Il mutamento del ruolo dello Stato è uno dei fenomeni più rilevanti del nostro tempo, ma dei meno studiati con metodo scientifico. Questa ricerca comincia a esplorare le forme e gli strumenti dell’intervento pubblico nell’economia sviluppatisi per superare le due crisi di questi anni e per fronteggiare le grandi trasformazioni che stanno cambiando il mondo (la globalizzazione, la trasformazione digitale, la riconversione ecologica). Le due crisi hanno prodotto effetti devastanti sulla vita individuale e collettiva, sui livelli di benessere, sulla sostenibilità delle finanze pubbliche. L’uscita non sarà un ritorno alla «normalità» del passato, ma comporterà innovazioni sostanziali nel funzionamento dei sistemi economici e sociali e forse anche delle relazioni interpersonali. È tramontata l’idea che lo Stato debba limitarsi ai ruoli del regolatore e del fornitore dei servizi pubblici essenziali. Accanto allo Stato regolatore e allo Stato garante dei diritti e dei beni comuni, si chiede l’intervento dello Stato «protettore», dello Stato «garante», dello Stato «promotore» dell’innovazione, dello Stato «investitore», dello Stato «imprenditore» o «gestore», dello Stato «salvatore» di imprese sull’orlo del fallimento, dello Stato «doganiere» rispetto a investimenti esteri «predatori». Due sono i rischi da evitare: quello di avviare un processo di illimitata estensione dell’intervento pubblico, sacrificando benefici e opportunità offerte da mercati liberi e aperti; e quello di adottare politiche miranti a contenere il cambiamento, invece che a governarlo e indirizzarlo verso nuovi modelli capaci di cogliere le opportunità delle trasformazioni in corso e di mitigarne i rischi. Politiche industriali ben temperate possono rafforzare l’economia di mercato e la libertà di impresa, politiche mal congegnate possono seriamente vulnerarle. Il confine fra le une e le altre non è avvertibile senza un’approfondita analisi e una ponderata valutazione degli effetti di sistema delle politiche ipotizzate.