Rocco Scotellaro (Tricarico, 1923-Portici, 1953) ebbe in sorte una vita breve ma intensissima. Dopo aver militato da ragazzo nel Cln del suo paese d’origine, si legò a Carlo Levi (suo amico e in qualche modo anche protettore) e a Manlio Rossi-Doria (col quale avrebbe infine lavorato nel centro studi di Portici). Socialista, fu eletto nel 1946 sindaco di Tricarico, impegnandosi in un’estenuante attività volta a realizzare forme concrete di democrazia partecipata dal basso, responsabilizzando i contadini analfabeti del paese. Agli inizi del 1950 fu arrestato per una accusa (poi rivelatasi subito infondata) di concussione. La sentenza che pochi mesi dopo lo assolse faceva riferimento esplicitamente a una “vendetta politica” della quale il sindaco-ragazzo era rimasto vittima. I suoi libri sono altrettante testimonianze delle condizioni di vita e di lavoro delle masse contadine più povere del Mezzogiorno: documenti realistici sino a risultare aspri, lingua modellata sul sostrato del dialetto popolare, ritratti memorabili di ambiente, di personaggi, di eventi anche minimi del piccolo mondo locale. Un viaggio appassionato nelle pieghe nascoste di quella che era allora la questione meridionale vista dal basso, da uno sperduto paesino della Lucania.
Il brano qui riportato è tratto da uno dei più noti libri di Scotellaro, “L’uva putanella”, apparso con prefazione di Carlo Levi nel 1955. La figura del magistrato – uno dei suoi giudici del 1950 – dice con nettezza quale fosse allora l’estrazione di classe e la cultura dei magistrati italiani del Sud, spesso espressione – per origini familiari e appartenenza ideologica – delle classi dominanti plurisecolari del Mezzogiorno.
Il mio giudice mi disse: Dite se è una persecuzione politica, ma datemi le prove.
Io lo guardo un secondo, con l’occhio del suo antenato e con quello di suo figlio. Gli vidi i baffi neri e la fede al dito, le labbra di creta e i suoi occhi scattavano come persiane. Avrei voluto parlargli d’altro, non gli risposi. Seppi poi che disse a un suo amico che io lo guardavo dall’alto in basso. Infatti lui mi pareva una sveglia enorme su un comodino. Tutti i giudici eran dei pendoloni carichi, le cui lance segnavano il tempo, le ore, i minuti e scoppiavano all’ora voluta dal potere esecutivo.
Le pochissime volte che qualcuno di loro si ribellò e volle funzionare secondo le leggi scritte e decantate sulle lapidi, la sveglia si ruppe prima di suonare. Un giudice che non si spiega le cose e deve seguire il carro del potere, è lo scrivano del carabiniere semianalfabeta, è uno schiavo principe o no che può gustare soltanto il cibo che gli portano, è un meccanismo.
Rocco Scotellaro, L’uva putanella, con prefazione di Carlo Levi, Bari, Laterza, 1955; ma qui si cita L’uva putanella. Contadini del Sud, con introduzione di Nicola Tranfaglia, Roma-Bari, Laterza, 2000, p. 83