Lo Stato Digitale nel PNRR – il Fascicolo Sanitario Elettronico

Il 27% delle risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza sono dedicate alla transizione digitale, sviluppata lungo due assi: la banda ultra-larga e la trasformazione della PA in chiave digitale. Altri fondi sono destinati dal Piano all’innovazione digitale di infrastrutture, il fisco, sicurezza, sanità pubblica, turismo e cultura, sistema scolastico e ricerca universitaria. L’Osservatorio propone una ricognizione dei principali interventi di digitalizzazione del PNRR, del loro impatto sulle amministrazioni, dei tempi di realizzazione e del confronto con misure analoghe adottate da altri paesi europei. In questo post presentiamo una delle due azioni previste con l’investimento 1.3 nell’ambito dell’aggiornamento tecnologico e digitale di cui alla componente M6C2 della Missione 6: Il Fascicolo Sanitario Elettronico. Il PNRR destina 15,63 miliardi alla Missione 6; nel dettaglio, il progetto FSE assorbirà un tot. di risorse pari a 1,38 miliardi di euro, per realizzare il potenziamento, la diffusione, l’omogeneità e l’accessibilità dello strumento.

Il Piano Nazionale di Ripesa e Resilienza evidenzia come la pandemia da Covid-19 abbia confermato il valore universale della salute, la sua natura di bene pubblico fondamentale e la rilevanza macro-economica dei servizi sanitari pubblici.

In particolare, precisato che il nostro SSN nel complesso presenta esiti sanitari adeguati e un’elevata speranza di vita alla nascita, nonostante la spesa sanitaria sul PIL risulti inferiore rispetto alla media UE, esso sottolinea come la pandemia abbia contestualmente reso ancor più evidenti alcuni degli aspetti critici di natura strutturale del suddetto SSN (aspetti critici che potrebbero essere aggravati, si legge, dall’accresciuta domanda di cure derivante dalle tendenze demografiche, epidemiologiche e sociali in atto).

La strategia che il PNRR persegue è dunque volta proprio ad affrontare in maniera sinergica tutti questi aspetti critici.

Alla salute, in particolare, esso dedica specificamente la Missione 6, destinandovi un totale di 15.63 miliardi di euro.

Siffatta missione si articola in due componenti:

  1. la componente M6C1 – Reti di prossimità, strutture e telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale;
  1. la componente M6C2- Innovazione, ricerca e digitalizzazione del servizio sanitario nazionale.

Alla prima componente sono destinati 7 miliardi di euro.

Gli
interventi previsti per essa intendono rafforzare le prestazioni erogate sul territorio grazie al potenziamento e alla creazione di strutture e presidi territoriali (come le Case della Comunità e gli Ospedali di Comunità), il rafforzamento dell’assistenza domiciliare, lo sviluppo della telemedicina e una più efficace integrazione con tutti i servizi socio-sanitari; ad essa sarà prossimamente dedicato un apposito post di questo Osservatorio.

Alla componente M6C2, invece, sono destinati 8,63 miliardi di euro.

Gli obiettivi generali di siffatta seconda componente sono i seguenti: – sviluppare una sanità pubblica che valorizzi gli investimenti nel sistema salute in termini di risorse umane, digitali, strutturali, strumentali e tecnologici; – rafforzare la ricerca scientifica in ambito biomedico e sanitario; – potenziare e innovare la struttura tecnologica e digitale del SSN a livello Centrale e Regionale, al fine di garantire una evoluzione significativa delle modalità di assistenza sanitaria, migliorando la qualità e la tempestività delle cure, oltre che valorizzando il ruolo del paziente come parte attiva del processo clinico-assistenziale e garantendo una maggiore capacità di governance e programmazione sanitaria guidata dalla analisi dei dati, nel pieno rispetto della sicurezza e della tutela dei dati e delle informazioni.

Di questi 8,63 miliardi di euro, 1, 26 sono destinati alla formazione, ricerca scientifica e trasferimento tecnologico; 7,36, invece, sono destinati all’aggiornamento tecnologico e digitale.

Il Piano sottolinea come la pandemia abbia evidenziato, tra le altre cose, l’importanza di poter contare su un adeguato sfruttamento delle tecnologie più avanzate e su elevate competenze digitali (oltre che professionali e manageriali); “la pandemia”, precisa, “ha messo in evidenza come la sanità sia un’area che richiede un significativo aggiornamento digitale”; coerentemente, destina quindi una larga parte delle suddette risorse a migliorare le dotazioni infrastrutturali e tecnologiche, oltre che allo sviluppo di competenze anche digitali del personale.

