A passeggio con l’informatica – 24. Dati digitali e vita reale

Venticinquesima puntata del nostro viaggio

Nell’articolo precedente abbiamo discusso l’importanza di mantenere un approccio basato sul rispetto dell’uomo, sia dal punto di vista personale che sociale, nel considerare lo sviluppo delle tecnologie informatiche. Dopo l’ubriacatura dei primi vent’anni di questo secolo, quando sembrava che gli strumenti digitali ci stessero portando in una specie di società ideale, abbiamo cominciato a renderci conto dei problemi connessi con la misurazione digitale di ogni aspetto della nostra vita. Per reazione, questo sta dando sempre più importanza agli aspetti intrinsecamente non misurabili della nostra esistenza, attribuendo ad essi un valore sempre maggiore. Le relazioni personali, il contatto con la natura, il senso dell’identità e della tradizione stanno recuperando terreno e diventando spazi nei quali, sempre più attivamente, ci rifugiamo per sfuggire al controllo digitale.

Il distacco dalla tecnologia digitale è il segno distintivo delle élite che hanno maggiormente contribuito alla diffusione di strumenti che – come vediamo dalle discussioni sempre più accese e polarizzate che occupano i social media – stanno minando i valori fondanti delle società evolute: la comprensione reciproca, la solidarietà, la compassione, il sostegno e la protezione per i più deboli. Non solo, ci sono ormai da qualche anno evidenze sempre più importanti delle conseguenze negative di un uso troppo precoce di smartphone e social media. Si veda, ad esempio, il rapporto finale della 7a Commissione Permanente del Senato “Sull’impatto del digitale sugli studenti, con particolare riferimento ai processi di apprendimento” del giugno 2021.

La tecnologia digitale non implica intrinsecamente un suo utilizzo in modo anti-sociale, ma se lo sviluppo è guidato unicamente da valori economici senza essere contemperato da un approccio pro-sociale, l’atomizzazione dei comportamenti che essa favorisce, giacché si può far tutto attraverso uno smartphone, rischia di far regredire l’umanità alla situazione dell’homo homini lupus.

D’altra parte, è vero che abbiamo spostato gran parte della nostra vita nel regno in cui dominano queste macchine cognitive disincarnate. Di conseguenza, la nostra esistenza si sviluppa ormai non solo lungo le consuete dimensioni relazionali (economica, giuridica, culturale…) ma si articola anche in questa dimensione incorporea delle “rappresentazioni”, sempre più rilevante dal punto di vista sociale.

Non è un fatto del tutto nuovo. L’umanità ha registrato dati sul mondo per migliaia se non decine di migliaia di anni. Tuttavia, da componente del tutto trascurabile della nostra esistenza, le rappresentazioni dei dati ne sono diventate una parte rilevante e importante. Anche se la maggior parte dei dati digitali che creiamo hanno un uso effimero senza essere conservati permanentemente, la quantità di dati raccolti ha raggiunto livelli incredibili. Nel 2025, il totale dei dati digitali archiviati in tutto il mondo dovrebbe raggiungere, secondo diverse stime i 200 Zettabyte, cioè 200 miliardi di Terabyte, ovvero 200 milioni di milioni di Gigabyte. Sono valori che non riusciamo neanche a immaginare.

Come purtroppo ci ha insegnato l’emergenza sanitaria del 2020, non possiamo più ignorare la rappresentazione digitale dei dati che ci riguardano. Essi sono diventati una componente integrante e costitutiva della nostra vita personale e sociale. Da qui la necessità di tutelare i diritti delle persone non solo per quanto riguarda il loro corpo e il loro spirito, ma anche per le loro proiezioni digitali. Nel mio volume La rivoluzione informatica ho argomentato che sarebbe necessaria una tutela di livello costituzionale, modificando l’articolo 2 in modo che riconosca non solo la protezione dei diritti ma anche il soddisfacimento dei doveri nel mondo digitale. Questa sarebbe la nuova versione proposta (in neretto la parte aggiunta): “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali che nei contesti digitali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.

Per chiudere, ricordo che l’assenza nelle macchine cognitive di un corpo fisico ha una controparte duale nel fatto che questa dimensione digitale della nostra esistenza è popolata da “forme di vita” per le quali non abbiamo sensori di rilevazione. I virus e i worm digitali, che non sono benigni nei confronti del nostro “sé digitale”, proprio come le loro controparti biologiche non sono benevole per i nostri corpi fisici, continuano a diffondersi a un ritmo allarmante senza che siamo in grado di contrastarli efficacemente. Avremmo infatti bisogno della versione digitale di quelle norme igieniche che tanto ruolo hanno avuto nel miglioramento delle condizioni di vita nel Novecento. Ancora una volta, è solo attraverso l’istruzione che possiamo fare la differenza, e si deve iniziare il prima possibile.

( I post di questa serie sono basati sul libro dell’Autore La rivoluzione informatica: conoscenza, consapevolezza e potere nella società digitale, al quale si rimanda per approfondimenti. I lettori interessati al tema possono anche dialogare con l’Autore, su questo blog interdisciplinare, su cui i post vengono ripubblicati a partire dal terzo giorno successivo alla pubblicazione in questa sede. )