La riforma amministrativa fu uno degli impegni solennemente assunti dal governo De Gasperi sin dall’inizio della prima legislatura repubblicana (1948-1953). Dopo le commissioni di studio dell’immediato dopoguerra (Forti I e II 1944-45, Persico 1945-46, Giovannini 1948), era stato costituito nel gennaio 1950 presso la Presidenza del consiglio un Ufficio per la riforma burocratica, diretto prima dal ministro senza portafoglio Petrilli e poi addirittura dal vicepresidente del Consiglio Attilio Piccioni (cui succedettero nel tempo Scoca e Lupini). Vi avrebbe avuto un ruolo importante il professor Roberto Lucifredi, cattedratico a Genova di diritto amministrativo e sottosegretario democristiano, che ne ebbe sin dal 1951 la diretta responsabilità. L’attività dell’Ufficio era in piena attività quando Scelba, col consenso dei colleghi di governo o almeno nel loro connivente silenzio, pronunciò e dettò a verbale le frasi qui riportate.
L’Ufficio per la riforma affrontò in quegli anni, in chiave di modernizzazione, molti dei problemi di cattivo funzionamento dei pubblici apparati: pubblicò documenti poi raccolti in corposi volumi, compì studi apprezzabili sulle amministrazioni degli altri Paesi, lavorò alla preparazione di provvedimenti di legge. Ma la riforma burocratica tanto auspicata di fatto non si fece. E quando si tirarono le fila fu solo per confermare (nella legislazione poi raccolta nel testo unico del 1957) le linee organizzative tradizionali e le procedure della vecchia amministrazione ereditata dal fascismo.
Conviene aggiungere come postilla un piccolo documento, appena un indizio, ma che spiega il fallimento dei riformatori: nelle carte dell’Ufficio conservate nell’Archivio centrale dello Stato, uno dei corposi documenti è accompagnato da un breve bigliettino anonimo ad esso spillato. Vi si legge:
“Carissimo, questa circolare è stata diramata senza preventivo accordo con la Presidenza dal sedicente ufficio per la riforma dell’Amministrazione, il quale l’ha sottoposta direttamente all’on. Piccioni, che l’ha firmata nella sua qualità di Vice Presidente del Consiglio. Te ne informo a puro titolo di cronaca, dopo averne riferito all’on. Andreotti. Cordialità”.
La riforma aveva i suoi nemici, e come dimostra la dichiarazione di Scelba qui di seguito, li aveva in casa.
Prendiamo atto solo che non si può procedere ad una riforma organica generale della pubblica amministrazione ma si devono fare solo parziali modifiche o integrazioni. Questo è già un gran risultato. Finora gli Uffici della riforma hanno ritardato il lavoro dei singoli Ministeri. Pare che la riforma Piccioni abbia assorbito troppo delle istanze della Dirstat. (…). Si rammarica che l’Ufficio della Riforma della Pubblica amministrazione ignori tutto quello che già si è fatto. Ad esempio si parla dell’istituzione di corsi speciali per i funzionari, ma il Ministero delle Finanze già li ha istituiti ed il Ministero dell’Interno ha mandato – per compiti di studio – Prefetti in Inghilterra e missioni di funzionari di Polizia nelle capitali straniere.
Acs, Pres. Cons., Cons. Ministri, Verbali delle adunanze. Minute, Adunanza del 9 gennaio 1952, intervento del ministro dell’Interno Mario Scelba. Le vicende qui riassunte sono documentate in G. Melis, Storia dell’amministrazione italiana, Bologna, il Mulino, 2° ed. 2020, pp. 422-437, dove vi è anche la collocazione archivistica esatta del documento citato.