Il magistrato burocrate: un’anomalia denunciata da Arturo Carlo Jemolo

Una denuncia passata sempre sotto silenzio: qui Arturo Carlo Jemolo pone apertamente sul tappeto il problema dei magistrati entrati «in possesso» degli uffici del Ministero della giustizia, con grave detrimento del principio della separazione dei poteri. Il passo è tratto da un libro del 1954.

 

In Italia, a un certo momento, ancora agl’inizi del secolo, i magistrati prenderanno possesso del Ministero della giustizia, e questa conquista verrà sempre mantenuta e difesa, pavesandola come un corollario dell’indipendenza della magistratura (che sarebbe come dire che la libertà dell’insegnamento postuli che siano dei professori a dover attendere alle pratiche di liquidazione di pensioni, o di rilascio di concessioni ferroviarie agl’insegnanti, o di appalto della costruzione di nuovi edifici scolastici). Ma dopo la seconda guerra mondiale si avrà fra noi uno sciamare di magistrati in tutti gli organi dell’amministrazione, giustificandolo con ciò che il magistrato sarebbe il tecnico nella elaborazione delle nuove leggi e nell’applicazione di queste (quasi il funzionario non avesse precisamente questo compito). Ciò porterà all’annullamento di uno dei canoni della separazione dei poteri, giacché avverrà non di rado che ci si trovi a discutere della legalità e degli effetti di un decreto avendo tra i giudici chi lo ha redatto; ma avrà ancora altri effetti. Così s’intensificherà e diverrà più frequente l’assumersi dal giudice la mentalità del funzionario, per cui sulla lettera della legge prevalgono gli interessi dell’amministrazione. Ma, effetto ben più saliente, si avrà la distinzione in seno alla magistratura del gruppo più numeroso della magistratura decentrata, la cui carriera è piuttosto lenta e suole arrestarsi al grado di consigliere d’appello, e di quella che sola perviene ai gradi maggiori (…). Entrati nella cerchia privilegiata non se ne esce più, ed anche i propri figli si troveranno quasi di diritto inseriti in questa.

Arturo Carlo Jemolo, La crisi dello Stato moderno, Bari, Laterza, 1954, p. 135.