Augusto Frassineti (Faenza, 1911-Roma, 1985) ebbe, alla sua morte, l’onore di un necrologio sul “Corriere della sera” del letterato Giorgio Manganelli (Paolo Mauri ne scrisse su “Repubblica”). “Era uomo di rara eleganza linguistica” – scriveva Manganelli – “uno scrittore che un tempo si sarebbe definito ‘attico’, asciutto, schietto, di rara ma schiva eleganza linguistica, di grande pulitezza (…). Maneggiava una ironia secca e sommessa, senza riso, senza ira, senza espressioni di voce: quell’ironia che gli ispirò gli indimenticabili Misteri dei ministeri”.
Il libro – che non fu il solo di Frassineti ma rimane il più celebre – appare al lettore come uno stralunato viaggio nei meandri (meglio: nell’inconscio) della burocrazia ministeriale, nel regno impenetrabile della cosiddetta “Ministerialità”. Qui, in una chiave metafisica che a prima vista può spiazzare ma che si rivela subito carica di sopita ironia, Frassineti racconta i luoghi (i lunghi corridoi dei passi perduti, le celle degli impiegati coi loro deprimenti arredi), ma anche – in un florilegio di “casi” – le assurdità della prassi burocratica: un ammiraglio Giovecca già morto che continua a firmar pratiche d’ufficio, un signor Eventuale alle prese con una banale ma insormontabile pratica per riavere il suo fucile da caccia, un tale Mastrocavallo la cui richiesta si è perduta né egli sa più dove né quale ne fosse l’oggetto, un altro poveretto (Salvatore Arlacchi, Croce di guerra) che lamenta una pratica di pensione “inevasa da ventritré anni”. È una folla minuta quella che Frassineti si diverte a mettere in scena: una pletora di domande (si legga la prosa con cui esse sono messe “rispettosamente” su carta), di modeste aspirazioni, di pressanti ma mai soddisfatte richieste. E a far da muro invalicabile si erge sul cittadino la montagna minacciosa della “Ministerialità”, questa letale malattia che colpisce con i suoi raggi mortali chiunque si inoltri incautamente per le scalinate dei ministeri. Del libro (che reca la dedica a Roberto Longhi) si propone qui una sola pagina, ma meriterebbe una lettura più completa: edito nel 1952 per i tipi di Guanda, ebbe poi una edizione Longanesi nel 1959; quindi fu “scoperto” da Italo Calvino, che lo fece pubblicare nel 1973 per i “Supercoralli” Einaudi; e dell’editore torinese è anche l’edizione più recente, del 2022. Qui si fa riferimento all’edizione Longanesi.
La Ministerialità è una forza misteriosa, di cui l’amministrazione pubblica, ed anche quella privata (…) è la fenomenologia. Fine ponderato e supremo di questa forza è l’inquadramento integrale dei popoli e delle singole persone, ovvero, per tenermi alle parole del testo, “la riduzione del cittadino a una quantità semplice ed inerte (quantificazione, fissazione, morte), oppure dotata di un dinamismo unidirezionale (mobilitazione), della quale disporre con un impiego minimo di sollecitazioni amministrative”: “principio del massimo prestigio con il minimo sforzo”. Nei soggetti viventi, la Ministerialità si presenterebbe come un fattore energetico, oppure depressivo e dissociativo della psiche, a seconda dei casi, dando luogo a una corrispondente tipologia. (…)
Un timbro tondo, un telefono, un fermaglio, un fascicolo, un battente come uno stipite, ingressi, corridoi, scaffali, oscurità, bagliori, paraventi, palazzi (…) vengono quindi tutti considerati come focolai e vettori vivacissimi della forza in questione, capaci cioè di condurre e di emettere di continuo radiazioni lesive all’integrità fisio-psichica della persona umana, in funzione di quel processo di ministerializzazione universale che ho detto e nel quale vengono a distinguersi fasi diverse e successive, trattamenti individuali e applicazioni di massa (…). Varia e complessa si presenta, nel testo, la morfologia patologica ascrivibile a contatti ministeriali, e l’autore ne illustra gli aspetti caratteristici, fermando l’attenzione su casi minuscoli (…) ma esemplari: dall’ammiraglio Giovecca che, sebbene defunto (sic!), continua a esercitare in pubblico le proprie funzioni, anzi con insolito acume e senza che alcuno sospetti di nulla, al prof. Pettoruti che, avendo una sola e alquanto banale pratica in corso, precipita a ritroso nella scala della cultura, “verso forme primordiali e disarticolate di manifestazione del pensiero”; dal signor Pentecoste, assunto forzosamente nei ruoli di gruppo C, al cav. Mezzanotte che “cade fulminato rompendosi” (sic!), perché investito da un fascio di radiazioni di speciale intensità, mentre vaga nei pressi del gabinetto del Ministro.
Augusto Frassineti, Misteri dei ministeri e altri misteri, Milano, Longanesi, 1959.