A passeggio con l’informatica – 25. Informatica e mondo del lavoro

Ventiseiesima puntata del nostro viaggio


Dopo aver concluso con il
precedente articolo alcune riflessioni sull’intreccio sempre più fitto tra la dimensione digitale e le altre dimensioni rilevanti per la società umana, iniziamo con questo a discutere lo specifico campo del mondo del lavoro. Le tecnologie digitali sono infatti uno dei fattori che più ha contribuito all’aumento di produttività degli ultimi decenni.

Da parecchi anni in Europa si sente quindi parlare dell’importanza di sviluppare competenze digitali nella forza-lavoro, in modo che i vari settori produttivi e dei servizi diventino più efficaci ed efficienti. Però, se non si capisce che l’informatica è nulla senza il controllo dell’uomo, continueremo a sprecare milioni di euro. La tradizionale automazione industriale ha dapprima sostituito l’azione fisica delle persone con la forza delle macchine, sotto la guida delle facoltà cognitive delle persone. Poi ha meccanizzato con successo compiti burocratici di bassa complessità cognitiva: trasferire denaro da un conto a un altro, acquistare un bene ed effettuarne il pagamento, controllare il livello delle scorte e ordinarne il rimpiazzo. Adesso sono in gioco compiti cognitivi più complessi: l’automazione dell’informatica, soprattutto con l’impetuoso sviluppo dell’intelligenza artificiale generativa (IAG), sta tentando di sostituire l’intelligenza umana con una macchina.

Però, l’automazione dell’informatica, anche quando si mette in campo l’IAG, da sola non basta. Non è infatti sufficiente digitalizzare i processi aziendali o integrarli con strumenti di IAG, perché il mese dopo che i sistemi informatici sono stati installati dovranno essere modificati per adattarsi alle mutate condizioni di contesto. E questo processo di manutenzione va avanti senza fine, perché un sistema informatico non è un essere umano che si adatta alle novità e impara dai suoi errori. Neanche gli strumenti di IAG hanno queste capacità di apprendimento totalmente autonomo, nonostante la propaganda commerciale. L’automazione dell’informatica richiede quindi la supervisione delle persone, per ottenere quella flessibilità che i sistemi informatici non possiedono. Troppo spesso, invece, si è considerata prima l’informatica e adesso l’IAG solo come un facile modo di tagliare sui costi (cioè avere meno personale). Non si riesce a capire che quel chilo e mezzo scarso di materia grigia che hanno le persone ha una capacità di adattamento e di comprensione delle situazioni che neanche la tonnellata e mezzo del supercalcolatore Watson riesce a eguagliare. Oltretutto con un costo enormemente inferiore. È appena del mese scorso la notizia che una società internazionale leader nei pagamenti digitali, che aveva pensato di sostituire il suo personale del servizio di supporto ai clienti con strumenti di IAG ha annullato questa decisione con le parole: «Nel mondo dell’intelligenza artificiale niente ha così valore come le persone!».

Questa considerazione è suffragata anche da studi economici (trovate i riferimenti nel libro La rivoluzione informatica) che evidenziano che le aziende che non hanno competenze informatiche possono difficilmente migliorare la loro produttività semplicemente investendo nelle tecnologie digitali. Esse hanno bisogno di un appropriato livello di investimento in servizi di supporto, o creando internamente settori con le necessarie competenze oppure acquisendole dall’esterno. Io sono convinto che la prima sia la scelta migliore, perché il flusso dei dati e delle informazioni che essi veicolano è sempre stata la linfa vitale di ogni organizzazione, fattore essenziale per l’efficacia e l’efficienza di ogni sua attività. Ogni persona con responsabilità strategiche o direttive lo sa bene, e la possibilità di trattarli automaticamente mediante l’informatica è un fattore chiave per la competitività. È quindi certamente meglio avere al proprio interno le competenze professionali necessarie.

L’automazione realizzata dalle tecnologie informatiche comporta però un salto culturale e concettuale, che richiede un appropriato accompagnamento e un’adeguata preparazione delle persone coinvolte. Proprio per la sua profonda portata concettuale, questo tema non può quindi essere compreso appieno soltanto con qualche corso di formazione sulle competenze digitali. Questo è uno dei motivi per cui la trasformazione digitale sarà lunga e difficile: bisogna aver assorbito idee e concetti, più che conoscere strumenti ed essere abili nell’usarli.

Purtroppo la rivoluzione dell’informatica, diversamente dalla rivoluzione industriale, è avvenuta nel giro di una stessa generazione. Ricordate il 1993? Nella vita dell’uomo della strada non c’erano i social media, nelle aziende si iniziava a usare la posta elettronica, giornali e televisioni erano ancora i signori incontrastati dei media. Ormai trent’anni dopo queste situazioni sono completamente cambiate, mentre l’essere umano è sempre lo stesso, non ha ancora sviluppato una sufficiente consapevolezza nei confronti del mondo digitale, in cui si trova però improvvisamente immerso fino al collo.

Il sistema Italia non riuscirà a usare l’informatica per migliorare il suo futuro se, insieme alle più immediate misure di alfabetizzazione, non si interviene per far crescere la cultura dell’informatica e, in parallelo e da subito, non si definiscono azioni per liberare le potenzialità dell’informatica nel rivitalizzare e ridare competitività al sistema produttivo.

La carenza di vera cultura informatica è ovviamente solo l’esempio più eclatante del generale stato di declino in Italia della cultura scientifica, ormai protrattosi per troppo tempo per un paese avanzato. Ritengo che sia particolarmente grave a causa della natura strategica dell’informatica nel sistema produttivo di un paese che fa parte, non dimentichiamolo, dei sette paesi più industrializzati del mondo .

Una componente indispensabile per un reale ed efficace rilancio dell’economia italiana nel prossimo futuro è quindi l’utilizzo flessibile e adattivo dell’informatica per continuare a sviluppare prodotti e servizi di alto livello ed elevato valore aggiunto in un’ottica artigianale – per quanto attiene agli aspetti qualitativi – ma con un approccio industriale dal punto di vista della filiera produttiva e di distribuzione.

Per conseguire questo obiettivo è necessario che la cultura dell’informatica sia diffusa a tutti i livelli, in modo tale che nel nostro Paese si sviluppi un comparto industriale di “lavoratori della conoscenza” in grado di realizzare a costi competitivi quei sistemi informatici altamente specializzati e personalizzati che sono necessari a questo tipo di economia, assicurando nel contempo capacità di mantenerli e adattarli flessibilmente al variare continuo delle esigenze del mercato e della società.

Un passo necessario per raggiungere questo obiettivo è quello di cominciare a insegnare informatica fin dai primi anni di scuola, come nel Novembre 2023 è stato raccomandato anche dal Consiglio dell’Unione Europea. Finalmente, è notizia di pochi giorni fa, il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha proposto una revisione delle Indicazioni Nazionali per la scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione che vede l’inserimento dell’informatica come disciplina di studio. Anche il nostro Paese si sta quindi avviando lungo una strada che è essenziale percorrere per essere protagonisti in una società sempre digitale.

Proseguiremo nel prossimo articolo le riflessioni sull’uso dell’informatica nel mondo lavorativo.

( I post di questa serie sono basati sul libro dell’Autore La rivoluzione informatica: conoscenza, consapevolezza e potere nella società digitale, al quale si rimanda per approfondimenti. I lettori interessati al tema possono anche dialogare con l’Autore, su questo blog interdisciplinare, su cui i post vengono ripubblicati a partire dal terzo giorno successivo alla pubblicazione in questa sede. )