Il volumetto “Miracolo all’italiana” di Giorgio Bocca uscì nel 1962, in prima battuta per le edizioni dell’“Avanti!” (poi ebbe svariate altre edizioni).
Va riletto. È un piccolo-grande esempio di giornalismo d’autore. Un libro che ci dice molto di com’eravamo a ridosso se non nel pieno del “miracolo economico”, cioè nel boom degli ultimi anni Cinquanta-primissimi Sessanta.
Bocca, con qualche sua auto sgangherata – chissà – o in treno magari o su quei pullman scassati del nostro Mezzogiorno, girò tutta la penisola italiana toccando quasi tutte le regioni. Sostò in alberghi e pensioni di periferia. Mangiò anche con gusto il cibo locale in trattorie più o meno ruspanti. Raccolse nel suo inseparabile taccuino dati e informazioni di prima mano, intervistò la gente del posto (onorevoli, sindaci, marescialli dei carabinieri, signore-bene ma anche donne del popolo, poveri, operai, contadini e tanti dei nuovi ricchi arricchitisi col “miracolo”). Visitò le città della sconfinata provincia italiana, le grandi e le piccole. Guardò le vetrine dei negozi. Vide, ad esempio a Vigevano capitale della calzatura improvvisamente arricchitasi, scomparire le librerie e i teatri a vantaggio di orridi locali all’americana. Studiò chi passeggiava per le strade, notò come vestiva, come si muoveva. Giovani e vecchi, figli e padri, ragazze spavalde nella minigonna e donne ancora intabarrate nel costume tradizionale. Insomma, fece quel che si dice un check-up, intelligente e pieno di notazioni acute, di quell’Italia che stava allora cambiando pelle. Raccontò il consumismo in ascesa, la 600 Fiat, il televisore e il frigo comprati a rate. E annotò anche – con qualche nostalgia per il passato – l’omologazione dei comportamenti, l’esibizionismo dell’incolta borghesia salita di recente dai ceti mediobassi, tronfia dei danari appena fatti, recente padrona adesso dei centri urbani, persino dei palazzi storici. Descrisse le case dei nuovi ricchi piene di cose di pessimo gusto ma esibite come il simbolo della repentina ascesa sociale.
Una parte del libro è dedicata tutta a Milano: forse è la più interessante. Una pagina o due raccontano le locali amministrazioni – la milanese e le altre – davanti al boom. Come reagirono gli amministratori locali, i sindaci e gli assessori, i politici, anche quelli di sinistra? Male. Malissimo dice Bocca. Capirono poco di quel loro mondo che stava cambiando repentinamente sotto i loro occhi. E non seppero dirigerlo, né governarlo, né indirizzarlo. Vinse dappertutto il caos della speculazione edilizia, prima di tutto di quella più selvaggia, in assenza della sospirata (e a Roma contrastatissima) legge urbanistica. Era solo l’inizio, il primo avviso che Bocca coglieva qui con l’acume dell’osservatore, di quella che già in parte era e poi è sempre più diventata la compagna di viaggio del boom: la corruzione pubblica.
Forse è tutto pleonastico, ma vorrei dire che la speculazione edilizia nel Milanese è una gran bella torta. A tener conto solo di ciò che è stato edificato nel 1960 entro i limiti comunali (39.372 alloggi, 3.567 uffici, 1.076 negozi) si arriverebbe a un profitto di sessanta-settanta miliardi. (…). Bene, questa è la torta, state sicuri che non la divide soltanto la pura e indifferente legge del libero mercato. Le correzioni illecite intervengono di continuo e a un certo livello la frode fiscale, la corruzione e magari la santa ingenuità di certi amministratori sono di prammatica. Per i grossi speculatori milanesi la frode fiscale è quasi un punto d’onore: si compera a mille, si rivende a tremila, ma per il fisco c’è sempre pronto un doppio contratto, in modo che risulti una vendita a mille e cento. Oppure il commercio avviene tra società di comodo con la cessione di pacchetti azionari a prezzi convenienti per la registrazione. (…).
Erano, le nostre amministrazioni passate, di specchiata onestà, se volete di un galantuomismo un po’ ingenuo, regolarmente colto di sorpresa dalla speculazione privata. Con i terreni vicini alla Metropolitana si sono arricchiti tutti fuorché il comune; in via Palmanova, per citare un esempio della sua preveggenza, esso ha ricomperato a trentamila ciò che aveva venduto a millecinquecento; avendo poi bisogno di altro terreno lo ha riacquistato a un prezzo quattro volte superiore dalla vedova Cabassi, conosciuta come la “mié del careté” per via che il marito aveva iniziato le sue fortune aziendali con alcuni carretti a cavallo, trasportando ghiaia. Insomma delle amministrazioni comunali molto rispettive delle private iniziative e più che gentili nei loro confronti. Per l’area liberata dal trasferimento della Bianchi si era stabilita una licenza di fabbricabilità per quarantacinquemila metri cubi l’ettaro. Ma poi la Bianchi e gli acquirenti sono stati così gentili con il comune che si è saliti a sessantacinquemila metri cubi per ettaro con generale soddisfazione e mandando a farsi benedire il progettato quartiere giardino.
(…) Nel volgere di pochi anni la rivoluzione industriale ha cambiato la faccia di molti piccoli comuni, attorno a Milano.
Giorgio Bocca, Miracolo all’italiana, Milano, ed. Avanti!, 1962, ma qui si cita da Milano, ed. Feltrinelli, 1980, pp.101-102 e 104-105.