Punti di Vista sulla sovranità digitale – Non vi è un Re, senza uno Stato. Per governare le infrastrutture digitali bisogna prima realizzarle

Seconda puntata del Punto di Vista dell’Osservatorio dedicato alla Sovranità digitale.

Oggi, le nuove tecnologie e tensioni internazionali costringono gli Stati a dover difendere la propria sovranità anche rispetto alla gestione dei dati delle loro amministrazioni, cittadini e imprese. Ma per difendere la propria sovranità digitale vanno innanzitutto realizzate delle infrastrutture digitali. E l’Italia in questi anni sta finalmente tentando di porre rimedio agli atavici ritardi del passato.

 

Il dibattito pubblico di questi ultimi mesi è oramai caratterizzato dalla preoccupazione per le crescenti tensioni geopolitiche e dal ritardo, apparentemente incolmabile, che l’Unione europea e i suoi Stati membri hanno accumulato nei confronti dei grandi attori internazionali, come gli Stati Uniti o la Cina. Ciò, inevitabilmente, porta sempre più spesso a porre l’accento sulla necessità di realizzare una “sovranità digitale”,

Con qualche approssimazione, questa può intendersi come la capacità delle istituzioni di conservare la propria autonomia e indipendenza nella gestione dei dati e delle tecnologie digitali, nonché di controllare le relative infrastrutture nazionali. Come già chiarito in E. Schneider, Il ruolo primario delle infrastrutture digitali per la ripresa economica del paese: a che punto siamo?, le infrastrutture digitali sono dei centri di elaborazione di dati, i c.d. data center, che consentono di allocare e custodire tutto quanto è necessario per il funzionamento di un’architettura informatica.

Affinché l’Italia possa essere sovrana delle proprie infrastrutture digitali, è però necessario che prima realizzi le medesime; del resto, non vi può essere un sovrano senza uno Stato su cui regnare. Occorre quindi chiedersi quale sia il grado di digitalizzazione del nostro Paese e come l’Italia si colloca rispetto agli altri Stati europei, dato che già l’Unione europea nel suo complesso viene considerata in affanno rispetto all’intraprendenza delle altre grandi potenze del pianeta.

All’alba della presentazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), l’Italia si caratterizzava per un grave ritardo sul piano digitale; d’altronde, già sul finire degli anni Settanta Giannini denunciava l’assenza di effettive politiche di informatizzazione delle nostre amministrazioni.  Per di più, analoghe difficoltà si rinvenivano e si rinvengono ancora oggi con riferimento al settore privato, stante la particolare diffusione nella nostra Penisola delle piccole e medie imprese e la loro limitata tendenza all’innovazione.

Quanto descritto è ben sintetizzato dallIndice DESI 2020 (Digital Economy and Society Index), ove l’Italia per l’anno 2019 si collocava al 25° posto sugli allora 28 Stati membri, con  un indice di digitalizzazione pari soltanto a 43,6, ben al di sotto della media europea di 52,6.

La buona notizia è che l’Italia in questi ultimi anni sta compiendo degli sforzi importanti per recuperare il terreno perduto e sembrano dare i propri frutti gli ingenti investimenti stanziati nel Pnrr a valere sulle risorse messe a disposizione dal programma Next Generation EU. In tal senso appaiono incoraggianti i dati messi a disposizione  dalla Fondazione Openpolis, che monitora lo stato di attuazione del Pnrr, e dalle istituzioni europee.

Solo per riportare alcuni dei dati più significativi, va ricordato che nell’ottobre del 2024 si è altresì assicurata la migrazione verso cloud certificati dei dataset ed applicativi appartenenti a 4.315 amministrazioni comunali, sanitarie e scolastiche. Similmente, alla stessa data il nostro Paese è riuscito non solo a realizzare il Polo Strategico Nazionale (PSN), ovverosia la nuova infrastruttura nazionale del cloud, ma anche ad assicurare la migrazione nel medesimo dei dataset e degli applicativi di 208 amministrazioni.

Il Polo, in particolare, si compone di quattro data center, localizzati nel Lazio e in Lombardia, chiamati a gestire i servizi e i dati ordinari, critici e strategici delle pubbliche amministrazioni. Il PSN  è stato realizzato in attuazione della prima componente della prima Missione del Pnrr, dedicata alla digitalizzazione delle nostre amministrazione. La sua realizzazione, sotto la direzione del Dipartimento per la trasformazione digitale, è avvenuta a cura di una apposita società costituita a tal fine, la Polo Strategico Nazionale S.p.A., e partecipata da TIM, Leonardo, Sogei e Cassa Depositi e Prestiti.

Quanto invece ai dati messi a disposizione dalle istituzioni europee, occorre fare riferimento al Rapporto 2024 sul decennio digitale 2020-2030 che ha sostituito il precedente Indice Desi e, più precisamente, alla specifica relazione della Commissione sullo stato di realizzazione degli obiettivi del decennio digitale da parte dell’Italia.

