
Nel 1972 il decreto del Presidente della Repubblica numero 748 del 30 giugno regolò funzioni, attribuzioni, responsabilità e reclutamento dei dirigenti dello Stato. Era una legge molto attesa, importante, che avrebbe dovuto, secondo molti, assimilare i dirigenti italiani a quelli francesi (formatisi nella mitica ENA, l’École Nationale l’Administration), rendendoli capaci di guidare davvero gli uffici e di formare a loro volta i quadri amministrativi. La legge fu approvata ma nella sua applicazione mostrò molte falle. La prima delle quali fu che si scatenò una sorta di caccia all’ingresso nella dirigenza. Avrebbe dichiarato pochi anni dopo Sabino Cassese, nella sua intervista a Redento Mori (“Servitori dello Stato. Intervista sulla pubblica amministrazione a Sabino Cassese”, Bologna, Zanichelli, 1980, p. 28): “Purtroppo la norma sulla dirigenza è stata un fallimento. (…) Salvo gli aumenti, poi erosi dall’inflazione, si può dire che quasi niente della disciplina della dirigenza abbia trovato attuazione”. Nelle righe che seguono, in un corsivo non firmato ma a lui sicuramente attribuibile, Giulio Andreotti, “a caldo”, interviene sui problemi inerenti alla nuova legge e formula alcuni possibili suggerimenti sulla sua applicazione.
Per anni abbiamo ascoltata la critica alla Pubblica Amministrazione per avere un numero eccessivo di alti gradi. La legge di riforma se ne fece carico e previde un esodo agevolato per gli esuberanti; e quando si disse che gli esuberanti erano circa 4500 rispetto a 7000 dirigenti che devono rimanere, molti dissero che erano troppo pochi. È cominciata l’uscita volontaria, e apriti cielo. Tutti piangono sulla amministrazione che si impoverirebbe, sull’errore di calcolo ecc. C’è da impazzire.
È possibile fare qualcosa di serio e di organico? È possibile che chi dispone o vota una legge ne sia successivamente coerente difensore? La risposta al lettore benigno. Certo, occorre portare avanti tutta la legge, spostando anche i funzionari da un settore all’altro (salvo specializzazioni non fungibili, come accade per i ferrovieri) e dando loro effettive responsabilità di conduzione.
Non firmato (ma Giulio Andreotti), nella rubrica Zanzariera, in “Concretezza”, XIX, n. 13, 1° luglio 1973, p. 9.