Primo intervento sul Rapporto Draghi per “I punti di vista” dell’Osservatorio sullo Stato digitale.
Abstract: Il rapporto Draghi analizza come l’innovazione, soprattutto digitale, sia cruciale per ridurre il divario tra UE, Stati Uniti e la Cina. La competitività dell’Europa dipenderà sempre più dalla digitalizzazione, in tutti i settori dell’industria, e dalla creazione di punti di forza nelle tecnologie avanzate, che favoriranno gli investimenti, la creazione di posti di lavoro e la ricchezza. La transizione digitale è fondamentale per proteggere il modello sociale europeo. Tuttavia, in mancanza di una forte attenzione alle competenze, la tecnologia potrebbe anche minarlo. Mario Draghi delinea una nuova strategia industriale per l’Europa, individuando tre aree principali per lo sviluppo della tecnologia.
La politica industriale dell’Unione europea mira a rafforzare la competitività dell’Europa e a promuovere un’economia sostenibile, resiliente e digitalizzata, capace di creare occupazione. La transizione digitale e il passaggio ad un’economia neutra in termini di emissioni di carbonio hanno portato all’adozione di diverse strategie per garantire migliori condizioni generali dell’industria. Il rapporto Draghi delinea una nuova strategia industriale per l’Europa, individuando tre settori principali per il rilancio di una crescita sostenibile: innovazione, decarbonizzazione e sicurezza.
Il primo pilastro indicato nel rapporto sul futuro della competitività è quello dell’innovazione. E una parte importante dell’innovazione viene dalle tecnologie digitali. La competitività dell’Europa dipenderà sempre più dalla digitalizzazione, in tutti i settori dell’industria, e dalla creazione di punti di forza nelle tecnologie avanzate, che favoriranno gli investimenti, la creazione di posti di lavoro e la ricchezza. Il modello industriale dell’UE, finora basato sulle importazioni di tecnologie avanzate e sulle esportazioni dai settori dell’automotive, della meccanica di precisione, della chimica, dei materiali e della moda, non riflette l’attuale ritmo del cambiamento tecnologico.
Mentre l’Unione europea dipende dai Paesi terzi per oltre l’80% dei suoi “prodotti, servizi, infrastrutture e proprietà intellettuale digitali”, altri blocchi (come gli Stati Uniti e la Cina) hanno spostato il proprio modello economico verso le tecnologie dell’informazione e della comunicazione fin dalla prima rivoluzione di Internet dei primi anni 2000, una tendenza che si è accelerata dopo la rivoluzione dell’IA del 2019. Tra il 2013 e il 2023, la quota di fatturato globale dell’UE nel settore della tecnologia è scesa dal 22% al 18%, mentre quella degli Stati Uniti è aumentata dal 30% al 38% e quella della Cina dal 10% all’11%. Dal 2000 a oggi si è aperto un ampio divario in termini di Pil tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti, trainato principalmente da un più pronunciato rallentamento della crescita della produttività in Europa. Tale gap di produttività, si legge nel rapporto, è in gran parte dovuto al settore tecnologico. L’UE è debole nelle tecnologie emergenti che guideranno la crescita futura.
Se il motore principale del divario di produttività tra l’UE e gli Stati Uniti è stata la tecnologia digitale, attualmente l’Europa sembra destinata a rimanere ancora più indietro. Il rapporto evidenzia che circa il 70% dei modelli fondamentali di intelligenza artificiale sono stati sviluppati negli Stati Uniti a partire dal 2017 e che tre “hyperscaler” statunitensi rappresentano da soli oltre il 65% del mercato cloud globale. Il più grande operatore cloud europeo rappresenta solo il 2% del mercato UE. Ancora, l’informatica quantistica è destinata a diventare la prossima grande innovazione, ma cinque delle prime dieci aziende tecnologiche a livello globale in termini di investimenti nel settore quantistico hanno sede negli Stati Uniti e quattro in Cina. Nessuna ha sede in Europa.
Mentre alcuni settori digitali sono “un’occasione persa”, l’Europa ha ancora l’opportunità di capitalizzare le future ondate di innovazione digitale. Lo svantaggio competitivo dell’UE probabilmente aumenterà nel cloud computing, ma “l’Europa non dovrebbe rinunciare a sviluppare il proprio settore tecnologico interno”, per tre ragioni:
1. è importante che le aziende dell’UE mantengano una posizione di rilievo nei settori in cui è richiesta la sovranità tecnologica, come la sicurezza e la crittografia;
2. un settore tecnologico debole ostacola i risultati dell’innovazione in un’ampia gamma di settori adiacenti, come quello farmaceutico, energetico, dei materiali e della difesa;
3. l’IA, e in particolare l’IA generativa, è una tecnologia in evoluzione in cui le aziende dell’UE hanno ancora l’opportunità di ritagliarsi una posizione di leadership in segmenti selezionati.
