di gestione della performance, gli obiettivi della nota integrativa devono integrarsi (nella prassi coincidono) con quelli di performance organizzativa del piano; il risultato è, in sintesi, l’esercizio da parte dei vertici amministrativi di un potere decisionale estremamente ampio, che contribuisce in modo significativo alla configurazione degli indirizzi che dovrebbero loro stessi realizzare e in base ai quali sempre loro stessi dovrebbero essere valutati.
(52) Ad ogni modo, l’ordinamento prevede, in materia di misurazione e valutazione delle performance, il rilevante ruolo dell’Organismo indipendente di valutazione-Oiv (art. 14), il cui potere principale e più incisivo, allo stato attuale, corrisponde alla validazione della relazione sulla performance. Anche rispetto alle note integrative, la Ragioneria generale dello Stato ha previsto, nonostante la legge nulla disponga al riguardo, il coinvolgimento dell’Oiv, assegnandogli un potere di validazione delle note integrative a garanzia della validità tecnico-metodologica delle misure ivi previste. Tuttavia, l’assenza di un fondamento normativo di un tale potere pone alcune questioni: cosa succede se l’Oiv si rifiuta di validare la nota integrativa? L’Oiv può validare la nota integrativa anche nel caso in cui un titolare di un centro di responsabilità si rifiuti di modificare indicatori e valori attesi ritenuti non attendibili o sfidanti, indicati nella nota? Tali questioni appaiono, al momento, insolute.
(53) Corte dei conti, sez. giurisd. Lazio, 28 novembre 2005, n. 2644/05/R; la pronuncia è stata confermata in sede di appello (II sez. giurisd. d’appello, 16 agosto 2008). A seguito delle pronunce della Corte è stata proposta un’apposita interrogazione parlamentare (si v. http://dati.camera.it/ocd/aic.rdf/aic4_04908_16).
(54) A.S. 1122 «Deleghe al Governo per il miglioramento della pubblica amministrazione», Consiglio dei ministri, 21 dicembre 2018. Sul punto, si v. la nota di lettura (n. 67 dell’aprile 2019), elaborata dal Servizio del bilancio del Senato, che contiene condivisibili osservazioni e critiche (spec. in ordine alle coperture) in merito ad alcuni contenuti dell’art. 3, dedicato al merito e alla premialità.
(55) Il testo della delega (art. 3, comma 2, lett. a, n. 3), nella versione disponibile sul sito web del Senato in data 4 luglio 2019 e all’esame nello stesso periodo della Commissione permanente (Lavoro pubblico e privato, previdenza sociale), prevede «l’utilizzazione di soggetti, anche estranei alla pubblica amministrazione, in possesso di una comprovata competenza in materia di organizzazione amministrativa e di gestione delle risorse umane, con funzioni di supporto: 3.1) nel processo di elaborazione degli obiettivi dell’amministrazione e di quelli assegnati al personale dirigenziale anche in relazione alla verifica della loro effettiva qualità, coerenza e significatività; 3.2) nella fase di accertamento del conseguimento degli obiettivi di performance organizzativa e individuale del personale dirigenziale; 3.3) nella valutazione delle competenze del personale, dirigenziale e non dirigenziale; 3.4) nella valutazione dell’efficienza, dell’efficacia e dell’economicità dell’azione e dell’organizzazione amministrativa;[…]».
(56) L’art. 95 Cost. attribuisce al Presidente del Consiglio dei ministri la responsabilità dell’indirizzo politico e amministrativo; i ministri sono individualmente responsabili degli atti dei loro dicasteri. Nelle amministrazioni statali, tale indirizzo non può essere affidato o anche cogestito o, in altro modo, condizionato da soggetti privati. Su questi aspetti basilari, si v. tra tutti S. Cassese, Le basi costituzionali, cit., 175 ss., nonché A. Massera, Parlamento, Governo e Pubblica Amministrazione, in Il Parlamento e i rapporti istituzionali, 2007, e disponibile su www.astrid.it.
(57) Comma 8, art. 1, legge 6 novembre 2012, n. 190 («L’attività di elaborazione del piano non può essere affidata a soggetti estranei all’amministrazione»).
(58) L’assenza di competenze tecniche e capacità da parte dell’organo di indirizzo politico potrebbe essere (parzialmente) controbilanciata da un’attenta e selezionata composizione degli Oiv, tale da assicurare imparzialità ed effettiva competenza. Tuttavia, l’Oiv, allo stato attuale, non ha alcun potere in ordine alla formazione di obiettivi, indicatori, target (il suo potere di validazione riguarda, infatti, soltanto la documentazione di rendicontazione ma non il piano della performance).