Nella relazione, da un lato, si evidenzia la perdurante esistenza di alcune criticità che continuano a caratterizzare il nostro paese e che d’altronde, essendo innanzitutto di matrice culturale, difficilmente possono superarsi in tempi brevi. Ad esempio, si registra che nel 2023 solo il 45,8% della popolazione italiana possedeva delle competenze digitali di base, mentre la media europea è ben superiore e pari a 55.6%. Dall’altro lato, tuttavia, la Commissione europea sottolinea gli impronti progressi compiuti dal nostro Paese in questi ultimi anni. E l’accento viene posto proprio sugli investimenti effettuati nelle infrastrutture del cloud e sulla partecipazione dell’Italia a ben nove Consorzi europei per le infrastrutture digitali (EDIC), i quali sono enti dotati di personalità giuridica e volti ad agevolare la realizzazione di progetti sovranazionali nel digitale.

Del resto, la stessa realizzazione del PSN si ricollega all’ambizioso progetto europeo Gaia-X, che mira a creare una piattaforma cloud europea, nonché  ad assicurare l’interoperabilità dei sistemi già esistenti degli Stati membri. L’obiettivo ultimo del progetto Gaia-x è difatti quello di realizzare un sistema europeo federato, ovverosia decentrato e non centralizzato, per connettere i fornitori di servizi cloud e gli utenti in modo che sia possibile implementare servizi digitali e conservare dati nell’ambito di un ecosistema digitale sicuro ed affidabile.

In realtà, l’ambizione in origine era quella di replicare nell’ambito digitale il successo raggiunto nell’aviazione con l’esperienza Airbus, frutto della cooperazione europea. Ovverosia, creare una piattaforma cloud europea, federando e coordinando i servizi offerti da piccole e medie imprese del continente, anche per svincolarsi dai grandi colossi statunitensi, come Google o Microsoft.

Invero, come riporta M. Gooding, Gaia-X: Has Europe’s grand digital infrastructure project hit the buffers?, detti colossi, da un lato, detengono la maggioranza del mercato del cloud pubblico e vendono servizi a quasi la metà delle imprese europee. Dall’altro, trasferiscono i relativi dati nei propri server e data center localizzati negli Stati uniti, sottraendosi così all’osservanza delle previsioni del GDPR, il Regolamento europeo sulla protezione dei dati, le quali sono ben più stringenti delle corrispondenti normative statunitensi in materia di tutela della riservatezza.

Il progetto, lanciato nel 2019 con 22 membri,  si è profondamento evoluto nel corso degli anni, venendo a contare ben 212 membri nel 2021 ed oggi più di 350, ivi comprese però anche grandi imprese internazionali del settore. In particolare, a giudizio di alcuni dei precedenti ideatori del progetto europeo, come Frank Karlitschek, amministratore delegato dell’impresa tedesca NextCloud, Gaia-X si starebbe allontanando dall’obiettivo originario di realizzare una infrastruttura cloud europea, finendo per concentrarsi sulla fissazione di standard e regole rispetto alla condivisione e gestione di dati. Non a caso, il precedente CEO di Gaia-X, l’italiano Francesco Bonfiglio, ha fondato una propria società, la Dynamo, allo scopo di sviluppare e fornire prodotti cloud  e di continuare il sogno di realizzare una piattaforma cloud federata a livello europeo.

Ad ogni modo, per maggiori approfondimenti sul progetto Gaia-X e sul rischio di un’influenza sul medesimo da parte dei colossi stranieri si rinvia a C. Bignotti, Sovranità digitale e infrastrutture cloud: il progetto Gaia-X e il Polo strategico nazionale riusciranno ad arginare i giganti tecnologici americani e cinesi?, ma qui è sufficiente ricordare che il progetto europeo si fonda oggi su quattro elementi chiave: a) i federation services che definiscono i requisiti e servizi necessari per il funzionamento dell’ecosistema Gaia-x; b) i data space, articolati a seconda del settore e del dominio, che conservano i dati e consentono di condividerli e scambiarli su base volontaria; c) la fissazione di standard che garantiscono elevati livelli di sicurezza e l’interoperabilità dei dati;  d) la creazione di regole comuni anche al fine di favorire il dialogo e la cooperazione tra imprese, promuovendo così il mercato dei servizi digitali.

Alla luce di quanto qui sintetizzato si può dire che la strada intrapresa verso la piena digitalizzazione è ancora lunga; ciononostante, le recenti iniziative assunte dall’Italia e dall’Unione europea dimostrano che le istituzioni hanno oramai compreso la necessità di organizzarsi per affrontare le grandi rivoluzioni tecnologiche del nostro tempo.

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