Pertanto, “è ancora possibile ottenere grandi guadagni: le stime del valore di mercato delle future applicazioni dell’IA nel settore raggiungono i 13 miliardi di dollari”.
Alla base della posizione di debolezza dell’Europa nel campo delle tecnologie digitali c’è una struttura industriale statica che produce un circolo vizioso di bassi investimenti e bassa innovazione. Negli ultimi due decenni, le prime tre aziende statunitensi per spesa in ricerca e innovazione sono passate dall’industria automobilistica e farmaceutica negli anni 2000, alle aziende di software e hardware negli anni 2010, per poi passare al settore digitale negli anni 2020. Al contrario, la struttura industriale europea è rimasta statica, con le aziende del settore automobilistico che occupano costantemente le prime tre posizioni per spesa in ricerca e innovazione.
La mancanza di dinamismo industriale dell’Europa è dovuta in gran parte a “debolezze lungo il ciclo di vita dell’innovazione”. E tali debolezze “iniziano con gli ostacoli che si frappongono al passaggio dall’innovazione alla commercializzazione”. Il rapporto Draghi mette in evidenza come il sostegno del settore pubblico alla ricerca e all’innovazione risulti inefficiente a causa della mancanza di un focus sull’innovazione “dirompente” e della frammentazione dei finanziamenti che “limitano il potenziale dell’UE di raggiungere dimensioni di scala nelle tecnologie innovative ad alto rischio”. In Europa, una volta che le aziende raggiungono la fase di crescita, incontrano ostacoli normativi e giurisdizionali che impediscono loro di diventare mature e redditizie. Di conseguenza, molte aziende innovative finiscono per cercare finanziamenti dai venture capitalist statunitensi e considerano l’espansione nel mercato americano come un’opzione più remunerativa rispetto a quella offerta dalla frammentazione dei mercati UE.
L’Europa vanta anche una forte posizione nella ricerca fondamentale e nella brevettazione: nel 2021, ha rappresentato il 17% delle domande di brevetto globali, contro il 21% degli Stati Uniti e il 25% della Cina. Tuttavia, prosegue il rapporto, anche se l’UE vanta un sistema universitario mediamente solido, non si registra un numero sufficiente di università e istituti di ricerca ai massimi livelli di eccellenza. Peraltro, solo un terzo delle invenzioni brevettate dalle università o dagli istituti di ricerca europei viene sfruttato commercialmente. Uno dei motivi principali di questo mancato passaggio, spiega Draghi, è che i ricercatori in Europa sono meno integrati nei “cluster” dell’innovazione (reti di università, start-up, grandi aziende e venturecapitalist), a cui si deve la struttura industriale più dinamica degli Stati Uniti.
La spesa pubblica per la R&I in Europa manca di scala e non è sufficientemente focalizzata sull’innovazione “rivoluzionaria”. Si chiama quindi in causa il programma quadro Horizon Europe, piano strategico per l’innovazione per il periodo 2025-2027, con un budget di quasi 100 miliardi di euro. Per l’ex Presidente del Consiglio dei ministri italiano, l’iniziativa faro per la transizione digitale dell’UE risulta distribuita su troppi campi e l’accesso è eccessivamente complesso e burocratico. Inoltre, non è sufficientemente focalizzata sull’innovazione disruptive. Parimenti, lo strumento Pathfinder del Consiglio europeo per l’innovazione (EIC), strumento chiave per sostenere le tecnologie radicalmente nuove a basso livello di maturità, ha un budget di soli 256 milioni di euro per il 2024, rispetto ai 4,1 miliardi di dollari dell’Agenzia di ricerca per i progetti avanzati della difesa (DARPA) statunitense e ai 2 miliardi di dollari delle altre agenzie. Inoltre, è gestito principalmente da funzionari dell’Unione piuttosto che da scienziati ed esperti di innovazione di alto profilo.
Secondo il rapporto, la maggior parte degli Stati membri dell’UE non è in grado di raggiungere le dimensioni necessarie per fornire infrastrutture tecnologiche e di ricerca all’avanguardia a livello mondiale, il che limita la capacità di ricerca e innovazione. Per contro, gli esempi del CERN e dell’EuroHPC (Impresa comune europea per il calcolo ad alte prestazioni) dimostrano l’importanza del coordinamento nello sviluppo di grandi progetti infrastrutturali di ricerca e innovazione.