(59) Questa tendenza è evidenziata dal Consiglio di Stato nel parere del 14 ottobre 2016, n. 21113, espresso in merito ai contenuti dello schema di decreto legislativo da adottarsi ai sensi dell’art. 11 della legge 7 agosto 2015, n. 124, relativamente alla responsabilità amministrativo-contabile esclusiva del dirigente per attività gestionale, ancorché derivante da atti di indirizzo politico (art. 11, comma 1, lett. c, ii, dello schema di decreto). Tale decreto, come noto, non è stato più adottato per decorrenza dei termini di delega, incisi dagli effetti della sentenza della Corte cost. n. 251/2016.
(60) Tale previsione presenta molteplici limiti anche sul piano pratico. Innanzitutto, sono evidenti i costi di una tale forma di esternalizzazione: con quali procedure verrebbero scelti gli affidatari? Quali risorse economico-finanziarie potrebbero coprire tali costi (società e soggetti privati esterni sono senz’altro più costosi degli Oiv; peraltro, tali organismi difficilmente potrebbero continuare ad operare ad invarianza finanziaria)? In secondo luogo, rispetto a soggetti e società private, è molto meno agevole poter prevenire possibili conflitti di interesse o forme di interferenza politica. Il rischio di un «mercato della valutazione» è, infine, facilmente immaginabile. Sui limiti generali delle esternalizzazioni di funzioni pubbliche, G. Napolitano, La pubblica amministrazione e le regole dell’esternalizzazione, in Il diritto dell’economia, n. 4, 2006, 663 ss.
(61) Le critiche rivolte al cattivo funzionamento dei controlli si sono sempre soprattutto concentrate su problemi relativi alle competenze dei controllori, alla qualità degli atti di controllo, alla sovrapposizione delle procedure, alla lunghezza dei tempi, ecc. Pertanto, molti interventi normativi in questo ambito si sono, nel tempo, concentrati specialmente su tali aspetti, avendo avuto però l’effetto di moltiplicare gli adempimenti e determinare una complessa stratificazione normativa. La verità è che questi problemi hanno una natura prevalentemente accessoria e non è soltanto da questi aspetti che dipendono le principali disfunzioni in tema di controlli. Anche in tal senso, è stato in passato notato che «se vi è qualcosa che non va, non i controlli, nella configurazione attuale, ne vanno ritenuti responsabili, ma solo la concezione di base che esige questo tipo di controlli» (G. Guarino, Efficienza e legittimità dell’azione dello Stato, cit., 40).
(62) Sul rapporto governo-Parlamento esiste una vastissima letteratura, che non è possibile riportare in questa sede. Tra tutte, si ricorda l’opera di C. Mortati, L’ordinamento del governo nel nuovo diritto pubblico italiano, Roma, Anonima romana editoriale (Studi dell’Istituto di diritto pubblico e legislazione sociale della R. Università di Roma), 1931, spec. 29-73, 80 e 156-171 (ried. Milano, Giuffrè, 2000).
(63) Non va poi dimenticato che anche la Corte dei conti svolge controlli «sulla gestione», con esito referente.
(64) Tra le molte analisi e commenti, uno dei testi più completi rimane L. Hinna e G. Valotti (a cura di), Gestire e valutare le performance nella P.A. Guida per una lettura manageriale del d.lgs. n. 150/2009, Rimini, Maggioli, 2010, passim.
(65) Si tratta dell’art. 19, decreto legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito in legge 11 agosto 2014, n. 114, con cui sono stati, innanzitutto, trasferiti all’Autorità nazionale anticorruzione-Anac (ex Civit) i compiti e le funzioni dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture-Avcp (comma 2); quest’ultima autorità è stata, invece, soppressa (art. 19, comma 1). Lo stesso articolo (al comma 9) ha poi trasferito le funzioni di indirizzo e controllo in materia di performance dall’Anac al Dipartimento della funzione pubblica (dipartimento che, come è noto, non è oggi definibile nei termini di corpo o struttura tecnica). Sui controlli anticorruzione e in tema di contratti pubblici, F. Di Lascio, Anticorruzione e contratti pubblici: verso un nuovo modello di integrazione tra controlli amministrativi?, in questo fascicolo della Riv. trim. dir. pubbl. (n. 3, 2019).
(66) Sul ruolo della Corte dei conti nel rapporto con il Parlamento esiste una letteratura molto estesa. Per una riflessione più datata ma specifica sul punto, G. Persico, Controllo parlamentare e Corte dei conti, in Pol. parl., n. 7, 1954, 51-52. Più recentemente, F. Battini, La Costituzione e la funzione di controllo, in Giorn. dir. amm., n. 3, 2010, 317 ss.
(67) M.S. Giannini, Diritto amministrativo3, cit., 438.
