Dal suo diario, 10 gennaio 1919, un passaggio significativo riguardo alle esperienze dell’industriale Ettore Conti (1871-1972), chiamato nel 1918-19 alla guida dell’Alto commissariato istituito per la liquidazione della amministrazione delle Armi e munizioni. Colpisce la determinazione dell’uomo venuto dall’industria di fronte alle inadempienze della burocrazia. Si intuisce un conflitto tra due visioni dell’amministrazione e forse tra due poteri.
Ho (…) perduto il Capo della Mobilitazione Industriale, e con le brusche.
Prima di partire per Milano per il Natale in famiglia, ed anche per assestare i miei affari che avevo dovuto abbandonare da un momento all’altro (…), avevo provocato un colloquio col Direttore della Mobilitazione, nonché Consigliere di Stato, per spiegargli il mio programma di smobilizzo. Secondo in mio preciso divisamento tale smobilizzo non deve essere ritardato; non è possibile all’industria nazionale, per la maggior parte assorbita dalle necessità di guerra, di adottare i nuovi programmi imposti dall’armistizio mantenendo la massacrante bardatura attuale: nessuno può acquistare un quintale di cemento e disporre di un carro ferroviario, o comunque, compiere il più modesto atto di ordinaria amministrazione, senza riempire degli scartafacci, fare anticamera in innumerevoli uffici, o peggio. E non parlo dell’impossibilità in cui le industrie si trovano di disporre delle materie prime che hanno nei magazzini e di intraprendere nuove lavorazioni sino a quando non siano liquidate le pendenze in corso: vi è un tale complesso di ostacoli che si oppongono al ritorno della vita normale, che senza una sollecita semplificazione degli ordinamenti attuali la nostra produzione è condannata a una stasi che la può portare alla rovina.
Al Direttore della Mobilitazione avevo dunque ordinato che, secondo le direttive impartitegli, mi preparasse al più presto lo schema di un decreto che avrei fatto approvare al presidente del Consiglio e sottoposto al Luogotenente per la firma. Al mio ritorno da Roma non trovo sul tavolo tale decreto: me ne informo e sento che è già stato inviato, prima che io lo vedessi, ad Orlando; mi precipito da lui, che saggiamente lo aveva trattenuto per parlarne con me; lo scorro e trovo che non corrisponde affatto al mio pensiero; anzi è compilato in modo da protrarre per un tempo indefinito gran parte di quella bardatura che si deve spezzare.
Faccio allora chiamare il responsabile. (…)
Sono dunque severissimo. Il mio Commendatore, anzi, Grande Ufficiale, replicò che se io intendevo trattarlo in tal guisa, sarebbe stato obbligato a rassegnare le dimissioni. “Accettate!”, risposi; e lo congedai.
Sono addolorato, non pentito del mio atto.
Ettore Conti, Dal taccuino di un borghese, Bologna, Il Mulino, 1986, pp. 103-104.