La frammentazione del mercato unico impedisce alle imprese innovative che raggiungono la fase di crescita di fare il salto di scala nell’UE e questo, evidenzia il rapporto, riduce la domanda di finanziamenti. La mancanza di potenziale di crescita in Europa è particolarmente rilevante per le imprese innovative basate sulla tecnologia, e ancora di più per quelle deep tech. Ad esempio, suggerisce il report, il 61% del totale dei finanziamenti globali per le start-up di IA va alle aziende statunitensi, il 17% a quelle cinesi e solo il 6% a quelle dell’UE. Per quanto riguarda l’informatica quantistica, “le aziende dell’UE attirano solo il 5% dei finanziamenti privati globali, rispetto alla quota del 50% delle aziende statunitensi”.
Secondo il rapporto, in Europa le barriere normative limitano la crescita del settore tecnologico, soprattutto per le giovani imprese, in vari modi:
1. la frammentazione dei sistemi nazionali, con la conseguente complessità delle procedure, scoraggia gli inventori dal depositare i diritti di proprietà intellettuale, impedendo alle giovani imprese di sfruttare il mercato unico;
2. l’atteggiamento del legislatore europeo nei confronti delle aziende high tech ostacola l’innovazione: con circa 100 leggi incentrate sul settore tecnologico e oltre 270 autorità di regolamentazione attive nelle reti digitali in tutti gli Stati membri, l’UE adotta, secondo Draghi, “un approccio precauzionale”, dettando pratiche commerciali specifiche ex ante per scongiurare potenziali rischi ex post – il report cita l’esempio dell’AI Act, che “impone ulteriori requisiti normativi ai modelli di IA per scopi generici che superano una soglia predefinita di potenza computazionale (una soglia che alcuni modelli all’avanguardia già superano)”;
3. le imprese digitali sono scoraggiate dall’operare nell’Unione europea tramite filiali poiché si trovano di fronte a requisiti eterogenei, a una proliferazione di agenzie di regolamentazione e al gold plating normativo: la pratica che porta le autorità nazionali ad andare oltre i requisiti minimi stabiliti dalla legislazione UE quando la applicano nel diritto nazionale;
4. i limiti all’archiviazione e all’elaborazione dei dati, di cui al GDPR, il Regolamento europeo sulla protezione dei dati, “creano elevati costi di conformità e ostacolano la creazione di set di dati ampi e integrati per l’addestramento dei modelli di IA”.
Il rapporto ricorda che “l’addestramento di nuovi modelli di base” e “la costruzione di applicazioni di intelligenza artificiale integrate verticalmente” richiedono un aumento massiccio della potenza di calcolo, che sta scatenando una “corsa ai chip per l’IA” a livello globale con costi enormi: “si tratta di una corsa in cui le aziende europee più piccole e meno finanziate potrebbero faticare a competere”. Allo stesso tempo, l’implementazione dell’intelligenza artificiale richiederà connessioni più veloci, a bassa latenza e più sicure. Tuttavia, l’UE è in ritardo rispetto agli obiettivi del Decennio Digitale 2030 per quanto riguarda la diffusione della fibra e del 5G.
Il piano Draghi prevede un programma per affrontare il deficit di innovazione.
In primo luogo, la relazione raccomanda di riformare Horizon Europe. Il programma dovrebbe essere riorientato su un numero minore di priorità condivise. Una quota maggiore dello stanziamento di bilancio dovrebbe essere destinata all’innovazione dirompente. L’EIC dovrebbe essere riformato per diventare una vera e propria agenzia di tipo ARPA, per sostenere progetti ad alto rischio e dare vita a progressi tecnologici “rivoluzionari”. La governance del programma dovrebbe essere gestita da project manager ed esperti in innovazione. Per massimizzare l’accesso delle giovani imprese, i processi di adesione dovrebbero essere più rapidi e meno burocratici. L’organizzazione del programma dovrebbe essere ridisegnata e semplificata per diventare più efficiente e basata sui risultati. “Infine, e a condizione che vengano applicate le riforme, il bilancio del nuovo Programma quadro dovrebbe essere raddoppiato a 200 miliardi di euro per 7 anni”.