(68) Sempre M.S. Giannini, Diritto amministrativo3, cit., 438, ricorda al riguardo che «i rendiconti 1942-1948 furono approvati con un’unica legge di sanatoria, nientedimeno che del 6 febbraio 1963 n. 546; a titolo di esempio, successivamente il rendiconto del 1949 fu parificato nel 1953 e approvato nel 1963; quello del 1950 parificato nel 1954 e approvato nel 1962; quello del 1951 parificato nel 1954 e approvato nel 1963, e così via. Questo dimostra che l’approvazione del rendiconto non ha mai avuto il ruolo di controllo parlamentare, e che anche i ruoli conoscitivo e di controllo finale sono stati vanificati».
(69) Il secondo caso di mancata approvazione del rendiconto risale, invece, all’ottobre 2011 — ultimo governo Berlusconi — (l’art. 1 del d.d.l. di approvazione del rendiconto consuntivo, licenziato dal Senato della Repubblica il 14 settembre 2011, non è stato approvato dalla Camera, che si è espressa sfavorevolmente). Tuttavia, in questa circostanza, non sono seguite le dimissioni del governo (la mancata approvazione venne definita un mero incidente); il governo riacquistò immediatamente la fiducia; il rendiconto venne poi approvato nel novembre 2011. Da lì a poco, il governo ha comunque dato le dimissioni, sulla base di molteplici pressioni e cause (scarsamente dipendenti dal pregresso incidente). Le crisi di governo in Italia sono state, infatti, originate da vicende quasi mai direttamente collegate all’esercizio del controllo parlamentare sulla decisione e sulla gestione della spesa pubblica ma da altri fattori.
(70) Art. 1, comma 5, decreto legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito in legge 7 dicembre 2012, n. 213.
(71) F. Fracchia, Corte dei conti e tutela della finanza pubblica: problemi e prospettive, in Dir. proc. amm., n. 3, 2008, 669. Si v. inoltre U. Allegretti, Controllo finanziario e Corte dei conti: dall’unificazione nazionale alle attuali prospettive, in Rivista dell’Associazione italiana dei costituzionalisti, n. 1, 2013, 506 ss.
(72) Su questi aspetti sia consentito rinviare amplius a E. D’Alterio, La «bollinatura» della Ragioneria generale dello Stato, Napoli, Editoriale Scientifica, 2017, passim e a Id., Finanza pubblica e amministrazione: «verifiche» e «bollino» della Ragioneria generale dello Stato, in Riv. trim. dir. pubbl., n. 4, 2016, 1009 ss.
(73) Per i dati, si rinvia sempre a E. D’Alterio, La «bollinatura» della Ragioneria generale dello Stato, cit., 58 ss.
(74) Per gli atti regionali — dove non c’è alcuna forma di bollinatura — l’attività di controllo è svolta, oltre che dalla Corte dei conti, dalla Corte costituzionale, ogni qual volta venga impugnata, in via principale, una legge regionale per violazione del comma 3 dell’art. 81 Cost. (si tratta di numerosi casi; al contrario, quelli relativi a leggi statali sono nettamente inferiori e spesso infondati). E. D’Alterio, La «bollinatura» della Ragioneria generale dello Stato, cit., 70 ss.
(75) Si cfr. F. Battini, Per una visione (o miraggio) di controllo unitario, in Riv. C. conti, n. 5, 2010, 193.
(76) In termini generali, si ricorda V. Guccione, Il “principe dei controlli”: la vicenda del controllo preventivo della Corte dei Conti, in I controlli amministrativi, a cura di U. Allegretti, Bologna, il Mulino, 1995, 67 ss.
(77) Per un’analisi dei due binomi, S. Cassese, Le basi costituzionali, in Trattato di diritto amministrativo, cit., 175 ss.
(78) Questo punto è approfondito in E. D’Alterio, Come le attività della Corte dei conti incidono sulle pubbliche amministrazioni, in Riv. trim. dir. pubbl., n. 1, 2019, 39 ss.
(79) Alcuni problemi «originari» sono ricordati da R. Faucci, Finanza, amministrazione e pensiero economico, cit., 35 ss. Tali problemi si sono nel tempo tradotti in stratificazioni e sovrapposizioni, tali da rendere confusa la stessa nozione di controllo: M.S. Giannini, Controllo: nozioni e problemi, in Riv. trim. dir. pubbl., n. 4, 1974, 1263 ss.
(80) Tra tutti, S. Cassese, I moscerini e gli avvoltoi. Sistema dei controlli e riforma della Costituzione, relazione al convegno su «Sistema dei controlli e riforma della Costituzione», Milano, 11-12 dicembre 1992, Corte dei conti-Centro poligrafico, Roma, 1995, 23 ss. e pubblicata su Il Corriere giuridico, n. 2, 1993, 217 ss.