Evidentemente, la componente M6C2, che prevede la digitalizzazione dei sevizi riguardanti la salute, è connessa alla componente M1C1, che si propone di sviluppare l’offerta integrata e armonizzata di servizi digitali all’avanguardia orientati a cittadini, residenti e imprese, permettendo così all’Italia di realizzare l’ambizione europea del Digital Compass 2030, quando tutti i servizi pubblici chiave saranno disponibili on line. In tal modo, il Piano contribuisce alla iniziativa flagship Modernise del NGEU, che concerne la digitalizzazione di alcuni importanti servizi pubblici, quali, tra gli altri, la sanità; entro il 2025, le pp.AA. degli Stati membri dovranno infatti fornire servizi pubblici digitali interoperabili, personalizzati e di facile utilizzo.

Le due componenti della Missione, benché distinte, sono in realtà fortemente connesse tra loro: è chiaro, infatti, ad esempio, che lo sviluppo della telemedicina passi per un ammodernamento e un rafforzamento dell’infrastruttura tecnologica delle strutture sanitarie.

Invero, l’aggiornamento tecnologico e digitale passa attraverso l’ammodernamento del parco tecnologico e digitale ospedaliero (investimento 1.1., cui sono destinati 4.05 miliardi di euro); un ospedale sicuro e sostenibile (investimento 1.2., cui sono destinati 1,64 miliardi di euro) il rafforzamento dell’infrastruttura tecnologica e degli strumenti per la raccolta, l’elaborazione, l’analisi dei dati e la simulazione (investimento 1.3., cui sono destinati 1,67 miliardi di euro).

Con l’investimento 1.3, il Piano mira in particolare a imprimere un profondo cambio di passo nell’infrastrutturazione tecnologica, prevedendo due azioni distinte:

  1. Infrastruttura tecnologica del Ministero della Salute e analisi dei dati e modello predittivo per garantire i LEA italiani e la sorveglianza e vigilanza sanitaria
  1. Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE)

Il Fascicolo Sanitario Elettronico, come rilevato in un altro post di questo Osservatorio, occupa un posto centrale, nel nostro ordinamento, tra gli strumenti di e-Health (tant’è che, come rilevato nel suddetto post, il nostro legislatore, di recente, è intervenuto su di esso con lo scopo di valorizzarlo e renderlo maggiormente efficace).

Il Piano coglie le potenzialità dello strumento, definendolo quale “pietra angolare” per l’erogazione dei servizi sanitari digitali e la valorizzazione dei dati clinici nazionali (cfr. p. 17 del Piano, che si riferisce al FSE anche in sezioni diverse da quella prettamente dedicata alla Missione Salute). Di particolare rilievo, in quest’ottica, poi, la parte in cui il PNRR precisa che i progetti di telemedicina proposti dalle Regioni sulla base delle priorità e delle linee guida definite dal Ministero della salute potranno essere finanziati laddove potranno integrarsi con il Fascicolo sanitario elettronico.

L’obiettivo principale del PNRR è quello di potenziare il FSE, al fine di garantirne la diffusione, l’omogeneità e l’accessibilità su tutto il territorio nazionale da parte degli assistiti e degli operatori sanitari.

Come attesta il monitoraggio AGID (aggiornato rispetto a quello di cui abbiamo dato conto QUI), la quasi totalità delle Regioni (tutte e 21 sono attive, cioè in ognuna di esse vi è almeno un FSE attivato) ha raggiunto uno stato di attuazione dello strumento superiore all’85%, dotandosi delle strutture necessarie per rendere operativo il fascicolo nel proprio territorio; le eccezioni sono isolate (l’Abruzzo ad esempio ha raggiunto soltanto il 36%; si segnala, poi, che la Calabria -la quale, stando ai dati diffusi fino al 2020, aveva raggiunto uno stato di attuazione pari allo 0%, alla fine del primo trimestre del 2021-, ha raggiunto uno stato di attuazione del 99%).