Parallelamente, dovrebbe essere istituita un’Unione per la Ricerca e l’Innovazione che conduca alla formulazione congiunta di una strategia e di una politica europea comune. La relazione raccomanda di raddoppiare il sostegno alla ricerca fondamentale attraverso il Consiglio europeo della ricerca (CER), “aumentando in modo significativo il numero di beneficiari di borse di studio senza diluire l’importo erogato”. Propone, inoltre, un nuovo regime per i ricercatori di punta, la posizione di cattedra UE, “per attrarre e trattenere i migliori studiosi accademici assumendoli come funzionari europei”. Inoltre, l’Europa deve “rendere più facile per gli inventori diventare investitori” e facilitare l’espansione delle iniziative di successo. Segue, quindi, la proposta di una serie di misure per sostenere la transizione dall’invenzione alla commercializzazione in Europa. In particolare, si raccomanda un nuovo schema per una condivisione equa e trasparente delle royalty e si propone di adottare il Brevetto unitario in tutti gli Stati membri dell’Unione.
Il piano promuove un migliore ambiente di finanziamento per l’innovazione disruptive, le start-up e i processi di scale-up, e la contestuale rimozione delle barriere alla crescita all’interno dei mercati dell’UE. In base al programma, l’Europa dovrebbe dare alle start-up innovative l’opportunità di adottare il nuovo statuto giuridico di “impresa europea innovativa”. Questo status fornirebbe alle aziende un’unica identità digitale valida in tutta l’UE e riconosciuta da tutti gli Stati membri. Tali società avrebbero accesso a una legislazione armonizzata in materia di diritto societario e di insolvenza, nonché ad alcuni aspetti chiave del diritto del lavoro e della fiscalità.
Ancora, secondo il rapporto, l’Unione europea ha un’opportunità unica di ridurre i costi di implementazione dell’intelligenza artificiale “aumentando la capacità di calcolo e mettendo a disposizione la sua rete di computer ad alte prestazioni”. Dal lancio dell’impresa comune EuroHPC nel 2018, ricorda Draghi, l’UE ha creato una grande infrastruttura pubblica per la capacità di calcolo situata in sei Stati membri, unica nel suo genere a livello globale. La relazione raccomanda di sviluppare questa iniziativa, aumentando in modo significativo la capacità di calcolo dedicata all’addestramento e allo sviluppo algoritmico dei modelli di IA nei centri HPC.
L’integrazione dell’IA verticale nell’industria europea sarà un fattore critico per sbloccare una maggiore produttività. Secondo Draghi, l’UE dovrebbe promuovere il coordinamento intersettoriale e la condivisione dei dati per accelerare tale integrazione. Lo sviluppo di verticali di IA dipende dalla collaborazione tra operatori industriali, ricercatori e settore privato. Per facilitare questa cooperazione, le aziende dell’Unione dovrebbero essere incoraggiate a partecipare a un “Piano di priorità verticale per l’IA”, con l’obiettivo di accelerarne lo sviluppo in dieci settori strategici in cui il know-how europeo e la creazione di valore dovrebbero essere salvaguardati: automotive, manifattura avanzata e robotica, energia, telecomunicazioni, agricoltura, aerospazio, difesa, previsioni ambientali, farmaceutica e sanità. I partecipanti al piano beneficerebbero di finanziamenti europei per lo sviluppo dei modelli e di una serie specifica di esenzioni in materia di concorrenza e sperimentazione dell’IA.
In base al rapporto, la sperimentazione dovrebbe essere incoraggiata attraverso l’apertura, il coordinamento e l’armonizzazione a livello europeo di “regimi Sandbox per l’IA” nazionali per le aziende partecipanti “per consentire la sperimentazione e lo sviluppo di applicazioni innovative di IA nei settori industriali selezionati e garantire un’attuazione armonizzata e semplificata del GDPR”. Queste “sandbox” sperimentali consentirebbero di valutare regolarmente gli ostacoli normativi derivanti dalla legislazione europea o nazionale e di fornire un feedback alle autorità di regolamentazione da parte di aziende private e centri di ricerca.
Infine, data la posizione dominante dei fornitori degli Stati Uniti, l’Unione europea dovrebbe trovare una via di mezzo tra “la promozione dell’industria cloud domestica” e “la garanzia di accesso alle tecnologie di cui ha bisogno”. Per raggiungere questo obiettivo, il rapporto raccomanda l’adozione di politiche di sicurezza dei dati a livello europeo “per la collaborazione tra fornitori di cloud dell’UE e extra-UE”, consentendo l’accesso alle più recenti tecnologie cloud degli hyperscaler statunitensi e preservando al contempo la crittografia e la sicurezza per i fornitori europei.
Al di fuori dei “segmenti di mercato sovrani”, la relazione raccomanda di negoziare un “mercato digitale transatlantico a bassa barriera”, che garantisca la sicurezza della catena di approvvigionamento e le opportunità commerciali per le aziende tecnologiche europee e americane a condizioni eque e paritarie. “Per rendere queste opportunità ugualmente attraenti al di là delle grandi aziende tecnologiche, le PMI di entrambe le sponde dell’Atlantico dovrebbero beneficiare dello stesso alleggerimento degli oneri normativi per le piccole imprese proposto sopra”.
