Aldo Moro (Maglie, 1916-Roma, 1978) è stato uno dei protagonisti di primissimo piano della vita politica italiana dal dopoguerra agli anni Settanta, quando morì tragicamente trucidato dalle Brigate rosse. Molto si è scritto e si scrive su di lui, a partire specialmente dalla vivace partecipazione alla Assemblea costituente (fu uno dei “professorini” della Democrazia cristiana che più contribuirono a scrivere la Costituzione); e poi specialmente in quanto dirigente di primo piano del suo partito, più volte ministro e presidente del Consiglio. Meno si sa del Moro della prima fase, quella della formazione e delle prime prove a Bari come docente di procedura penale (ma come si vedrà subito anche di altre discipline). Vale dunque la pena di riproporre qui un passaggio, peraltro già altre volte citato, del suo Corso di lezioni di filosofia del diritto, tenute nell’Università di Bari nel 1943, che spiega meglio di ogni altra analisi quale fosse sin da allora la radice profonda del rapporto di Aldo Moro con la politica.
Scriveva dunque il giovanissimo professore (aveva allora 25 anni):
Probabilmente, malgrado tutto, l’evoluzione storica, di cui noi saremo stati determinatori, non soddisferà le nostre ideali esigenze; la splendida promessa, che sembra contenuta nell’intrinseca forza e bellezza di quegli ideali, non sarà mantenuta. Ciò vuol dire che gli uomini dovranno pur sempre restare di fronte al diritto e allo stato in una posizione di più o meno acuto pessimismo. E il loro dolore non sarà mai pienamente confortato. Ma questa insoddisfazione, ma questo dolore sono la stessa insoddisfazione dell’uomo di fronte alla sua vita, troppo spesso più angusta e meschina di quanto la sua bellezza sembrerebbe fare legittimamente sperare.
E ancora:
Il dolore dell’uomo che trova di continuo ogni cosa più piccola di quanto vorrebbe, la cui vita è tanto diversa dall’ideale vagheggiato nel sogno, è un dolore che non si placa, se non un poco, quando sia confessato ad anime che sappiano capire o cantato nell’arte o quando la forza di una fede o la bellezza della natura dissolvano quell’ansia e ridonino la pace. Forse il destino dell’uomo non è di realizzare pienamente la giustizia, ma di avere perpetuamente della giustizia fame e sete. Ma è sempre un grande destino.
A. Moro, Lo Stato. Corso di lezioni di filosofia del diritto tenute presso la R. Università di Bari nell’anno accademico 1943-44, Padova, Cedam, 1944, p. 7. Cfr. ora Id., Lo Stato il Diritto, Bari Cacucci, 2006. Devo la segnalazione di questo passo, peraltro molto noto, all’amico Lino Duilio, che ringrazio ancora una volta.