Tuttavia, i dati sulla effettiva diffusione del FSE non sono allo stato del tutto incoraggianti: stando alle percentuali recentemente diffuse da AGID con il suddetto monitoraggio (relativo al primo trimestre del 2021 e pubblicato post diffusione del post sull’argomento pubblicato in questo Osservatorio nel marzo 2021), in alcune regioni è nullo, bassissimo o comunque inferiore alla metà il numero dei cittadini che l’hanno attivato (cfr. Abruzzo, 0%; Basilicata, 1%; Marche, 2%; Molise, 2%; Liguria, 39%; Puglia 41%; come affermato sul sito AGID, il dato indica il numero dei cittadini assistiti -residenti in una regione italiana che hanno scelto un medico di medicina generale/pediatra di libera scelta-  che hanno prestato il consenso per l’alimentazione del FSE rispetto al numero totale dei cittadini  assistiti della regione); altrettanto basso è in generale il numero di quelli che hanno fatto uso dello strumento negli ultimi 90 giorni del trimestre considerato: sono solo 13 le regioni in cui la percentuale è (in alcune, invero, di poco) superiore allo 0% (qui il dato indica il numero dei cittadini assistiti che hanno effettuato almeno un accesso al proprio FSE rispetto al totale degli assistiti per i quali è stato messo a disposizione almeno un referto negli ultimi  90 giorni).

Le ragioni principali di questa condizione sono da imputare alla carenza di competenze digitali della popolazione –cfr. i dati diffusi dall’Indice DESI, di cui abbiamo dato conto QUI– e ad una certa resistenza al cambiamento delle abitudini quotidiane (come rilevato in una ricerca dall’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità della School of Management del Politecnico di Milano di cui abbiamo dato conto QUI, 8 cittadini su 10 non usano, allo stato, i servizi sanitari via web -l’86% dei pazienti preferisce il consulto medico di persona, l’83% si reca agli sportelli per il pagamento delle prestazioni e nel 80% dei casi ritirare a mano i referti-).

Importante, in quest’ottica, quindi, la parte in cui il Piano allude espressamente alla necessità di investire (per migliorarle) sulle competenze digitali della popolazione; anche se questo tipo di attività, sicuramente apprezzabile, non basterà a garantire la effettiva diffusione dello strumento, posto che i singoli, anche quando saranno digitalmente competenti, rinunceranno a usare il FSE se non saranno resi previamente edotti circa le sue potenzialità e il suo concreto funzionamento -con un focus sul trattamento dei dati personali che in esso confluiscono-; si dovrà quindi investire anche su una campagna di vera sensibilizzazione all’uso dello strumento.

Altrettanto apprezzabile, poi, la parte in cui il PNRR allude all’investimento sulle competenze digitali del personale medico sanitario, cui sono stati destinati 0.74 miliardi di euro (il potenziamento delle competenze tecniche, digitali e manageriali del personale del sistema sanitario avverrà attraverso un programma di assegnazione di borse di studio ed erogazione di corsi di formazione specifici da realizzare entro l’orizzonte del PNRR -metà 2026-): investire sulla formazione dei cittadini, infatti, non basta; occorre lavorare anche sulla formazione del personale socio-sanitario, che deve concretamente usare lo strumento nella sua attività lavorativa, se si considera che, allo stato, è ancora molto basso è il numero dei medici e degli operatori sanitari che lo utilizzano nell’esercizio della professione (i sopra ripresi dati diffusi da AGID, nel primo trimestre del 2021, solo i medici di 8 regioni hanno compiutamente usato il FSE -in altre 5, l’utilizzo c’è stato, ma ha raggiunto percentuali basse-; soltanto i medici di 3, poi, lo hanno concretamente implementato -di poco- nel medesimo periodo: ciò dimostra probabilmente che i medici percepiscono lo strumento come inadeguato rispetto alle esigenze della professione -anche in questo caso, il sito dell’AGID precisa che il dato indica il numero dei medici che hanno utilizzato il FSE rispetto al numero totale dei medici titolari abilitati al FSE ed il numero del Patient Summary popolati da medici titolari rispetto al numero complessivo di FSE attivati-).

A questo proposito, occorre invero rilevare che altrettanto basso è in genere il numero di operatori sanitari abilitati al FSE rispetto al totale degli operatori sanitari dell’azienda sanitaria (sono nella provincia di Trento e nelle regioni Lombardia, Piemonte, Puglia, Sardegna, Toscana e Veneto la percentuale supera il 50%).

Stando al Piano, il FSE svolgerà tre funzioni chiave: “1. costituirà un punto di accesso per le persone e pazienti per la fruizione di servizi essenziali forniti dal SSN; 2. costituirà -al pari di adesso, in verità, si direbbe- una base dati per i professionisti sanitari contenente informazioni cliniche omogenee che includeranno l’intera storia clinica del paziente 3. si configurerà quale strumento per le ASL, che potranno utilizzare le informazioni cliniche del FSE per effettuare analisi di dati clinici e migliorare la prestazione dei servizi sanitari”. In verità, trattasi di funzioni che il FSE svolge (o, quantomeno dovrebbe svolgere) fin dal 2012, anno della sua introduzione per via normativa.

Il progetto prevede una serie di azioni, che, però, per come descritte, non sempre appaiono del tutto intellegibili.

In particolare, il Piano precisa testualmente che il progetto prevede: “la piena integrazione di tutti i documenti sanitari e tipologie di dati, la creazione e implementazione di un archivio centrale, l’interoperabilità e piattaforma di servizi, la progettazione di un’interfaccia utente standardizzata e la definizione dei servizi che il FSE dovrà fornire”.

La piena “integrazione di tutti i documenti sanitari e tipologie di dati” si presume varrà a consentire una elaborazione e classificazione efficiente dell’ingente quantità di informazioni ricevute (operazione assai difficile, se si processano dati eterogenei non sufficientemente “standardizzati”).

Quanto alla interoperabilità, si tratta di un tema fondamentale, che condiziona da sempre la effettiva utilizzabilità e utilità dello strumento. La piena funzionalità del FSE richiede, infatti, la predisposizione da parte di ciascuna Regione di un sistema informatico che, gestisca le interazioni della Regione stessa A) con i vari enti sanitari, in modo tale che questi possano integrare dati e documenti nei fascicoli; B) con gli altri sistemi regionali (si pensi, ad esempio, all’ipotesi in cui la prestazione sanitaria sia erogata in una Regione diversa da quella di assistenza); essa si pone come condizione imprescindibile per la creazione di un paradigma orizzontale che agevoli lo scambio dei dati, evitando disallineamenti informativi e duplicazioni controproducenti (ne abbiamo parlato QUI). Bisognerà però verificare come quest’azione diretta a garantire l’interoperabilità si coordinerà con le azioni già intraprese sul punto negli anni scorsi. In particolare, la legge di bilancio 2017 ha demandato all’AgID, in accordo con il Ministero della Salute e il MEF, la progettazione dell’Infrastruttura Nazionale per l’Interoperabilità tra i FSE regionali (INI), un macro-modello di gestione dell’intera “rete”, che, oltre a garantire i processi di interoperabilità tra i FSE regionali, svolge funzioni di sussidio (come ad es. archiviazione e indicizzazione dei documenti, autenticazione degli assistiti e dei medici ecc.) alle Regioni che non abbiano ancora sviluppato soluzioni complete di FSE e abbiano perciò chiesto di essere supportate (attualmente, risultano in regime di sussidiarietà Abruzzo, Calabria, Campania e Sicilia).

Per quanto attiene invece alla progettazione di un’interfaccia utente standardizzata, si deve immaginare che trattasi della elaborazione di un modello di piattaforma che potrà essere utilizzato dalle regioni al posto dei siti attualmente da esse predisposti per assicurare l’attivazione e l’accesso dei singoli assistiti ai propri FSE. In tal modo, il Piano vuole contribuire alla diffusione di un Fascicolo Sanitario Elettronico omogeneo a livello nazionale, “che diventerà il singolo punto di accesso per cittadini e residenti alla loro storia clinica ed ai servizi offerti dal SSN” (in realtà, il Piano parla della creazione di un FSE omogeno a livello nazionale; tuttavia, se quanto riportato è corretto, non si tratta di creare un FSE nazionale per ogni assistito, ma di rendere omogenei i FSE regionali che, allo stato, si differenziano molto tra loro, in quanto attivabili e consultabili tramite siti web regionali che differenziano sotto vari aspetti).

La suddetta prospettiva (il fatto cioè che si alluda alla creazione di una piattaforma regionale standard) appare confermata dalla parte successiva del Piano, in cui si legge che sarà fornito “supporto finanziario alle Regioni che adotteranno la piattaforma FSE”.