La competitività dell’Europa dipenderà sempre più dalla transizione digitale e dalla creazione di punti di forza nelle tecnologie avanzate. L’inasprimento della competizione geopolitica e le politiche industriali aggressive dei Paesi terzi sulle esportazioni altamente tecnologiche stanno riducendo la sicurezza delle importazioni dell’UE di tecnologie critiche e di fattori produttivi. Pertanto, è essenziale “ripristinare la sicurezza delle catene di approvvigionamento per le tecnologie critiche, rafforzando le capacità e gli asset dell’UE lungo l’intera catena del valore in termini di prodotti finali e piattaforme di servizi”. Inoltre, la perdita di valore dei dati – cioè, la quantità di dati dell’UE trasferiti a Paesi terzi – è oggi stimata al 90%, con un rischio a lungo termine di perdita di know-how industriale. Un problema che deve essere affrontato, soprattutto alla luce del ruolo cruciale dei dati negli sviluppi digitali.
Rispetto alle controparti statunitensi e asiatiche, gli operatori tecnologici dell’UE non hanno le dimensioni necessarie per sostenere la ricerca e investire in telecomunicazioni, servizi cloud, IA e semiconduttori. Pertanto, nell’ambito della strategia di competitività dell’Europa per il prossimo decennio, le politiche e le iniziative sulla digitalizzazione e sulle tecnologie avanzate, sostenute da ingenti finanziamenti pubblici e privati, dovranno essere prioritarie in tre aree:
1. reti a banda larga ad alta velocità/capacità e relative apparecchiature e software (ossia reti fisse, wireless e satellitari/ibride), per consentire la connettività e la distribuzione di servizi digitali sicuri, capillari e sostenibili, essenziali per i cittadini e le imprese dell’UE;
2. risorse computazionali e intelligenza artificiale – ossia infrastrutture, piattaforme e tecnologie avanzate necessarie per sviluppare e scalare autonomamente i servizi digitali, consentendo alle aziende di innovare, aumentare la produttività e crescere, in particolare per quanto riguarda il cloud, il calcolo ad alte prestazioni e la quantistica, nonché l’IA e le sue applicazioni industriali;
3. semiconduttori, “un motore e un fattore abilitante fondamentale per la catena del valore dell’elettronica” e un elemento strategico per la sicurezza e la forza industriale dell’Europa in tutti i settori.
Il rapporto mette anche in luce come la digitalizzazione possa contribuire a rendere il modello sociale europeo più solido ed equo, soprattutto nei settori chiave dell’istruzione e della sanità pubblica. In un contesto di diminuzione delle ore lavorate pro capite negli ultimi decenni e di invecchiamento della popolazione, la digitalizzazione dei servizi pubblici può attenuare le debolezze demografiche e contribuire a migliorare la resilienza socioeconomica e la fornitura di servizi sanitari e educativi essenziali, preservando gli standard di vita. Per contro, “sebbene la tecnologia sia fondamentale per proteggere il modello sociale europeo, in mancanza di una forte attenzione alle competenze l’IA potrebbe anche minarlo”. Secondo una ricerca condotta negli Stati Uniti, circa l’80% della forza lavoro potrebbe subire ripercussioni su almeno il 10% delle proprie mansioni lavorative a causa dell’introduzione dei Large Language Modules (LLM), mentre quasi il 20% dei lavoratori potrebbe subire ripercussioni su almeno il 50% delle proprie mansioni.
Conseguentemente, se da un lato l’Europa dovrebbe sforzarsi di eguagliare gli Stati Uniti in termini di crescita della produttività e di potenziale innovativo, dall’altro dovrebbe puntare a superarli nell’offerta di opportunità di istruzione e di apprendimento permanente, assicurando che i benefici dell’IA siano ampiamente condivisi e che qualsiasi impatto negativo sull’inclusione sociale sia ridotto al minimo. L’Europa dovrà garantire il miglior utilizzo delle competenze disponibili, mantenendo intatto il tessuto sociale. Lo Stato sociale europeo avrà bisogno di un approccio fondamentalmente nuovo alle competenze. Dovrà garantire a tutti i lavoratori il diritto all’istruzione e alla riqualificazione, e la possibilità di cambiare ruolo in seguito all’adozione di nuove tecnologie da parte delle aziende o di ottenere buoni posti di lavoro in nuovi settori.
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