Tra le varie iniziative già adottate o studiate dai governi di tutto il mondo per arginare il potere delle Big Tech, emerge quella della Corea del Sud. Con una modifica al Telecommunications Business Act il Paese intende impedire abusi nella posizione dominante nei mercati delle app mobili, mediante l’imposizione dell’utilizzo dei soli servizi di pagamento forniti dalle società titolari del market.
Sempre più spesso i governi mondiali si trovano a cercare di porre un limite al rilevante potere delle Big Tech. Dopo i diversi casi statunitensi (in questo osservatorio qui, e qui) e il recente intervento francese sui droit voisin (qui), anche il legislatore di una delle capitali della tecnologia mondiale, sede di società come LG e Samsung, ha ritenuto necessario intervenire sul mercato delle app.
La Corea del Sud, quarta potenza economica dell’Asia dopo Giappone, Cina e India, alla fine del mese di agosto del 2021 ha adottato un provvedimento normativo con lo scopo di impedire che gli operatori di app store in posizione dominante possano imporre agli sviluppatori l’utilizzo esclusivo dei loro sistemi di pagamenti in-app (testo aggiornato in coreano qui, in inglese qui). Questo sia in via diretta, che indiretta attraverso ritardi sull’approvazione dell’applicazione o l’eliminazione dei contenuti mobili dal mercato digitale.
La misura assume rilievo alla luce del consistente peso economico che le commissioni possono avere sui profitti dei piccoli produttori di applicativi, che arrivano a valere anche il 30% degli introiti.
Si tratta del primo freno di tal genere assunto nei confronti di colossi come Apple e Alphabet, la cui importanza politica si evince anche dalla maggioranza raggiunta per l’approvazione della misura. Ben 180 voti favorevoli su 188 ha infatti ottenuto l’emendamento al Telecommunications Business Act.
La riforma sudcoreana, comunque, oltre alla formalizzazione del già individuato divieto, consente al governo sudcoreano di richiedere ai proprietari degli app market di “prevenire danni agli utenti e proteggere i diritti e gli interessi degli utenti”, ma anche di controllare le effettive condotte degli operatori del mercato delle app, nonché di mediare le controversie relative a pagamenti, cancellazioni o rimborsi.
Pur trattandosi del primo caso di presa di posizione espressa ad opera di una grande economia democratica, anche gli Stati Uniti si stanno preparando per affrontare la materia. Tre senatori, infatti, ad agosto hanno proposto un intervento simile a quello coreano, mentre diversi Stati hanno avviato un giudizio contro Big G proprio per il monopolio di fatto esercitato sul market delle applicazioni.
La decisione sudcoreana è stata accolta con favore sia dai piccoli produttori di applicazioni (Korea Internet Corporations Association), che da soggetti influenti sul mercato come i gestori di Tinder, principale app di incontri globale. Quest’ultima è giunta a definire la riforma “un’azione storica” che “segna un passo monumentale nella lotta per un ecosistema di app equo” (fonte Reuters, qui).
L’intervento normativo è stato emblematicamente denominato dai media sudcoreani legge “anti-Google”, o più specificamente “prevenzione dall’abuso di potere di Google” proprio per le sue conseguenze sui rapporti con il colosso di Mountain View.
Il Google Play Store, infatti, dovrebbe risultare il più colpito dalla misura. Questo alla luce anche del cambio di policy di Apple, a seguito dell’accordo stipulato a latere di una class action in USA, relativa ai diritti dei piccoli sviluppatori, con cui si è inteso ridurre le limitazioni previste per questi anche in ottica di utilizzo di servizi di pagamento esterni. In tale panorama, Apple è risultata incisa anche dalla controversia tra con Epic Games, creatrice del videogioco campione di download Fortnite. I giudici federali statunitensi hanno infatti riconosciuto il dovere della Big Tech di permettere alle software house di vendere prodotti digitali anche al di fuori dell’App Store, con possibilità di mero rinvio a quest’ultimo per il download fisico dell’acquisto.
La soluzione adottata dalla giurisprudenza, infatti, risulta in grado di eliminare la principale argomentazione utilizzata dalle società detentrici del mercato, quale appunto la sicurezza offerta dai soli acquisti “interni”. È proprio quest’ultima la principale censura sollevata in relazione alla legge appena approvata dal parlamento sudcoreano.
Il peso economico della misura, dunque, parrebbe il primo passo concreto verso una maggior tutela dei diversi operatori del mercato digitale, con la prima vera definizione di diritti e doveri delle Big Tech. Resta però da osservare come verrà materialmente applicato dal Governo, nonché quali concrete ripercussioni avrà sul comportamento effettivo delle società digitali.
Quest’opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale