La Cina ha ultimamente inteso porre un argine all’utilizzo incontrollato del riconoscimento facciale da parte delle imprese private, condannandone la scarsa regolamentazione e così avviando un cambio di paradigma nell’impiego di tali strumenti di sorveglianza massiva. Due interessanti questioni hanno visto coinvolte alcune aziende del settore immobiliare e uno zoo di Hangzhou.
Le tecnologie di riconoscimento facciale sono ormai utilizzate da un elevato numero di paesi nel mondo (ne abbiamo già parlato qui), soprattutto in Cina, dove il loro diffuso impiego non ha finora trovato una corrispondente adeguata regolamentazione.
Proprio alla luce di ciò, anche in considerazione dell’orientamento dell’opinione pubblica, diverse città cinesi stanno iniziando a sottoporre l’utilizzo di questi strumenti a una più puntuale disciplina normativa per limitare il loro crescente uso eccessivo e incontrollato. Era proprio questo l’oggetto del recente China Consumer Protection Gala.
In tale direzione si collocano alcuni provvedimenti adottati dalla città di Ningbo, situata nella provincia dello Zhejiang orientale, diretti a multare tre aziende operanti nel settore immobiliare per aver utilizzato il riconoscimento facciale senza il consenso del cliente e quindi per aver acquisito in modo illegale i dati dei consumatori. Secondo la Ningbo Administration for Market Regulation, queste società identificavano, mediante il riconoscimento facciale, ipotetici esperti di cui si sarebbero serviti gli eventuali acquirenti degli immobili, durante una seconda visita degli appartamenti interessati, per una valutazione tecnica dello stabile. Qualora ciò si fosse verificato, le aziende non avrebbero applicato sconti eventualmente offerti.
Nell’autunno dello scorso anno, alcune compagnie immobiliari sono state tacciate di utilizzare impropriamente il riconoscimento facciale negli uffici di vendita degli immobili per identificare gli acquirenti e raccoglierne informazioni personali, senza che questi avessero prestato il proprio consenso.
Data la diffusione di tali episodi, dalla città di Hangzhou, capitale della stessa provincia dello Zhejiang orientale, è in corso di adozione la prima legge contenente l’espresso divieto per le società di gestione immobiliare di raccogliere i dati biometrici e le impronte digitali degli acquirenti per permettere loro l’accesso ai complessi immobiliari.
L’intenzione cinese di porre un freno all’eccessivo e sregolato utilizzo del riconoscimento facciale era evidente già nel 2019, quando la Suprema corte del popolo della Repubblica popolare cinese ha sancito il diritto individuale di chiedere la cancellazione dei propri dati biometrici. Un cittadino cinese, professore di diritto, ha instaurato una causa con uno zoo di Hangzhou, in seguito al cambiamento del sistema di accesso ad esso, prima basato sul riconoscimento delle impronte digitali, e poi su quello facciale, da utilizzare obbligatoriamente. In seguito a ciò egli ha chiesto che il contratto venisse rescisso, che i suoi dati personali venissero cancellati e che venisse rimborsato del costo totale del biglietto. Successivamente al rifiuto del rimborso da parte dello zoo, il cittadino cinese ha intentato una causa contro di esso, giunta sino in appello. La Corte popolare cinese, il 9 aprile scorso, si è espressa a favore del ricorrente, ordinando allo zoo di cancellare i dati relativi alle impronte digitali.
È dunque evidente l’apertura cinese verso una maggiore tutela dei dati personali, proprio in virtù dell’innegabile diffusione capillare dei sistemi di riconoscimento facciale su tutto il territorio. Si sta iniziando a riflettere maggiormente sugli effetti che l’impiego di tali tecnologie ha sulla privacy degli individui e sulla necessità di bilanciare tale diritto, troppe volte compresso, con le esigenze di sorveglianza pubblica (ne abbiamo già parlato qui, qui, qui, qui e qui).
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