(81) Naturalmente, non si trascura l’esistenza di notevoli margini di miglioramento in tema di controlli; tuttavia, va preso atto che l’ordinamento italiano, allo stato attuale, prevede forme di controllo, anche gestionale, molto articolate e sempre più coordinate con i sistemi di bilancio delle amministrazioni (rispetto anche soltanto a dieci anni fa — si pensi ai tempi dell’introduzione della c.d. «riforma Brunetta» e della riforma del bilancio dello Stato — sono stati fatti, nonostante tutto, molti passi in avanti e un pò meno indietro).
(82) Sulla rilevanza del funzionamento dei checks and balances (nella forma dei c.d. contropoteri) e sugli attuali fattori di crisi, S. Cassese, La democrazia e i suoi limiti2, Milano, Mondadori, 2018, 57 ss.
(83) Si ricorda che la stessa previsione della Corte dei conti in Costituzione rappresenta la premessa di alcune sue note disfunzioni: la Carta costituzionale colloca, infatti, la Corte tra gli «organi ausiliari del governo», il che rivela una originaria, e poi protratta, confusione circa la natura dell’organo e la sua posizione nell’ordinamento. Sul punto, sia consentito il rinvio a E. D’Alterio, Come le attività della Corte dei conti incidono sulle pubbliche amministrazioni, cit., 39 ss.
(84) Sui controlli della Corte dei conti e su alcune sue disfunzioni, si rinvia al contributo di G. D’Auria, Le mutazioni dei controlli amministrativi e la Corte dei conti: a un quarto di secolo da una storica riforma, in questo fascicolo della Riv. trim. dir. pubbl. (n. 3, 2019).
(85) Si cfr. F. Battini, Controllo di legittimità, controllo collaborativo e azione inquirente delle procure, in Giorn. dir. amm., n. 5, 2005, 521.
(86) Così G. Rivosecchi, I controlli sulla finanza pubblica tra i diversi livelli territoriali di governo, in questo fascicolo della Riv. trim. dir. pubbl. (n. 3, 2019).
(87) Tra le varie pronunce, si ricorda Corte dei conti, sez. giur. Calabria, 6 settembre 2016, n. 197.
(88) Alcuni dati sono ricavabili da G. Bottino, Rischio e responsabilità amministrativa, Napoli, Editoriale scientifica, 2017, 73-74.
(89) H. Margetts, The Internet and Democracy, in The Oxford Handbook of Internet Studies, ed. by W.H Dutton, Oxford, Oxford University Press, 2013, part IV.
(90) «L’esercizio di attività di controllo non è esercizio di potestà giurisdizionale, perché «il giudice giudica, non già verifica», così, M.S. Giannini, Controllo: nozione e problemi, cit., 1272-73. Si v. altresì U. Allegretti, I controlli sull’amministrazione dal sistema classico all’innovazione, in Controlli amministrativi, cit., 18. Nel senso di una netta distinzione tra istituti di giustizia amministrativa e controlli, si ricorda l’opera di E. Capaccioli, Brevi note in tema di controllo e di giurisdizione, ora in Scritti vari di diritto pubblico, Padova, Cedam, 1978, 324 ss.
(91) Negli studi di origine anglosassone, è evidenziato come il controllo, per poter funzionare correttamente, debba essere in grado di produrre «effetti» e gli stessi debbano poter incidere in una qualche forma. Soltanto in questo modo, può essere, secondo i predetti schemi, garantito l’equilibrio tra poteri pubblici alla luce dei principi di legalità e responsabilità: M. Bovens, The Quest for Responsibility. Accountability and Citizenship in Complex Organisations, Cambridge, Cambridge University Press, 1998, 38 ss. Secondo alcuni di tali studi, poi, è particolarmente rilevante la componente c.d. «effettivo-attuativa» dei controlli, tanto da potere avere carattere, persino, sanzionatorio: i controlli, nella prospettiva della accountability, «involve[…] inquiring into actions after they have occurred and imposing remedies or sanctions for past breaches of rules and instructions. Admittedly, the prospect of sanctions has an important deterrent effect on those held accountable», così R. Mulgan, Holding Power to Account. Accountability in Modern Democracies, New York, Palgrave, 2003, 18.
(92) È altamente improbabile che possa esservi un governo disponibile a prevedere e rafforzare il sistema di controlli sul proprio operato (e su quello, di conseguenza, dei governi successivi). In questi termini, soltanto un c.d. «governo tecnico» potrebbe trovarsi nella condizione ottimale per formulare una riforma realmente efficace in tal senso.