I tanti mali della “tirannia burocratica” nella denuncia di Pietro Manfrin

Pietro Manfrin, nato a Castel di Godego, Treviso, nel novembre del 1827 da una famiglia aristocratica (era conte), morto nel 1909, fu deputato e poi senatore del Regno, ma anche prefetto di Venezia nel 1880-1881.  Pubblicò nel 1900 un corposo saggio che volle intitolare “Tirannia burocratica”. Il titolo era di per sé più che eloquente: conteneva la critica senza sconti della già allora (o almeno così pareva all’autore) proliferazione schiacciante delle schiere dei nuovi dipendenti pubblici. Lo sfondo culturale nel quale il libro si collocava era la denuncia del cosiddetto “socialismo di Stato”. Il libro, quasi 400 pagine, constava di una disamina severa dei “mali” del tempo: dalla tendenza a moltiplicare gli uffici per favorirne l’assunzione di personale non necessario e favorirne la carriera, alle tante incongruenze della legislazione (in particolare di quella finanziaria), ai vani tentativi di porre ordine in un’amministrazione formatasi disordinatamente e per spinte endogene, alla fatale prevalenza dei cattivi regolamenti sulle buone leggi. Un panorama, certo, visto dalla parte di un conservatore, ma tuttavia ricostruito con intelligenza e non senza il ricorso ai pochi dati statistici allora disponibili (tra i quali quelli che comparavano la situazione italiana agli altri Stati europei). Le pagine qui estratte riguardano due soli problemi: quello della smisurata proliferazione dei tribunali e quello della altrettanto preoccupante moltiplicazione delle università. A ben vedere, due temi centrali, inerenti entrambi alla potente spinta che il localismo esercitava in uno Stato troppo giovane, troppo frettolosamente concepito, troppo difformemente organizzato.

A Roma, nella parte posteriore del Palazzo Braschi (…) sorge una statua. Questa statua, ognuno sa, è quella del Minghetti, l’uomo che finora ebbe tra tutti le idee più limpide e i migliori studi. Egli, uno dei primi, avvertì che la marea montante della burocrazia conduceva al socialismo di Stato. (…) Senza dubbio le maggiori esigenze della civiltà sono un fattore di grande importanza, per il quale anche nei Paesi più corretti gli uffici pubblici aumentano, ma rispetto alle condizioni nostre è mestieri esaminare la cosa più dappresso. In Italia furono moltiplicati i Tribunali con l’intento (si disse) di mettere la giustizia alla portata di tutti. (…) Però, se avete moltiplicati i Tribunali e le Corti d’Appello con circoscrizioni molto più esigue delle province per gli uni e delle regioni per le altre, allo scopo di rendere facile a tutti l’ottenimento della giustizia, perché furono aumentate le tasse giudiziarie, con diritti e con bolli per cui il ricorrere ai giudici è divenuto inaccessibile anche alle borse meglio guarnite? Chi esamina le statistiche parziali, ché le generali si guardano bene dal pubblicarle, trova dei Tribunali con 20 cause l’anno, e taluno di essi comprese pure le penali, e di ciò sono già molti anni. Stando così le cose, perché non si sopprimono almeno una metà dei Tribunali e con quei fondi non si pagano un po’ meglio gli altri? Dicono gli Inglesi (in via generale) che i giudici a buon mercato sono i più cari di tutti. (…).

Passiamo ad un altro ramo della pubblica amministrazione. La Germania ha 20 università. Nessuno ignora quanto cotesto Paese sia sminuzzato in piccoli Stati. Ed havvi inoltre un inasprimento. Dopo la costituzione dell’impero, essendovi stata ridotta l’autorità di questi Stati,  che diviene ogni dì minore, essi reagiscono nel mantenere il più che possono le rispettive Università. Laonde la diminuzione delle Università, che sarebbe pur buona anche in Germania, dopo l’annullamento delle dogane, delle divisioni fra Stato e Stato e le moltiplicate ferrovie, trova un ostacolo politico nello spirito separatista che ancora esiste. Di più in Germania havvi nelle Università l’insegnamento teologico, che in Italia non esiste più. In Austria vi sono solo 5 Università. In Inghilterra 11 Università con 434 professori circa e 13 mila studenti circa. Avvertasi che nelle Università inglesi accorrono studenti da tutto l’Impero britannico e dagli Stati Uniti (…). Laonde a comporre i 13 mila studenti concorre una popolazione di 300 milioni di abitanti. Notisi ancora che nelle 11 Università inglesi, una delle precipue parti dell’insegnamento è il teologico, quindi riuniscono un contingente di scolari che da noi si raccoglie in un centinaio circa di Seminari. In Francia, dove il socialismo di Stato non canzona, sonovi 10 Università. 480 professori circa e 10 mila studenti circa, e a comporre quel numero concorrono le numerose colonie francesi. Ora, in Italia, le Università sono 21; 16 più che in Austria, la quale ha una popolazione superiore alla nostra; i professori, senza contare i liberi docenti, sono 690, cioè assai più che in Francia e in Inghilterra, e il numero degli studenti varia dai 9 ai 10 mila, pressoché uguale a quello della Francia.

Pietro Manfrin, Tirannia burocratica, Roma, Fratelli Bocca editori, 1900, cap. “La moltiplicazione degli uffici”, pp. 113 ss. (in particolare 113-116  e 118-120).