Il “balletto delle nomine” e i governi “fisarmonica”: un male antico

“Donato” è il nom de plume utilizzato da Ferruccio Parri negli anni in cui fu attivo collaboratore (e forse qualcosa di più) della rivista “Il Ponte” fondata da Piero Calamandrei, sostenendo – come fece anche un altro grande intellettuale democratico, Arturo Carlo Jemolo – le fatiche del direttore Enzo Enriques Agnoletti.

Vale la pena di rileggere questa sua pagina graffiante, che apriva il numero 2 (febbraio 1959) della rivista.

Oggetto della sferzante polemica di “Donato” era il secondo dei governi presieduti da Antonio Segni, un monocolore democristiano allora appena formato (18 febbraio 1959) che  sarebbe durato poco più di un anno (sino al 24 febbraio 1960).

La critica però andava oltre quel governo. Coglieva uno dei difetti per così dire strutturali degli esecutivi della Repubblica: il continuo “balletto” degli incarichi ministeriali, a sua volta generato dal gioco incessante ma mai casuale delle correnti dei partiti.

Un direttore di danze che avesse interrotto in contrattempo uno chassez-croisez, sì che ciascuno dei ballerini sedendosi si trovasse nella seggiola non sua, avrebbe dato un’idea di questo nuovo ministero Segni, e della natura della fatica del suo cireneo. Non si trattava di posti da coprire e d’incarichi da assegnare: vi era un certo numero di persone che bisognava prender dentro. Quanto alle seggiole, ci si accomodasse come si poteva.

E così il rispettabile sen. Tupini, non più tanto primaticcio, farà dello sport; l’on. Bo guarderà il soffitto; l’on. Andreotti che non ha fatto il soldato – dicono – neppure come “pappino” della sanità, sparerà i cannoni; l’on. Rumor si è presa una gatta che non basta la buona grazia a pelarla; l’agricoltore va all’industria; chi s’intende di poliomielite curerà la disoccupazione e di poliomielite si occuperà lo storico del diritto.

Uno dei nostri antichi presidenti del Consiglio trovava specialmente pericolosi i ministri competenti: hanno delle idee in testa, ci credono, vogliono fare e combinano guai. Non attribuiamo all’on. Segni questa sorta di cinismo ch’è frutto del lungo esercizio del potere. Ma questa volta l’indifferenza nella scelta dei segretari dello Stato italiano è sembrata davvero eccessiva; ed un poco troppo disinvolto considerare amministrazioni altamente specializzate come il Commercio estero o la Sanità quali ministeri di risulta, ed i ministeri dell’Istruzione e del Bilancio due seggiole onorarie a consolazione dell’on. Medici e dell’on. Tambroni. (…). Da anni si discute straccamente in parlamento di una famosa “legge di governo” che deve definire compiti ed attribuzioni della presidenza del Consiglio e dei ministeri; è prevista e richiesta dalla Costituzione, e non vi è Presidente al quale l’on. Gronchi non lo ricordi. Ma nulla sembra così indigesto ai nostri uomini politici come l’ordine, la razionalità, le regole fisse. Il governo ha da essere come una fisarmonica.

Donato, L’ora di Segni e l’ora che seguirà, in “Il Ponte”, XV, n. 2, febbraio 1959, pp. 153-154.  Ringrazio Roberto Passini, membro del comitato della rivista “Il Ponte”, per avermi rivelato chi si nascondeva sotto lo pseudonimo di “Donato”.