Invero, anche con il fine di realizzare una certa omogeneità dello strumento e di favorire il graduale abbandono dei meccanismi di autenticazione regionali, nel 2018 il MEF aveva consentito la fruibilità del servizio attraverso un unico portale d’accesso nazionale (www.fascicolosanitario.gov.it). Il portale, che non è stato menzionato dal PNRR e non è mai stato attivato, aveva lo scopo di riequilibrare le storture provocate dal modello attualmente operativo: quest’ultimo obbliga infatti l’assistito ad accedere al proprio FSE secondo le modalità e le credenziali stabilite dalla Regione di appartenenza; consequenzialmente, in caso di trasferimento in altra Regione, a riaccreditarsi al portale realizzato da quest’ultima, con tutto ciò che ne consegue sul piano pratico (rischio di subire una temporanea interruzione del servizio, perdita di dati o inutile duplicazione di quelli esistenti, impossibilità di accesso nel caso in cui non abbia provveduto alla scelta della nuova Regione di assistenza, ecc.).

Sembra quindi che con il Piano si abbandoni l’idea della centralizzazione del servizio di accesso e consultazione per guardare alla sua omogenea regionalizzazione.

In ogni caso, il Piano, quando afferma che sarà fornito “supporto finanziario alle Regioni che adotteranno la piattaforma FSE” sembra presupporre che le regioni saranno libere di utilizzare o meno la piattaforma FSE che sarà elaborata; ciò potrebbe minare l’effettivo raggiungimento della conclamata omogeneità).

Nel momento in cui il PNRR parla di “definizione dei servizi che il FSE dovrà fornire”, poi, sembra indirettamente riconoscere non solo la bontà di quanto rilevato supra (e cioè, che il FSE dovrà aprirsi necessariamente ed effettivamente allo step successivo dei servizi, cessando in ogni caso di configurarsi quale mero deposito di dati), ma anche che saranno individuati una serie di servizi ulteriori rispetto a quelli a fino ad ora individuati (che il FSE, apertosi a siffatto step, dovrà necessariamente garantire).

Il PNRR prevede inoltre la creazione e l’implementazione di un archivio centrale: si tratta di un repository nazionale, che, assieme allo sviluppo di piattaforme nazionali (telemedicina) e al rafforzamento di modelli predittivi, “assicurerà strumenti di programmazione, gestione e controllo uniformi in ogni territorio”. Anche questo tipo di azione varrà dunque ad assicurare la surriferita omogeneità dello strumento a livello nazionale.

Ancora, il progetto prevede: “l’integrazione dei documenti da parte delle Regioni all’interno del FSE, il supporto finanziario per i fornitori di servizi sanitari per l’aggiornamento della loro infrastruttura tecnologica e compatibilità dei dati, il supporto in termini di capitale umano e competenze per realizzare i cambiamenti infrastrutturali e di dati necessari per l’adozione del FSE”. Esso include, poi, “iniziative già avviate per la realizzazione del Sistema di Tessera sanitaria elettronica, la progettazione dell’infrastruttura per l’interoperabilità e la gestione del FSE come parte degli interventi per la digitalizzazione delle amministrazioni pubbliche”. Questa parte del Piano (al di là dei riferimenti al supporto finanziario per i fornitori di servizi sanitari per l’aggiornamento della loro infrastruttura tecnologica e compatibilità dei dati, oltre che al supporto in termini di capitale umano e competenze per realizzare i cambiamenti infrastrutturali e di dati necessari per l’adozione del FSE) appare invero di non facile comprensione sul piano pratico, nel senso che non sono indicate chiaramente le azioni che saranno intraprese per raggiungere i suddetti obiettivi.

Il Ministero della salute, il Ministero dell’economia e delle finanze e il Dipartimento per la transizione digitale saranno congiuntamente responsabili della gestione complessiva del progetto, che assorbirà un tot. di risorse pari a 1,38 miliardi di euro (di cui 0.57 miliardi relativi al progetto già in essere di realizzazione del Sistema di Tessera Sanitaria Elettronica).

Per l’attuazione dell’iniziativa, si prevede, in ultimo, un piano di azione a livello centrale e uno a livello locale.

Non è da escludersi, infine, che, se davvero si vorrà valorizzare il ruolo del paziente come parte attiva del processo clinico-assistenziale, potrà essere inserito, tra i componenti imprescindibili del FSE, anche il cd. Taccuino personale, un’area integrativa specifica (al momento presente nel FSE solo qualora le regioni abbiano deciso di includerla) nella quale ciascun paziente, partecipando attivamente alla costruzione del database sanitario, può inserire dati e documenti personali relativi al proprio percorso di cura.

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